Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 24 febbraio 2017, n. 9135

In tema di violenza sessuale, l’elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso e, comunque, prescindendo, nel caso di minori infraquattordicenni, da un consenso, ancorché viziato, o dal dissenso comunque manifestabile

Suprema Corte di Cassazione

sezione III penale

sentenza 24 febbraio 2017, n. 9135

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza del 18 maggio 2015, la Corte d’appello di Brescia ha confermato la sentenza del Tribunale di Brescia con la quale G.A. era stato condannato per il reato di cui agli artt. 609-bis e 609-ter cod.pen. per avere, con violenza consistita nell’agire in modo repentino, costretto la minore di anni quattordici P.S. , a subire atti sessuali consistiti nella palpazione del seno, alla pena sospesa di anni uno e mesi due di reclusione, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e della circostanza di cui all’art. 609-bis comma 3 cod.pen. prevalenti sull’aggravante di cui all’art. 609-ter cod.pen., e dichiarava non doversi procedere in relazione al reato di cui all’art. 614 cod.pen. per essere lo stesso improcedibile per mancanza di querela.
1.1. In particolare, il giudice dell’impugnazione è pervenuto alla conferma della sentenza di primo grado, di cui ne ha condiviso la ricostruzione dei fatti e la valutazione del compendio probatorio, attribuendo piena credibilità alle dichiarazioni della persona offesa P.S. , dichiarazioni che avevano trovato ampie e precise conferme in altre fonti testimoniali, segnatamente nelle dichiarazioni della di lei madre Pi.Si. e della vicina di casa S.M. , che avevano ricevuto le confidenze della ragazzina su quanto accaduto il 9 gennaio 2004, allorché G.A. , tecnico dell’ALER (Azienda Lombarda per l’Edilizia Residenziale), si era recato presso la sua abitazione per verificare una perdita d’acqua nel bagno, e, dopo vari apprezzamenti sulla minore, che in quel momento si trovava da sola nell’abitazione, le aveva palpato il seno.
La Corte d’appello, per quanto qui di rilievo in connessione con i motivi di ricorso, nel confermare la piena attendibilità della minore e delle altre fonti testimoniali a riscontro della prima, ha disatteso la censura svolta dal ricorrente di contraddittorietà delle dichiarazioni testimoniali della minore circa il momento della rivelazione degli abusi alla madre che attesterebbe, secondo il ricorrente, la non attendibilità del racconto di costei; evidenziando, in particolare, che le stesse non si ponevano affatto in contraddizione tra di loro, avendo la minore riferito alla madre, la sera del (omissis) , unicamente di un comportamento non consono (“aveva fatto lo stupido”) tenuto dal G. , mentre la rivelazione di aver subito l’atto sessuale era avvenuta solo in occasione del successivo accesso del medesimo presso l’abitazione della minore, il 1(omissis) , allorché la ragazza impaurita alla vista del G. era scappata dalla vicina di casa.
Parimenti alcuna contraddizione sussisteva, secondo la corte territoriale, tra le dichiarazioni della minore e quelle dell’anziana vicina di casa che ricordava di aver saputo del fatto il giorno in cui fu presentata la denuncia e cioè il 1(omissis) , sicché era confermata la circostanza che la minore aveva raccontato di quanto accadutole solo in occasione del secondo incontro con il G. e cioè il 1(omissis) .
Ed ancora, la Corte d’appello ha ritenuto congrua la motivazione del Tribunale che aveva respinto la richiesta di abbreviato condizionato all’escussione di tre testimoni, richiesta già respinta dal Giudice dell’Udienza preliminare del Tribunale di Brescia, sul rilievo che due di questi (S. e B. ) erano già stati sentiti nel corso delle indagini, mentre la deposizione del terzo (M. ) aveva ad oggetto circostanze non contestate e acclarate negli atti, sicché corretta era stata la decisione del Tribunale di non procedere con il rito alternativo condizionato.
