La legittima difesa non può essere riconosciuta a chi reagisca ad una situazione di pericolo alla cui determinazione egli stesso abbia concorso e nonostante disponga della possibilità di allontanarsi dal luogo senza pregiudizio e senza disonore
Non può essere invocata l’attenuante della provocazione quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni
Suprema Corte di Cassazione
sezione V penale
sentenza 24 febbraio 2017, n. 9164
Ritenuto in fatto
1 – Con sentenza del 13 maggio 2015, la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Sondrio che aveva ritenuto L.G. colpevole del delitto di lesioni aggravate (dalla durata della malattia, superiore a 40 giorni) consumate ai danni di P.A. , assegnava alla parte civile una provvisionale di Euro 5.000, confermando così le statuizioni penali.
Il compendio probatorio si basava sulle deposizioni dei testi presenti al fatto che avevano riferito che, durante una partita di calcetto, era scoppiata una lite fra due giocatori, L. e P. , degenerata in vie di fatto, e che il solo L. aveva colpito P. che, nel frattempo, era stato bloccato dai presenti.
La Corte territoriale riteneva pertanto che, nel momento in cui l’imputato aveva colpito la persona offesa, non l’avesse fatto per difendersi ma per aggredirlo.
2 – Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in quattro motivi.
2 – 1 – Con il primo motivo deduce l’omessa assunzione di una prova decisiva e comunque il difetto di motivazione in quanto non erano stati escussi i testi, tempestivamente indicati dalla difesa nella apposita lista ed ingiustificatamente revocati dal primo giudice, sulla base del solo fatto che l’istruttoria sarebbe stata esauriente.
Si doveva tenere conto che uno di costoro, il Clerici, era proprio colui che era stato indicato come la persona che aveva trattenuto P. .
2 – 2 – Con il secondo motivo lamenta il difetto di motivazione in ordine alle risultanze testimoniali, al mancato esame di un motivo di appello, alla omessa motivazione in ordine alla richiesta di sostituzione della pena detentiva in pena pecuniaria.
Con il motivo di appello si era annotato come P. avesse affermato che si era divincolato e si era portato verso L. , una circostanza confermata dal teste D. . Il teste C. aveva poi riferito che P. si stava preparando a sferrare un pugno ma era stato preceduto da L. .
2 – 3 – Con il terzo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare dell’art. 52 cod. pen., ed il difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa.
Il primo giudice, infatti, l’aveva esclusa ritenendo possibile all’imputato il commodus discessus, il giudice del gravame aveva, invece, affermato che il P. aveva tentato di difendersi ma non vi era riuscito non riconoscendo così che più volte costui aveva cercato di aggredire l’imputato.
2 – 4 – Con il quarto motivo deduce la violazione di legge in riferimento alla mancata applicazione delle attenuanti previste dall’art. 62 n. 2 o, alternativamente, n. 5 cod. pen..
La cui sussistenza deriva dalle stesse ricostruzioni fatte dai giudici del merito.
3 – Il difensore della parte civile ha presentato una memoria in cui chiede venga dichiarata l’inammissibilità del ricorso perché consisteva nella mera riproposizione dei motivi di appello.
Sul primo motivo la Corte milanese aveva dedotto la non indispensabilità dell’escussione dei testi esclusi.
Sul secondo si lamentavano vizi di motivazione dedotti in fatto senza che l’argomentazione del giudice del gravame presentasse vizi logici manifesti.
Altrettanto doveva affermarsi sui residui motivi di ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile.
1 – I primi tre motivi sono interamente versati in fatto e, invece, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/4-2/7/1997, n. 6402, Dessimone, riv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
Nel ricorso infatti si propone una visione parcellizzata del costrutto probatorio, scegliendo e valorizzando le sole parti che fonderebbe l’assunto difensivo, la pretesa che l’imputato avesse colpito la persona offesa (come lo stesso L. , peraltro, nell’interrogatorio dibattimentale, stenta ad ammettere) solo per difendersi piuttosto che per aggredire, quando, invece, le testimonianze assunte appaiono del tutto concordi (con l’eccezione che si dirà) nel riferire che L. aveva colpito con due pugni P. nel momento in cui questi era trattenuto dagli altri astanti. Il solo C. aveva riferito che P. stava “caricando” un pugno ma resta la considerazione che mai l’avrebbe potuto sferrare visto che era bloccato dai compagni di gioco.
Risulta pertanto evidente come i pugni sferrati dal L. esulassero da qualsiasi concreto ed immediato pericolo, anche solo presunto, e come non fosse necessario escutere altri testi per arricchire un quadro probatorio ormai sufficiente per giungere ad una corretta e congrua decisione.
La Corte territoriale aveva poi accertato che la disputa era iniziata perché L. aveva insultato P. per non avere rincorso una palla ed è pertanto evidente che il ricorrente non potrebbe, comunque, invocare la legittima difesa e ciò in base all’orientamento conforme di questa Corte, secondo il quale la scriminante in parola non può essere riconosciuta a chi reagisca ad una situazione di pericolo alla cui determinazione egli stesso abbia concorso e nonostante disponga della possibilità di allontanarsi dal luogo senza pregiudizio e senza disonore, come nel caso di specie (da ultimo: Sez. 1, n. 18926 del 10/04/2013, Paoletti, Rv. 256016).
2 – È inammissibile anche il quarto motivo, relativo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti previste dai numeri 2 e 5 dell’art. 62 cod. pen..
L’attenuante della provocazione non era stata prospettata come motivo di appello e la censura è pertanto inammissibile ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.. La riconoscibilità dell’attenuante è comunque preclusa per le stesse ragioni per le quali la Corte territoriale aveva negato la prospettabilità della legittima difesa, anche nella forma putativa, visto che non può essere invocata l’attenuante della provocazione quando il fatto apparentemente ingiusto della vittima, cui l’agente abbia reagito, sia stato determinato a sua volta da un precedente comportamento ingiusto dello stesso agente o sia frutto di reciproche provocazioni (Sez. 5, n. 42826 del 16/07/2014, Rv. 261037).
La Corte territoriale, con motivazione priva di vizi logici, aveva negato la ricorrenza dell’attenuante prevista dal numero 5 dell’art. 62 cod. pen., avendo sottolineato come non potesse affermarsi che l’azione del P. avesse concorso a determinare l’evento, posto che le lesioni a suo danno erano state cagionate esclusivamente dai pugni sferrati dal L. mentre P. stesso veniva trattenuto dai presenti, risultando pertanto, in quel momento, del tutto inerme ed impossibilitato a compiere azione alcuna.
3 – All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
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