Corte di Cassazione, sezione tributaria, sentenza 25 ottobre 2017, n. 25266. In tema di accertamento delle imposte sui redditi, la dichiarazione inviata in via telematica ai sensi dell’art. 3) comma 2, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322

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– che con il primo motivo l’Agenzia ricorrente lamenta l’insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere i giudici di appello risolto la controversia affermando che la società contribuente aveva prodotte, copia della conferma della ricezione della dichiarazione trasmessa in via telematica;
– che motivo è inammissibile per diverse convergenti ragioni, la prima da ravvisarsi nella non decisività del fatto dedotto, peraltro non costituendo ratio decidendi della statuizione impugnata, fondata sul mancato assolvimento da parte della ricorrente amministrazione finanziaria dell’onere di provare l’avvenuta comunicazione all’intermediario della società contribuente dell’errore bloccante, e la seconda da ravvisarsi nei fatto che dedotto vizio di insufficiente motivazione non è prospettato con la illustrazione della chiara indicazione delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr.., ex multis, Cass. n. 24255 del 2011) non potendosi ritenere adeguato il quesito di fatto o «momento di sintesi» formulato, a conclusione del motivo (ex art. 366 bis cod. proc. civ: vigente ratione temporis), nel seguente termine: «Il giudice di appello, in sintesi, pur a fronte di specifica contestazione, ha omesso ogni verifica in punto di fatto»;
– che con il secondo motivo a ricorrente deduce a violazione, e falsa applicazione dell’art. 6, comma 5, della legge n. 212 del 2000, sostenendo che ha errato la CTP, nel ritenere nella specie la notifica della cartella di pagamento non era stata preceduta dall’invito alla società contribuente a fornire necessari chiarimenti, non sussistendo nella specie incertezze su aspetti rilevanti della decisione;
– che con il terzo motivo la ricorrente deduce a violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e segg. del DPR n. 322 del 1998, così come modificato dai d.P.R. n. 435 del 2001 e 2697 cod. civ., sostanzialmente sostenendo che era onere del contribuente e del suo intermediario «richiedere la prova del l’avvenuto invio (della dichiarazione) di guisa così, da poter e dover conoscere il motivo dello scarto della dichiarazione e quindi, il mancato buon fine dell’attività di trasmissione»;
– che, ragioni di ordine logico-giuridico, impongono preliminare esame di tale ultimo mezzo di impugnazione;
– che il motivo è inammissibile in guanto non coglie la ratio decidendi della statuizione impugnata fondata sui mancato adempimento da parte dell’amministrazione finanziaria dell’onere di provare di avere tempestivamente comunicato all’intermediario, autorizzato e delegato ala trasmissione telematica della dichiarazione fiscale della società contribuente, lo scarto della predetta dichiarazione per la presenza di un errore bloccante;
– che, ai riguardo, questa Corte ha affermato che «in terna di accertamento delle imposte sui redditi :. la dichiarazione inviata in via telematica ai sensi dell’art. 3) comma 2, del d.P.R. 22 luglio 1998, n. 322 (nel testo applicabile “ratione temporis”) si considera presentata nel giorno in cui è trasmessa, e si ritiene ricevuta, ai sensi del comma 10 del medesimo articolo, dai momento della comunicazione di ricevimento da parte dell’Amministrazione- finanziaria, atto che assolve alla finalità di fornire prova dell’avvenuta, tempestiva, consegna da parte dei contribuente e del regolare adempimento degli obblighi di presentazione», precisando che «tale disciplina si applica anche nel caso in cui si siano verificati i cosiddetti “errori bloccanti” della trasmissione telematica, che – con i tempio e le modalità di cui alla circolare n. 35 del 23 aprile 2002 del Ministero della finanze sono segnalati nel sistema telematico consultabile dal contribuente, il quale, messo in condizione di avvedersi in tempo utile dell’avvenuto “scarto” della propria dichiarazione, può porvi tempestivo rimedio» (cfr. Cass. n. 675 del 2015; conf. Cass. n.11156 del 2014, n: 7558 e n. 16003 del 2015);

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