Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 1 marzo 2018, n. 9370. L’obbligo di motivazione deve intendersi adempiuto tutte le volte che la scelta del giudice di merito venga a cadere su una pena che, per la sua entita’ globale, non appaia sul piano della logica manifestazione sproporzionata rispetto al fatto oggetto di sanzione

L’obbligo di motivazione deve intendersi adempiuto tutte le volte che la scelta del giudice di merito venga a cadere su una pena che, per la sua entita’ globale, non appaia sul piano della logica manifestazione sproporzionata rispetto al fatto oggetto di sanzione, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale, affermando che “quanto piu’ il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto piu’ ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’articolo 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio”.

Sentenza 1 marzo 2018, n. 9370
Data udienza 15 novembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SAVANI Piero – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere

Dott. CIRIELLO Antonella – rel. Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

(OMISSIS) nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/01/2017 della CORTE APPELLO di VENEZIA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONELLA CIRIELLO;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore CANEVELLI PAOLO che ha chiesto il rigetto dell’istanza di differimento dell’udienza presentata dall’avv. (OMISSIS) il 14/11/2017 e concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17.01.2017, per quanto qui rileva, la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Padova del 17.05.2016, nel confermare la responsabilita’ dei ricorrenti, ha riqualificato i fatti ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, commi 1 e 5, ed ha condannato (OMISSIS) alla pena di anni tre e mesi otto di reclusione ed alla multa di 10.000,00 Euro, oltre pene accessorie, e (OMISSIS) alla pena di anni due e mesi otto di reclusione e alla multa di Euro 8.000,00 per avere, i medesimi, in concorso tra loro e con altro soggetto, detenuto, ai fini di cessione, complessivi gr. 20,830 di cocaina e complessivi gr. 14,004 di marijuana, cedendo, altresi’, gr. 4,957 di cocaina e gr. 9,535 di marijuana a (OMISSIS) e gr. 0,951 di cocaina a (OMISSIS), nonche’ per avere, in concorso tra loro, detenuto kg. 2,519 di marijuana.

2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato (OMISSIS), chiedendone l’annullamento.

3. Questi deduceva, con il primo motivo, il vizio di motivazione, in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata, che avrebbe individuato una pena in misura prossima ai massimi edittali in ragione del quantitativo di stupefacente sequestrato e dell’elevatissimo numero di dosi ricavabili senza considerare, tuttavia, il limitato effetto drogante rispetto al peso lordo, ossia la scarsa purezza delle sostanze stupefacenti detenute illecitamente che renderebbe la condotta non particolarmente offensiva e la sanzione non proporzionata.

Si duole altresi’ il ricorrente della contraddittorieta’ della motivazione, in ordine al trattamento sanzionatorio, in quanto il collegio, dopo aver in termini generali statuito la congruita’ di una pena vicina ai massimi edittali, in considerazione della gravita’ dei fatti ascritti, avrebbe individuato in tali termini la sola pena detentiva (che si colloca oltre il punto mediano tra la pena minima e la pena massima),mentre la pena pecuniaria, sarebbe risultata vicina ai minimi edittali.

2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente deduce un ulteriore vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in relazione all’aumento della pena per la continuazione, relativo al capo a) di imputazione, pari ad un anno di reclusione ed a Euro 300,00 di multa, ritenuto nella prospettazione difensiva eccessivo e non proporzionato al fatto, come riqualificato dalla stessa corte in termini di lieve entita’, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 73, comma 5.

2.3. Ha proposto ricorso per Cassazione anche (OMISSIS) chiedendone l’annullamento, tramite del proprio difensore, dolendosi del vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione in cui sarebbe incorsa la corte territoriale, in relazione all’articolo 133 c.p. e alla valutazione della congruita’ della pena; la corte avrebbe reso, in particolare, una motivazione solo apparente, senza indicare gli elementi presi in analisi ed operando solo un generico riferimento alle circostanze di fatto della condotta e ai parametri dell’articolo 133 c.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. La richiesta di differimento dell’udienza odierna non puo’ trovare accoglimento, in quanto tardivamente formulata (il 14.11.2017) e solo genericamente motivata.

3.1. Nel merito dell’impugnazione, i ricorsi sono inammissibili, in quanto in maniera generica e aspecifica pongono in discussione il potere discrezionale del giudice di determinare la pena che, nel caso di specie, risulta esercitato in modo conforme ai principi generali elaborati dalla giurisprudenza di legittimita’ per interpretare le norme che regolano tale potere.

In termini generali, come e’ noto, l’obbligo di motivazione deve intendersi adempiuto tutte le volte che la scelta del giudice di merito venga a cadere su una pena che, per la sua entita’ globale, non appaia sul piano della logica manifestazione sproporzionata rispetto al fatto oggetto di sanzione, e la giurisprudenza, concordemente ha da anni ritenuto che non sia neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale, affermando che “quanto piu’ il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto piu’ ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, indicando specificamente, fra i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’articolo 133 cod. pen., quelli ritenuti rilevanti ai fini di tale giudizio” (cfr. ex multis Sez. 1, Sentenza n. 24213 del 13/03/2013 Rv. 255825).

Nel caso di specie, con riguardo ad entrambi gli imputati, la corte di Appello ha dato conto in maniera adeguata delle ragioni per le quali non ha ritenuto, pur riqualificando il fatto in termini piu’ lievi rispetto a quanto avvenuto in primo grado (e cosi’ riducendo la pena irrogata in prima istanza), di applicare una pena minima (e concretamente applicandone una appena sopra la media per la componente detentiva), nell’ambito della cornice edittale, giustificando cosi’ l’uso del potere discrezionale (pacificamente connotato da discrezionalita’ vincolata) che gli articoli 132 e 133 cod. pen. attribuiscono al giudice di merito (chiarendo, cioe’ in concreto, che il numero delle dosi ricavabili, pari a ben 6922 dosi, e la personalita’ degli imputati, che avevano dimostrato di essere capaci di reperire quantitativi di stupefacenti significativi e di diverse qualita’).

Ne’ appare fondato il rilievo di irragionevolezza per non aver applicato una pena piu’ alta della media edittale anche per la componente pecuniaria (che in concreto, si duole il ricorrente, si colloca al sotto di tale media), essendo pacifico il potere del giudice di differenziare le due componenti, senza in ragione di cio’, incorrere in motivazione illogica soprattutto quando, come nel caso di specie, sia adeguatamente motivata la componente che si colloca sopra la media.

3.2. Le considerazioni svolte valgono anche con riguardo alla posizione del (OMISSIS), il cui ricorso, peraltro, risulta inammissibile per la estrema genericita’ e aspecificita’ delle censure formulate.

4. Ne consegue che i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.

Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

Rigettata l’istanza di rinvio in quanto tardiva, dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

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