Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 agosto 2017, n. 39336

Vi è spaccio e non consumo personale, a prescindere dal quantitativo di stupefacente, è la circostanza che l’imputato porti la cocaina con sé da una provincia all’altra.

Sentenza 22 agosto 2017, n. 39336
Data udienza 27 aprile 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETRUZZELLIS Anna – Presidente

Dott. TRONCI Andrea – Consigliere

Dott. COSTANZO Angelo – Consigliere

Dott. CAPOZZI Angelo – Consigliere

Dott. D’ARCANGELO Fabrizi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 07/10/2015 della Corte di appello di Catania;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Fabrizio D’Arcangelo;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. ANIELLO Roberto, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza di condanna, emessa in data 22 giugno 2005, dal Giudice dell’Udienza Preliminare del Tribunale di Catania ed appellata da (OMISSIS), imputato del delitto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73 per aver detenuto, a fine di spaccio, 32 grammi circa di cocaina in (OMISSIS).

2. L’avv. (OMISSIS), difensore di fiducia del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso tale sentenza e ne chiede l’annullamento, deducendo quattro motivi e, segnatamente:

– la violazione di legge in punto di incompetenza territoriale, in quanto la Corte di appello aveva erroneamente ritenuto il delitto contestato commesso a (OMISSIS) e non gia’ a (OMISSIS), che si trova nel circondario del Tribunale di Messina;

– la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente detenuta dal (OMISSIS);

– la carenza e la illogicita’ della motivazione nella parte in cui la Corte di Appello non aveva argomentato in ordine alle risultanze degli atti nel giudizio abbreviato e non aveva vagliato acriticamente i singoli elementi probatori, anche difensivi, nella propria individualita’ e correlazione;

– la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine all’omesso riconoscimento del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in ragione della esiguita’ del dato quantitativo della sostanza stupefacente detenuta e della “presenza minimale” di principio attivo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato in quanto i motivi nello stesso proposti si rivelano infondati.

2. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione di legge in punto di incompetenza territoriale del Tribunale di Catania.

La Corte di appello di Catania nella sentenza impugnata aveva, infatti, illegittimamente disatteso la eccezione di incompetenza territoriale, ritenendo erroneamente applicabile il criterio attributivo della competenza di cui all’articolo 8 c.p.p., comma 3, in luogo di quello accolto dalla giurisprudenza consolidata di legittimita’, fondato, ai sensi dell’articolo 9 c.p.p., comma 2, sul luogo in cui si era realizzata naturalisticamente la condotta (secondo i principi enunciati da Sez. 6, n. 1809 del 21/12/1994, Giunta, Rv. 200896).

Nel caso di specie la localizzazione ed il rinvenimento della sostanza stupefacente erano, infatti, avvenute in (OMISSIS), mediante la spontanea consegna da parte del (OMISSIS) agli operanti della sostanza stupefacente e la immediata ammissione della detenzione per uso personale; la competenza per territorio a giudicare della presente regiudicanda spettava, pertanto, al Tribunale di Messina e non gia’ a quello di Catania.

Gli agenti che avevano proceduto all’arresto, nel ricondurre il (OMISSIS) a Catania per perquisirlo ed arrestarlo, avevano, pertanto, sottratto l’imputato al proprio giudice naturale.

Tale motivo deve, tuttavia, essere disatteso in quanto si rivela infondato.

Secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, dal quale non vi e’ ragione per discostarsi, il delitto di detenzione di sostanze stupefacenti ha natura permanente e la sua consumazione si protrae sino a quando e’ in essere la relazione di disponibilita’ della sostanza in capo al detentore, a differenza del delitto di cessione di sostanze stupefacenti, che ha natura istantanea e si consuma nel momento in cui la cessione medesima viene posta in essere (ex plurimis: Sez. 4, n. 34332 del 03/06/2009, Baye, Rv. 245200).

L’articolo 8 c.p.p., comma 3, pertanto, radica la competenza territoriale per il delitto di detenzione di sostanza stupefacente a fine di spaccio nel luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato permanente; nella valutazione della giurisprudenza di legittimita’, pertanto, solo quando e’ ignoto il luogo in cui ha avuto inizio l’azione criminosa, il giudice competente per territorio puo’ essere individuato in relazione al luogo in cui e’ avvenuta una parte dell’azione, utilizzando i criteri residuali di cui all’articolo 9 c.p.p. (Sez. 4, n. 8665 del 22/01/2010, Carbone, Rv. 246851; Sez. 6, n. 15832 del 06/04/2005, Petrolo, Rv. 231373).

