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In proposito del tutto condivisibile si presenta, quindi, la motivazione addotta in diritto dalla Corte territoriale.
4.1.1. Il ricorrente altresi’ appare porre in contestazione la circostanza di avere provveduto a richiedere la pubblicazione delle inserzioni, lasciando intendere un uso in qualche misura indebito della copia del proprio documento di identita’. Trattasi peraltro di questione di fatto mai dedotta in precedenza, per cui ogni accertamento al riguardo e’ da considerarsi definitivamente precluso.
4.1.2. Allo stesso tempo, manifestamente infondata la questione in diritto formulata e sicuramente inammissibile il rilievo in fatto (v. supra), non vi e’ pertanto questione – difettando qualsivoglia impugnazione in proposito – in ordine alla circostanza dell’acquisto, da parte del (OMISSIS), di spazi pubblicitari per le due donne cinesi che si prostituivano nell’appartamento locato all’odierno ricorrente e poi sublocato.
4.2. Alla luce anche delle considerazioni appena svolte, il fatto dell’acquisto di spazi pubblicitari per l’attivita’ delle due donne (circostanza ribadita dal Tribunale e non specificamente contestata) induce a ritenere la piena consapevolezza dell’odierno ricorrente quanto alla presenza di entrambe le giovani asiatiche nell’alloggio. Ne’ ha mai ricevuto conferma istruttoria, come osservato correttamente dai giudici di merito, quanto infine allegato dall’odierno ricorrente in ordine ad una sua relazione sentimentale con una delle donne, si’ che l’attivita’ illecita compiuta si sarebbe risolta solamente in un favore reso alla fidanzata.
Cio’ posto, ed in relazione al secondo motivo di impugnazione, e’ insegnamento consolidato che, ai fini della contestazione dell’accusa, cio’ che rileva e’ la compiuta descrizione del fatto e non anche l’indicazione degli articoli di legge che si assumono violati (Sez. 3, n. 22434 del 19/02/2013, Nappello, Rv. 255772). Infatti si deve avere riguardo alla specificazione del fatto piu’ che all’indicazione delle norme di legge violate, per cui ove il fatto sia precisato in modo puntuale, la mancata individuazione degli articoli di legge violati e’ irrilevante e non determina nullita’, salvo che non si traduca in una compressione dell’esercizio del diritto di difesa (Sez. 3, n. 5469 del 05/12/2013, dep. 2014, Russo, Rv. 258920).
In specie, del tutto correttamente e’ stata cosi’ ritenuta l’aggravante di cui all’articolo 4 n. 7 della legge 75 del 1958 (“se il fatto e’ commesso ai danni di piu’ persone”), dal momento che nel capo d’imputazione era specificato che il (OMISSIS), “nella sua qualita’ di locatario dell’appartamento sito in (OMISSIS)…lo locava a sua volta a (OMISSIS) e (OMISSIS), esercenti ivi attivita’ di prostituzione…che egli altresi’ favoreggiava e sfruttava…acquistando spazi pubblicitari…tesi ad offrire prestazioni sessuali a pagamento delle due donne cinesi”. Al di la’ della specifica contestazione, non puo’ sorgere ragionevole dubbio in ordine al fatto che vi e’ ampia ed analitica descrizione della condotta, anche in relazione alla presenza di piu’ persone, siccome ascritta all’odierno ricorrente. Il quale d’altronde non ha allegato in proposito alcuna specifica lesione alla propria attivita’ difensiva.
4.3. Parimenti del tutto infondata si presenta l’ultima ragione di censura.
In primo luogo la Corte territoriale ha esattamente osservato che l’odierno ricorrente non aveva mosso cola’ obiezioni all’applicazione della recidiva, si’ che ogni questione si presenta in questa sede preclusa.
Per quanto infine concerne il contestato giudizio di mera equivalenza tra attenuanti generiche da un lato ed aggravante e recidiva contestate dall’altro, le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimita’ qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione (Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, Pennelli, Rv. 270450). Invero, in tema di concorso di circostanze, il giudizio di comparazione risulta sufficientemente motivato quando il giudice, nell’esercizio del potere discrezionale previsto dall’articolo 69 c.p., scelga la soluzione dell’equivalenza, anziche’ della prevalenza delle attenuanti, ritenendola quella piu’ idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. 2, n. 31531 del 16/05/2017, Pistilli, Rv. 270481).
Al riguardo, tenuto conto dell’apprezzamento istituzionalmente riservato al giudice del merito, tutt’altro che arbitrarie ed illogiche appaiono le considerazioni svolte dalla Corte territoriale, la quale ha dato conto – ai fini della valutazione di equivalenza – del variegato ventaglio illecito maturato dall’odierno ricorrente nell’arco di un trentennio nonche’ dell’assenza di comportamenti positivamente apprezzabili, a fronte di una condotta reiteratasi nel tempo e di ben difficile natura occasionale.
5. I motivi d’impugnazione appaiono pertanto manifestamente infondati, si’ che va dichiarata senz’altro l’inammissibilita’ del ricorso.
Tenuto infine conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.
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