Corte di Cassazione, sezione tributaria, ordinanza 27 ottobre 2017, n. 25538. In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata la inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare

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Con il primo motivo —ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’agenzia fiscale ricorrente lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 21, 19, primo comma, 26, terzo comma, d.P.R. 633/1972, poiché la CTR non ha rilevato la partecipazione della P. alla frode IVA accertata a carico di soggetti terzi ed in particolare dell’emittente delle fatture de quibus.
La censura è infondata.
Va premesso e ribadito che «In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata la inesistenza soggettiva dell’operazione, grava sull’Amministrazione finanziaria l’onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 cod. civ., la interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell’operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa; spetta, invece, al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l’incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente» (Sez. 5, Sentenza n. 13803 del 18/06/2014, Rv. 631553 — 01).
La sentenza impugnata si è dimostrata ben consapevole di tale arresto giurisprudenziale e lo ha correttamente applicato.
Il giudice tributario di appello infatti ha specificamente argomentato sul punto della “conoscenza/conoscibilità” della frode IVA in oggetto da parte della P., in particolare rilevando che essa «.. non fosse destinataria della restituzione del 50% dell’IVA e non essendo oggetto di accertamento gli anni 2005/2006».
Tale valutazione meritale non può essere oggetto di ulteriore sindacato in questa sede, dovendosi altresì ribadire che «Con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione» (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 7921 del 2011) e che «In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione» (ex- Multis Sez. 5, n. 26110 del 2015).

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