La sentenza impugnata ha, pertanto, fatto buon governo di tali consolidati principi, affermando che, stante la natura permanente del delitto di detenzione di sostanza stupefacente, la competenza per territorio doveva essere determinata, ai sensi dell’articolo 8 c.p.p., comma 3, nel luogo in cui aveva avuto inizio la consumazione.

Nella specie, l’autovettura condotta dal (OMISSIS), sulla quale era stata rinvenuta la sostanza stupefacente, dal momento dell’ingresso in autostrada dal casello di (OMISSIS) Catania sino all’uscita attraverso lo svincolo di (OMISSIS), non aveva operato soste intermedie, ne’ era stata mai persa di vista dagli operanti che la avevano seguita.

Non poteva, pertanto, ragionevolmente dubitarsi, stante il monitoraggio ininterrotto posto in essere dagli inquirenti, che la sostanza stupefacente fosse nella disponibilita’ di (OMISSIS) gia’ al momento dell’ingresso in autostrada nel casello di (OMISSIS) Catania.

Alla stregua di tali condivisibili rilievi, l’autorita’ giudiziaria compente per territorio e’ stata correttamente individuata nel Tribunale di Catania.

3. Con il secondo motivo il ricorrente si duole della violazione di legge e del vizio di motivazione in ordine alla destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente detenuta dal (OMISSIS).

La Corte di Appello di Catania, infatti, aveva violato il contenuto precettivo del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, obliterando che la destinazione allo spaccio non puo’ essere inferita dal mero dato quantitativo della sostanza stupefacente detenuta e che tale estremo, rappresentando un elemento costitutivo della predetta fattispecie incriminatrice, deve essere comprovato dal Pubblico Ministero. Nella specie la sentenza impugnata aveva, tuttavia, invertito l’onere della prova ed, onerando l’imputato della prova del proprio stato di tossicodipendenza, era pervenuta alla affermazione della responsabilita’ penale del medesimo sulla base di un sillogismo che muoveva da premesse erronee.

Nessuna valutazione nella sentenza impugnata era, inoltre, stata operata del basso principio attivo della sostanza stupefacente rinvenuta nella disponibilita’ del (OMISSIS).

La Corte territoriale, inoltre, aveva omesso di considerare che i fatti risalgono al 2005 e che l’imputato, a distanza di dieci anni dal fatto, non aveva riportato alcun ulteriore pregiudizio penale, neanche di tipo contravvenzionale.

3.1. Generica si rivela, invero, tale censura, ín quanto il ricorso si risolve nella mera riproposizione, pressoche’ letterale, delle medesime doglianze formulate in appello e disattese dai giudici del grado, senza che la motivazione della sentenza di appello abbia poi formato oggetto di una autonoma e articolata critica impugnatoria.

La mancanza di specificita’ del motivo, del resto, dev’essere apprezzata non solo per la sua genericita’, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione ed, in entrambi i conduce, ai sensi dell’articolo 591 c.p.p., comma 1, lettera c), all’inammissibilita’ della stessa (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012; Sez. 1, n. 39598 del 30/09/2004, Burzotta, Rv. 230634; Sez. 4, n. 5191 del 29/03/2000, Barone, Rv. 216473).

3.2. Tale motivo di ricorso si rivela ulteriormente inammissibile in quanto si risolve in un tentativo di rilettura delle risultanze probatorie, precluso in sede di legittimita’, al fine di ottenere una declaratoria di insussistenza della finalita’ di cessione a terzi della sostanza stupefacente detenuta.

Le doglianze svolte mediante tale motivo paiono, infatti, intese ad addivenire ad una diversa, e piu’ favorevole, lettura dei medesimi elementi fattuali acquisiti nel corso del giudizio. Sono, tuttavia, precluse al giudice di legittimita’ la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (ex multis: Sez. 6, n. 47204, del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482).

La sentenza impugnata ha, peraltro, non illogicamente, ritenuto che la destinazione allo spaccio della sostanza stupefacente rinvenuta nella disponibilita’ del (OMISSIS) fosse dimostrata del considerevole quantitativo detenuto, dalle sue modalita’ di confezionamento (un involucro di cellophane, avvolto in un secondo involucro di plastica trasparente saldato a caldo sulla sommita’) e dal trasporto in altra provincia, peraltro in assenza di qualsiasi giustificazione di tale trasferta.

Non vi era prova, inoltre, che il (OMISSIS) facesse uso di sostanze stupefacenti ed anche un consumo soltanto sporadico ed occasionale non avrebbe giustificato una provvista di tale entita’.

Nessuna inversione dell’onere della prova era, peraltro, stata posta in essere, bensi’ esclusivamente un attento scrutinio della versione alternativa lecita proposta dall’imputato e del fondamento probatorio della stessa.

Ritiene, pertanto, il Collegio che le valutazioni espresse nella sentenza impugnata non rivelino contraddittorieta’ o manifeste illogicita’ e, pertanto, si sottraggono al sindacato di questa Corte.