Infine, esclusa la configurabilità della diversa ipotesi di cui all’art. 609-quater cod.pen., essendosi caratterizzata la condotta di aggressione delle sfera sessuale del G. quale azione repentina, improvvisa e subdola si da configurare la violenza di cui all’art. 609-bis cod.pen., ha confermato la pena inflitta in primo grado.
2. Avverso la sentenza ha presentato ricorso G.A. , a mezzo del difensore di fiducia e ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen.:
2.1. Con il primo motivo, il difensore deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione all’affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all’art. 609-bis cod.pen. e la contraddittorietà della motivazione, anche sotto il profilo del travisamento della prova, in relazione alla credibilità della persona offesa e, più in generale, dell’attendibilità delle fonti testimoniali. Dopo aver ripercorso le doglianze dedotte nei motivi di appello, che riporta integralmente nel corpo del ricorso, censura la sentenza sotto il profilo della contraddittorietà delle testimonianze, in punto momento della rivelazione dell’abuso da parte della minore, che non consentirebbe di formulare un giudizio di piena attendibilità della stessa persona offesa. Argomenta che la sentenza impugnata avrebbe, sul punto, travisato le prove per come risultanti dalle trascrizioni delle deposizioni, parzialmente riportate nel corpo del ricorso, sicché ricorrerebbe il vizio denunciato.
La motivazione della sentenza sarebbe contraddittoria nel ritenere attendibile la dichiarazione della minore sulla circostanza che rivelò di aver subito il palpeggiamento al seno solo successivamente al fatto ((omissis) ), dal momento che le dichiarazioni delle di lei madre e della vicina di casa la smentirebbero avendo, costoro, dichiarato di aver saputo dell’abuso già la sera del fatto. Inoltre la sentenza sarebbe giunta alla conclusione dell’attendibilità della minore travisando il contenuto delle prove e in violazione del principio della valutazione onnicomprensiva della stesse trattandosi di minore vittima di reati in materia sessuale.
2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen. in relazione alla qualificazione giuridica del fatto quale violazione dell’art. 609 bis cod.pen. non ricorrendo il requisito della repentinità degli atti, essendo, invece, sussumibile il fatto nel disposto di cui all’art. 609-quater cod.pen. La ricostruzione del fatto (l’uomo con la scusa di leggere la scritta sulla maglietta della minore avrebbe toccato con la punta delle dita il seno della stessa), avrebbe già di per sé escluso una condotta repentina essendo prevedibile la stessa perché preceduta da apprezzamenti favorevoli, sicché non ricorrerebbe l’art. 609-bis cod.pen., ma il diverso reato di cui all’art. 609-quater cod.pen..
2.3. Con il terzo motivo si deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in relazione al diniego di applicazione della riduzione di legge conseguente all’irragionevole rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato. Evidenzia, il ricorrente, che ricorrevano i presupposti di cui all’art. 438 comma 5 cod.proc.pen. per dare ingresso all’integrazione probatoria, non incompatibile con l’economia processuale ed indispensabile per la decisione, sicché l’immotivato rigetto avrebbe comportato una pena illegale.
3. Il Procuratore Generale ha chiesto, in udienza, che il ricorso sia dichiarato inammissibile.

