[….segue pagina antecedente]
Il raffronto tra le due norme rende palese che le condotte incriminate dall’articolo 171, lettera f sono tra loro accomunate dalla finalita’ commerciale concretandosi l’illecito nella immissione sul mercato di prodotti o servizi atti ad eludere le misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater, non essendo ivi compresa la condotta di chi invece utilizza i dispositivi che consentono l’accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del dovuto corrispettivo, condotta questa che e’ invece espressamente sanzionata dall’articolo 171 octies, indipendentemente dall’utilizzo pubblico o privato che venga fatto dell’apparecchio atto alla decodificazione di trasmissioni audiovisive.
Non ricorre, all’evidenza, nessun vizio integrante la violazione di legge: ne’ sotto il profilo dell’inosservanza, non avendo il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all’operata rappresentazione della norma, o applicato la norma sul presupposto dell’accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie incriminatrice; ne’ sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte di merito esattamente interpretato, alla luce dei principi fissati da questa Corte, la disposizione applicata. Correttamente i giudici palermitani hanno, invero, ricondotto nell’ambito della L. n. 633 del 1941, articolo 171-octies la condotta incriminata, pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato e, dunque, protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso posto in essere da parte dell’emittente, senza che assumano rilievo le concrete modalita’ con cui l’elusione venga attuata, evidenziandone la finalita’ fraudolenta nel mancato pagamento del canone applicato agli utenti per l’accesso ai suddetti programmi. E’ poi evidente cha dalla ricondotta rilevanza penale del fatto nell’alveo della norma cosi’ individuata discenda, de plano, l’antigiuridicita’ della condotta ascritta all’imputato, non potendosi prendere in esame per le ragioni sopra esposte le ulteriori doglianze svolte sul piano motivazionale, peraltro sviluppate nell’orbita delle mere censure di merito.
Non sussistendo pertanto i presupposti per invocare l’intervento di questa Corte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Leave a Reply