Nessuna violazione di legge e’, inoltre, ravvisabile, avendo la Corte territoriale fatto buon governo del consolidato principio enunciato dalla giurisprudenza di legittimita’, secondo il quale il solo dato ponderale dello stupefacente rinvenuto – e l’eventuale superamento dei limiti tabellari indicati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73-bis, comma 1, lettera a), – non determina alcuna presunzione di destinazione della droga ad un uso non personale, dovendo il giudice valutare globalmente, anche sulla base degli ulteriori parametri normativi, se, assieme al dato quantitativo (che acquista maggiore rilevanza indiziaria al crescere del numero delle dosi ricavabili), le modalita’ di presentazione e le altre circostanze dell’azione siano tali da escludere una finalita’ meramente personale della detenzione (Sez. 3, n. 46610 del 09/10/2014, Salaman, Rv. 260991; Sez. 6, n. 39977 del 9/09/2013, Tayb, Rv. 256611).

4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la carenza ed illogicita’ della motivazione e si duole che la stessa e’ insufficiente “nella parte in cui non motiva assolutamente in ordine alle risultanze dello stato degli atti in abbreviato” ed “e’ illogica la’ dove non vaglia acriticamente i singoli elementi stessi, anche difensivi, nella propria individualita’ e correlazione”.

Tale motivo si rivela, tuttavia, inammissibile, atteso che il ricorrente si duole della violazione dei canoni legali che presiedono alla valutazione della prova, senza, tuttavia, minimamente indicare in quali punti il ragionamento probatorio della Corte di Appello sarebbe stato difforme dagli stessi o viziato da incoerenze ed illogicita’.

Il necessario requisito della specificita’ dei motivi pone, infatti, a carico della parte impugnante non soltanto l’onere di dedurre le censure che intenda muovere su uno o piu’ punti determinati della decisione gravata, ma anche quello di indicare con chiarezza e precisione gli elementi fondanti, si’ da consentire al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi proposti ed esercitare quindi il proprio sindacato (Sez. 3, n. 5020 del 17/12/2010, Valentini, Rv. 245907). E’, peraltro, inammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce soltanto il vizio di insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato (Sez. 6, n. 46308 del 12/07/2012, Chabchoub, Rv. 253945).

5. Con il quarto motivo il difensore censura l’omesso riconoscimento del fatto di lieve entita’ di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, in ragione della esiguita’ del dato quantitativo della sostanza stupefacente detenuta, della “presenza minimale” di principio attivo, peraltro assai esiguo rispetto al materiale da taglio presente, e del mancato rinvenimento in sede di perquisizione domiciliare di bilancini e di materiale atto al confezionamento.

L’imputato era, peraltro, incensurato e dopo tale episodio non era stato piu’ coinvolto in vicende di rilevanza penale, neppure contravvenzionale.

Anche tale motivo si rivela infondato.

La motivazione della sentenza impugnata ha escluso la minima offensivita’ della condotta muovendo dalla disamina sinergica di una pluralita’ di elementi sintomatici ed ha evidenziato, non certo incongruamente, che depongono in senso contrario al riconoscimento della fattispecie attenuata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5, la quantita’ e la qualita’ della sostanza stupefacente detenuta, nonche’ le modalita’ dell’azione e, segnatamente, la circostanza che l’imputato recasse con se’ lo stupefacente nello spostamento da una provincia all’altra.

Tali elementi indiziari hanno indotto la Corte di Appello a ritenere che il fatto si inserisse nel contesto di una attivita’ di spaccio non occasionale o su scala ridotta, bensi’ stabile ed organizzata in modo professionale, avendo l’imputato la possibilita’ di far conto su sicuri canali di approvvigionamento, nonche’ di rifornire un vasto bacino di assuntori.

Tale motivazione non si rivela manifestamente illogica segnatamente nella parte in cui valorizza, come gia’ avvenuto nella sentenza di primo grado, peraltro espressamente richiamata sul punto, l’elevato numero delle dosi traibili dalla sostanza stupefacente detenuta, l’avvenuto approvvigionamento della sostanza stupefacente da parte del (OMISSIS) in una provincia diversa da quella di residenza e la conoscenza di stabili contatti di fornitura.

Tali elementi sono, pertanto, congruamente stati ritenuti prevalenti e maggiormente significativi rispetto al dato del principio attivo rinvenuto nella sostanza stupefacente sequestrata, peraltro neppure indicato dal ricorrente e, pertanto, inidoneo ad infirmare, in sede di legittimita’, la logica della valutazione fondata su altri e distinti elementi sintomatici.

6. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere rigettato e, pertanto, il ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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