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6. Manifestamente infondata è anche la prospettata questione di legittimità costituzionale dell’art. 8 comma 4 della legge n. 890 del 1982 in relazione all’art. 3 Cost. per disparità di trattamento con la disciplina dell’art. 157 comma 8 cod.proc.pen., con riferimento alla decorrenza degli effetti della notificazione dal momento di ricevimento della raccomandata e non dall’invio.
In virtù del carattere incidentale del giudizio di legittimità costituzionale, il giudice a quo deve, in primo luogo, verificare che il giudizio alla sua attenzione “non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimità costituzionale” (c.d. “rilevanza”), vale a dire, che la disposizione della cui costituzionalità si dubita dovrà essere applicata nel giudizio a quo e, quindi, che quel medesimo giudizio non potrà essere definito se prima non viene risolto il dubbio di legittimità costituzionale che ha investito la relativa disposizione.
Il presupposto della rilevanza della questione nel giudizio a quo deriva dal disposto dell’art. 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, secondo cui la questione di legittimità costituzionale può essere proposta solo quando “il giudizio non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della suddetta questione di costituzionalità”.
Occorre, dunque, stabilire in primo luogo se la norma della cui legittimità costituzionale si dubita dovrà essere necessariamente applicata nel presente giudizio. Tale giudizio è positivo giacché, la norma di cui si dubita della legittimità costituzionale deve essere applicata al caso concreto.
Con riguardo all’ulteriore profilo della non manifesta infondatezza, ritiene il Collegio che la questione sia manifestamente infondata in quanto tesa ad investire la Corte costituzionale di una questione che rientra nell’ambito che si deve ritenere riservato alla discrezionalità del legislatore.
La Corte costituzionale ha infatti ripetutamente avvertito che – ove questa sia investita di questioni che sollecitano l’emissione di pronunce manipolative – la decisione deve essere “a rime obbligate”, ossia trovare la propria necessità costituzionale già nel tessuto normativo esistente; solo una manipolazione del testo a rime costituzionalmente obbligate consente di ritenere che la Corte costituzionale eserciti una propria prerogativa interpretativa, senza appropriarsi di prerogative di scelta riservate al legislatore.
Nel caso qui in esame non si ravvisa l’esistenza di una risposta “a rime obbligate”.
In presenza di procedimenti notificatori diversi (quello a mezzo ufficiale giudiziario e quello a mezzo posta) nel confronto tra le due normative in relazione alla diversa decorrenza degli effetti della stessa, non vi è spazio per una pronuncia a “rime obbligate”, tenuto conto che è la stessa Corte Costituzionale (sent. n. 346 del 1998) ad aver affermato che, nella disciplina delle modalità delle notificazioni il legislatore non incontra limiti, salvo quelli derivanti dal fondamentale diritto del destinatario dell’atto di essere posto in condizione di conoscere il contenuto di esso e il procedimento al quale si riferisce, diritto alla conoscenza dell’atto che non può dirsi osservato, come vorrebbe il ricorrente, solo dalla “necessaria” estensione della disciplina prevista per gli effetti delle notifiche a mezzo ufficiale giudiziario a quelle a mezzo posta. Non c’è in altri termini spazio per una pronuncia a “rime obbligate”.
Peraltro, deve osservarsi quanto al profilo della conoscenza dell’atto, ossia la piena conoscenza del decreto penale da parte del ricorrente che questi aveva rilasciato procura speciale per l’opposizione, sicché la questione sarebbe priva di rilevanza concreta secondo i canoni indicati dai Giudici delle leggi.
7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
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