Considerato in diritto

4. Il ricorso appare, quanto al primo motivo attinente al merito dell’affermazione di responsabilità, manifestamente infondato perché, in parte diretto alla rivalutazione del compendio probatorio attraverso il denunciato travisamento della prova, e, in parte, meramente ripetitivo della stessa censura già devoluta ai giudici di appello e dai quei giudici esaminata e disattesa con motivazione immune di vizi di contraddittorità e/o illogicità.
Deve evidenziarsi che il corposo ricorso, riproduce la medesima censura sulla presunta contraddittorità delle fonti testimoniali sul momento della rivelazione dell’abuso fatta dalla minore, sulla quale la corte territoriale adeguatamente ha risposto (cfr. par. 1.1. del ritenuto in fatto), evidenziando come la censura era frutto di una parziale e unidirezionale lettura delle prove, risultando, invece, pacifico che la minore non rivelò il (omissis) di ave subito il palpeggiamento del seno, essendosi limitata a dire che l’uomo l’aveva infastidita con atteggiamenti non consoni. La censura finisce per non confrontarsi con la sentenza che ha congruamente motivato e risposto sul punto, riproponendo la stessa lettura parziale già prospettata e disattesa (cfr. pag. 55 e 56 del ricorso) da cui anche l’insussistenza del travisamento della prova che già era stato escluso dal giudice dell’impugnazione.
Anche il tentativo di rivalutazione del compendio probatorio, veicolata attraverso la lettura in chiave alternativa delle dichiarazioni testimoniali non ha miglior sorte.
Deve osservarsi, infatti, che le censure proposte dal ricorrente, non sono consentite nel giudizio di legittimità, in quanto concernenti la ricostruzione e la valutazione del fatto, come pure l’apprezzamento del materiale probatorio, profili del giudizio rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito, che ha fornito una congrua e adeguata motivazione, immune da incongruenze di ordine logico e da profili di contraddittorietà come denunciato.
Come è noto le giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha ritenuto, pressocchè costantemente, che “l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali” (Cass. 24.9.2003 n. 18; conformi, sempre a sezioni unite, Cass. n. 12/2000; n. 24/1999; n. 6402/1997).
Nel caso, poi, qual è quello in scrutinio, di doppio conforme accertamento della responsabilità penale, deve rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicché è possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).
Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni è ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso, sulla base dell’appello, l’iter motivazionale per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed aver esaminato le censure svolte.
4.1. Così ricostruito l’ambito cognitivo devoluto a questa Corte, rileva il Collegio, la logicità congruità complessiva della motivazione della sentenza impugnata in ordine a la attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa, (vedi par. 1.1. ritenuto in fatto) con motivazione immune da censure aderente al dato probatorio, sicché l’ulteriore riproposizione non supera il vaglio di ammissibilità.
La corte territoriale ha poi dato atto come il racconto della minore aveva trovato riscontri nelle dichiarazioni testimoniale della madre e della vicina di casa.
Per completezza, osserva, il Collegio, che il ricorrente, nel tentativo di contestare la motivazione sotto il profilo della contraddittorietà delle dichiarazioni rese della minore sul momento della rivelazione dell’abuso rispetto alle dichiarazioni dei testi di riscontro (madre e vicina di casa), non ha mai, comunque, messo in dubbio il contenuto delle prime, ovvero la circostanza che il ricorrente aveva palpato in modo repentino il seno della ragazza.
5. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso. La corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente la condotta di violenza mediante atto repentino e ciò sulla base del racconto della ragazza che ha descritto un gesto (toccamento del seno) compiuto improvvisamente in modo da impedire qualsivoglia atto di dissenso, comportamento certamente insidioso perché costituito da azione rapida e subdola del G. che, dopo aver proferito apprezzamenti alla ragazza e “sviato” l’attenzione della vittima, mostrando interesse per la scritta sulla maglietta, ha posto in essere una condotta subdola e ingannevole (far finta di leggere la scritta sulla maglietta) che ha consentito la successiva condotta di toccamento del seno, compiuta improvvisamente in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso che comunque, nel caso di minori infraquattordicenni, non rileva.
Va dunque ribadito il principio, già affermato da ultimo da Sez. 3, n. 46170 del 18/07/2014, J, Rv. 260985, secondo il quale, in tema di violenza sessuale, l’elemento oggettivo, oltre a consistere nella violenza fisica in senso stretto o nella intimidazione psicologica in grado di provocare la coazione della vittima a subire gli atti sessuali, si configura anche nel compimento di atti sessuali repentini, compiuti improvvisamente all’insaputa della persona destinataria, in modo da poterne prevenire anche la manifestazione di dissenso e, comunque, prescindendo, nel caso di minori infraquattordicenni, da un consenso, ancorché viziato, o dal dissenso comunque manifestabile.
6. Quanto all’ultimo motivo di ricorso, declinato quale violazione di cui all’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) cod.proc.pen., esclusa la violazione della legge processuale in relazione all’art. 442 cod.proc.pen. posto che non si tratta di norma stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, la sentenza impugnata, in continuità con quella del Tribunale, ha correttamente ritenuto pienamente giustificato il rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato all’audizione di tre testimoni, e ciò sul rilievo che due dei quali erano già stati esaustivamente sentiti nel corso delle indagini preliminare e l’esame del terzo verteva su circostanze accertate e non contestate.
Ed invero l’integrazione probatoria, richiesta ai sensi dell’art. 442 comma 5 cod.proc.pen., presuppone la verifica, da parte del G.U.P. prima e, poi, del Tribunale in sede di sindacato sul rigetto, della lacuna probatoria e della novità e decisività dell’integrazione richiesta, non potendosi risolvere in uno strumento per l’introduzione di un contraddittorio in contrasto con il giudizio speciale che comporta che, in caso di condanna, la pena sia ridotta di un terzo.
Dunque, se in tema di giudizio abbreviato condizionato, il giudice dibattimentale deve sindacare il provvedimento di rigetto, assunto nell’udienza preliminare, secondo una valutazione “ex ante”, di verifica della ricorrenza dei requisiti di novità e decisività della prova richiesta dall’imputato alla luce della situazione esistente al momento della valutazione negativa, con giudizio ex ante, immune da vizi è la decisione di conferma del rigetto della richiesta di giudizio abbreviato condizionato alla escussione dei tre testimoni trattandosi di rinnovazione di escussione di due testi già esaustivamente escussi nelle indagini preliminari e priva di concreta rilevanza l’escussione del terzo testimone. Alcun vizio di motivazione è sussistente.
Peraltro, il ricorrente non offre alcuna critica specifica limitandosi a ribadire la necessaria audizione a chiarimenti dei due testimoni già escussi e la necessità di sentire il terzo, senza dedurre la decisività dell’integrazione alla luce dell’impianto probatorio. In sostanza, il motivo di ricorso, atteso il carattere generico, è inammissibile.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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