Corte di Cassazione, sezione V penale, sentenza 10 gennaio 2017, n. 859

L’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale può essere ritenuta, anche in base alla partecipazione ad un solo reato fine, sempre che il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e ciò può verificarsi solo quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l’autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilità di utilizzarli autonomamente e cioè come membro e non già come persona a cui il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione

Suprema Corte di Cassazione

sezione V penale

sentenza 10 gennaio 2017, n. 859

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Anton – Presidente

Dott. DE GREGORIO Eduardo – Consigliere

Dott. PEZZULLO Rosa – rel. Consigliere

Dott. CATENA Rossella – Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI FIRENZE nei confronti di:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 11/03/2016 del TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE;

sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa ROSA PEZZULLO;

udito il Procuratore Generale in persona del Dott. TOCCI Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito il difensore dell’indagato, avv. (OMISSIS) che si e’ associato alle richieste del P.G.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 11.3.2016 il Tribunale del riesame di Firenze annullava l’ordinanza in data 10.2.2016 del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, applicativa della misura degli arresti domiciliari nei confronti di (OMISSIS), non ravvisando i gravi indizi di colpevolezza a carico del predetto in ordine ai delitti di associazione per delinquere di cui ai capi A) e B) (articolo 416 c.p., L. n. 146 del 2006, articolo 3), associazioni dedite alla commissione di piu’ reati di abusivismo finanziario e di truffa in danno di numerosi clienti ed investitori commessi, il primo, a Pontedera e altrove dal 2005 al 2012 e l’altro in Italia e all’estero (Cina e Spagna) dal 2012 ad oggi.

1.2. Rilevava il Tribunale, tra l’altro, che apparivano fondate le deduzioni difensive relative al mancato rinvenimento dei decreti autorizzativi delle intercettazioni richiamate nell’informativa della Polizia Giudiziaria in data 11.1.2016, ma l’inutilizzabilita’ conseguente alle comunicazioni intercettate non esimeva, tuttavia, dall’effettuare la necessaria prova di resistenza in relazione

alle altre risultanze acquisite; nell’ordinanza impugnata risultavano indicati

alcuni delitti fine (diversamente che nell’ordinanza del riesame che aveva gia’ annullato l’ordinanza emessa nei confronti del (OMISSIS), per i medesimi reati, per mancata/incompleta esposizione della motivazione), ma tali indicazioni altro non erano che quelle di cui alla richiesta del P.M. di sequestro preventivo, richiamata anche nell’ordinanza del G.I.P., gia’ prese in esame nel pronunciarne l’annullamento, quanto ai delitti di abusivismo finanziario, poiche’ gia’ era stata valutata dal Tribunale l’inadeguatezza di tali contestazioni- sia avuto riguardo agli importi che venivano in rilievo, sia avuto riguardo ai collegamenti che non si coglievano nella commissione di piu’ reati da parte di almeno tre soggetti- a fondare a livello sia pure indiziario la ricorrenza dei delitti associativi ipotizzati

2. Avverso la suddetta ordinanza ha proposto ricorso il P.M. della Procura di Pisa, deducendo che il motivo principale di censura proposto verte sulla valutazione del Tribunale, secondo cui non si potrebbe configurare un reato associativo, sul piano gravemente indiziario, laddove risulti carente una corrispondenza d’illeciti profitti tra la somma dei singoli reati fine contestati rispetto all’importo complessivo del reato associativo; al riguardo, a tutti gli indagati e’ stato contestato di essere stati capi-promotori di un’associazione a delinquere finalizzata al compimento di un’illecita attivita’ d’intermediazione finanziaria (Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 166), la cui configurazione si realizza nel momento in cui un soggetto -insieme ad una struttura organizzata di uomini e di mezzi- si propone sul mercato finanziario per svolgere un’attivita’ d’investimento, senza avere alcuna abilitazione rilasciata dai rispettivi organismi che lo possa legittimare ad esercitare tale attivita’; tale dato probatorio, richiamato nel provvedimento del G.i.p. e risultante in atti, rappresenta il presupposto fondamentale per poter sostenere che laddove sia stato trovato un contratto di affitto titoli finanziari si configura un reato fine di cui al Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 166, anche se non formalmente contestato in sede cautelare; cio’ che conta e’ la sussistenza dei gravi indizi in ordine al reato associativo contestato, unico titolo legittimante la misura custodiale emessa, da desumersi dagli elementi riportati nel provvedimento censurato, indipendentemente dal fatto che tali elementi siano o meno stati formalmente contestati come reati fine; il vizio motivazionale del Tribunale di Firenze appare chiaro laddove -pur dando atto della presenza di un elenco stilato dalla Guardia di finanza riportante in sintesi tutti i contratti, le fatture, i soggetti intervenuti, gli importi e ogni altra documentazione a corredo delle operazioni illecite poste in essere dall’associazione- ha concluso affermando che non risulta specificamente in base a quali elementi le operazioni in questione sarebbero da considerarsi illecite, rendendo evidente il vizio del mancato riconoscimento in radice che tutti quei contratti, fatture e documenti -redatti e compilati da soggetti non abilitati a svolgere quell’attivita’- rappresentano di per se’ delle operazione illecite che configurano, ognuna, un reato fine di cui al Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 166 e, in quanto operazioni svolte con un’organizzazione costituita da societa’ dislocate in piu’ paesi, con i mezzi e ruoli evidenziati dal G.i.p. nei suoi provvedimenti annullati, portano a cementare le solide fondamenta dei reati associativi contestati; nella fattispecie vi sono prove documentali certe che gli indagati svolgevano un’attivita’ illecita d’intermediazione finanziaria, costituendo molteplici societa’ in tutto il mondo, predisponendo contratti di affitto titoli finanziari, accedendo alle piattaforme di analisi finanziaria (Bloomberg o Euroclear e Clearstream), per falsificare le visure, in modo da far risultare i titoli dati in affitto apparentemente in possesso delle proprie societa’, invece che ai gruppi e bancari reali possessori del titolo; i considerevoli importi, riportati nei reati associativi contestati agli indagati, rappresentano la somma degli illeciti profitti da essi ricevuti, cosi’ come ricavabili dalla documentazione agli atti e riepilogata per comodita’ nell’elenco dalla Guardia di Finanza, in cui risulta come causale il pagamento per lo svolgimento di un’illecita attivita’ d’intermediazione finanziaria; il GIP di Pisa ha dato abbondantemente atto degli elementi per ritenere configurabili i singoli reati associativi contestati, nonche’ le sussistenza della condotte di capi promotori ascrivibili a (OMISSIS), a (OMISSIS) e ad (OMISSIS).

3. In data 19.5.2016 il (OMISSIS) ha depositato memoria, a mezzo del suo difensore di fiducia, concludendo per l’inammissibilita’ del ricorso, allegando il provvedimento del Tribunale del riesame del 21.12.2015 con il quale era stata annullata la precedente ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Pisa nei confronti del (OMISSIS).

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile siccome generico e, comunque, manifestamente infondato.

1. Il ricorso del P.M. mira dichiaratamente a censurare principalmente la valutazione del Tribunale del riesame circa l’impossibilita’ di configurare un reato associativo nel momento in cui risulta carente una corrispondenza d’illeciti profitti tra la somma dei singoli reati fine contestati rispetto all’importo complessivo del reato associativo. Tale doglianza – che si accompagna alla generica deduzione circa la mancata esatta considerazione da parte del Tribunale dei “reati fine” di cui al Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 166, dei quali vi sarebbe evidente prova in atti – non si confronta con quanto specificamente evidenziato nel provvedimento del riesame impugnato circa la mancanza di elementi indiziari gravi nei confronti del (OMISSIS) in ordine al reato associativo per il quale era stata applicata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pisa, la misura degli arresti domiciliari.

1.1.In particolare, ritiene il Collegio che i punti sui quali il P.M. avrebbe dovuto, invece, incentrare le sue censure, in relazione al percorso argomentativo del Tribunale ossia con riguardo: 1) al mancato rinvenimento dei decreti autorizzativi delle intercettazioni richiamate nell’informativa della Polizia Giudiziaria in data 11.1.2016, con conseguente inutilizzabilita’ delle comunicazioni intercettate; 2) all’indicazione nell’ordinanza impugnata dei delitti fine (diversamente che nell’ordinanza del riesame che aveva gia’ annullato l’ordinanza emessa nei confronti del (OMISSIS)), indicazione questa ritenuta dal Tribunale del riesame inidonea ad integrare un grave quadro indiziario, altro non essendo essa che quella di cui alla richiesta del P.M. di sequestro preventivo, richiamata anche nell’ordinanza del G.i.p. del 13.8.2015, gia’ presa in esame, quanto ai delitti di abusivismo finanziario, e gia’ considerata, sempre dal Tribunale del riesame, con l’ordinanza del 21.12.2015 insufficiente a desumere i gravi indizi dei plurimi delitti associativi ipotizzati; 3) al lungo elenco, stilato dalla Guardia di Finanza, riportante in sintesi tutti i contratti, le fatture, i soggetti intervenuti, gli importi e ogni altra documentazione a corredo delle operazioni illecite poste in essere dall’asserita associazione, ma tale dato che potrebbe essere significativo in relazione al delitto di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 o a quello di truffa risultava ancor piu’ che ambiguo, silente e privo di effettivo significato per le ragioni indicate quanto alla sussistenza di un delitto associativo e alla partecipazione a esso dell’uno o dell’altro indagato; 4) alle conversazioni intercettate intercorse tra alcuni degli indagati, che, oltre ad incorrere nel limite indicato della loro utilizzabilita’, attengono piuttosto ai delitti fine ipotizzati e non consentono dí fondare indizi gravi dei delitti associativi, rilevando ulteriormente che tali delitti fine riguarderebbero tempi molto risalenti (anni 2009-2011), talche’ non potrebbero che riguardare solo il primo delitto associativo, e che gli elementi richiamati emersi quanto ai responsabili di tali delitti-fine concernerebbero solo le posizioni di due dei presunti associati, il (OMISSIS) e (OMISSIS).

2. A fronte di tale percorso logico il P.M. nell’articolare il ricorso in esame ha censurato solo un segmento, peraltro non decisivo, delle argomentazioni del provvedimento impugnato omettendo, invece, di confrontarsi con il nucleo essenziale del ragionamento circa l’insussistenza della gravita’ indiziaria in ordine ai due reati associativi ipotizzati dall’accusa. Invero, in tema di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, i motivi devono ritenersi generici non solo quando risultano intrinsecamente indeterminati, ma altresi’ quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 28011 del 15/02/2013).

2.1. E’ vero che questa Corte ha piu’ volte evidenziato che in tema di associazione per delinquere e’ consentito al giudice, pur nell’autonomia del reato mezzo, rispetto ai reati fine, dedurre la prova dell’esistenza del sodalizio criminoso dalla commissione dei delitti rientranti nel programma comune e dalle loro modalita’ esecutive, posto che attraverso essi si manifesta in concreto l’operativita’ dell’associazione medesima (Sez. 2, n. 19435 del 31/03/2016), tuttavia, nel caso di specie, occorre considerare che il Tribunale del riesame aveva gia’ segnalato nel precedente provvedimento di annullamento del 21.12.2015 che i reati fine in questione si presentano in numero limitato in relazione alle associazioni per delinquere ipotizzate ed all’entita’ considerevole degli importi complessivi degli illeciti profitti che si assumono realizzati da ciascun sodalizio e, comunque, da essi non appare ricavabile la partecipazione di almeno tre associati a ciascuna associazione, benche’ taluni degli associati non rispondano di alcun delitto fine. Tale provvedimento, come ben evidenziato dal Margiotti nelle memorie depositate in data 19.5.2016, non ha costituito oggetto di impugnazione da parte del P.M., sicche’ occorreva che con il ricorso quei medesimi elementi gia’ ritenuti insufficienti ai fini della configurabilita’ dei reati associativi, non fossero riproposti senza l’apporto di altri ovvero in assenza di una lettura non ripetitiva dei vizi gia’ segnalati dal Tribunale del riesame con l’ordinanza del 21.1.2015.

2.2. L’appartenenza di un soggetto ad un sodalizio criminale puo’ essere ritenuta, anche in base alla partecipazione ad un solo reato fine, sempre che il ruolo svolto e le modalita’ dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo e cio’ puo’ verificarsi solo quando detto ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l’autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilita’ di utilizzarli autonomamente e cioe’ come membro e non gia’ come persona a cui il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (Sez. 5, n. 6446 del 22/12/2014).

2.3.Non appare censurabile in definitiva la valutazione operata dal Tribunale secondo cui dagli elementi posti a fondamento della richiesta di adozione della misura cautelare nei confronti del Margiotti non emergono in sostanza gravi indizi in merito alla configurabilita’ dei delitti di associazione per delinquere di cui alle contestazioni provvisorie per i quali e’ indubbiamente necessaria la predisposizione di un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi, funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza, da parte di singoli associati, di far parte di un sodalizio durevole e di essere disponibili ad operare nel tempo per l’attuazione del programma criminoso comune (Sez. 2, n. 20451 del 03/04/2013). Al di la’ del generico riferimento al fatto che ne’ l’indagato, ne’ le societa’ asseritamente a lui facenti capo sono abilitati a svolgere attivita’ di intermediazione finanziaria e della apodittica affermazione che dalla attivita’ “abusiva” dallo stesso posta in essere e’ dato evincere la condotta associativa, alcun ulteriore significativo elemento risulta enunciato in ricorso ad illustrazione della ricorrenza dei sodalizi contestati.

Quanto specificamente al ruolo di capo- promotore asseritamente rivestito dall’indagato nei sodalizi, il P.M., peraltro, si limita a richiamare gli elementi considerati dal G.i.p. senza tuttavia esattament e indicarli.

3. Il Tribunale ha altresi’ considerato anche l’elenco stilato da G.di F. riportante in sintesi i contratti e le fatture ed ogni altra documentazione rappresentativa delle operazioni illecite poste in essere dall’indagato ed anche sul punto senza illogicita’ ha rilevato come tali elementi potrebbero essere significativi in relazione ai reati di cui al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 166 o a quello di truffa, ma non per la sussistenza di un delitto associativo e della partecipazione a esso dell’uno o dell’altro indagato.

3.1. In proposito, deve rilevarsi come l’ordinamento non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive dell’indagato, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice cui e’ stata chiesta l’applicazione della misura cautelare, nonche’ del tribunale del riesame. Il controllo di legittimita’ sui punti devoluti e’, percio’, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, ossia l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicita’ evidenti, in relazione alla congruita’ delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Cass. Sez. 6, sent. n. 2146 del 25.05.1995, Tontoli ed altro, Rv. 201840).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso del P.M

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