Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 28 novembre 2017, n. 28321. Se non vengono erogate prestazioni sanitarie ma esclusivamente di natura socio assistenziale è possibile l’autonoma regolazione del dovuto con i privati

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Nella specie non vengono in alcun modo in rilievo le prestazioni di natura sanitaria eventualmente erogate al genitore anziano della ricorrente, e delle quali, peraltro, non e’ traccia nel ricorso per cassazione e neppure nella sentenza impugnata.
Si controverte esclusivamente sul potere della (OMISSIS), gestita dalla Cooperativa Sociale il (OMISSIS) di convenire con l’utente (nella specie con il soggetto che ha stipulato un contratto a favore di terzo) un importo della retta, maggiore rispetto alla quota di partecipazione alla spesa per prestazioni socio-assistenziali stabilito nel provvedimento n. 662/2002 della Giunta regionale, richiamato nella convenzione stipulata dalla regione con la Cooperativa predetta.
Dal contratto di ricovero allegato al ricorso per decreto ingiuntivo (indicato nel ricorso e che si rinviene nel fascicolo di parte resistente) emerge testualmente che la madre della (OMISSIS) venne ricoverata – in quanto non autosufficiente – in regime residenziale di assistenza sociale presso una Casa Albergo per anziani indicata espressamente come “Residenza assistenziale” (RA). Orbene indipendentemente dalla eventuale successiva trasformazione di tale struttura in “Residenza sanitaria assistenziale” – RSA (tale qualificazione non emerge dalla sentenza impugnata: viene affermato dalla ricorrente nel ricorso per cassazione, sul punto non contestata dalla controricorrente. Dalla parziale trascrizione della decisione di prime cure – ricorso pag. 21 – si evince soltanto che la struttura gestita dalla Cooperativa era “convenzionata” con la regione), non e’ dubbio che:
– una limitazione al potere della autonomia negoziale dei privati ex articolo 1322 c.c. puo’ essere imposto esclusivamente da una norma di fonte primaria che intervenga a disciplinare una determinata attivita’ economica – per la peculiare rilevanza pubblica degli interessi coinvolti – in regime di “prezzi e tariffe amministrati” (articolo 41 Cost., comma 3; articolo 1339 c.c.);
– tale norma non viene individuata dalla ricorrente che si limita a richiamare la disciplina del Servizio sanitario pubblico che assicura a tutti i cittadini livelli essenziali uniformi di assistenza sanitaria, con spesa interamente a carico della Amministrazione pubblica, ma che concerne, per l’appunto la erogazione di prestazioni sanitarie o di prestazioni sanitarie “inscindibili” con quelle socio-assistenziali, e che presuppone, pertanto, che l’assistito debba essere sottoposto ad un programma trattamento terapeutico riabilitativo o conservativo, programma la cui esistenza, nella specie, neppure e’ stata allegata;
– relativamente alle prestazioni esclusivamente di natura “socio-assistenziale”, la L. 8 novembre 2000 n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali), “Ferme restando le competenze del Servizio sanitario nazionale in materia di prevenzione, cura e riabilitazione, nonche’ le disposizioni in materia di integrazione socio-sanitaria di cui al Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni” (articolo 22, comma 2), ha incluso nei livelli essenziali delle prestazioni sociali gli “interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l’inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonche’ per l’accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali e semiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilita’ personale o di limitazione dell’autonomia, non siano assistibili a domicilio;…” (articolo 22, comma 3, lettera g), prescrivendo che “Per i soggetti per i quali si renda necessario il ricovero stabile presso strutture residenziali, il comune nel quale essi hanno la residenza prima del ricovero, previamente informato, assume gli obblighi connessi all’eventuale integrazione economica” (articolo 6, comma 4), tenuto conto dei criteri determinati dalla regione “per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni” (articolo 8, comma 3, lettera l);
l’elemento differenziale tra prestazione socio-assistenziale “inscindibile” dalla prestazione sanitaria e prestazione socio-assistenziale “pura”, non sta, pertanto, nella situazione di limitata autonomia del soggetto, non altrimenti assistibile che nella struttura residenziale, ma sta invece nella individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che non puo’ essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socio-assistenziale, orbene, nel caso di specie, non e’ dato in alcun modo evidenziare quali trattamenti sanitari fossero in corso durante la lungodegenza della madre della ricorrente, non essendo, pertanto, dato verificare se la normativa applicabile debba essere ricondotta alla prestazione (sanitaria) integrata, ovvero invece – come sembra desumersi dal contratto di ricovero – alla prestazione di carattere meramente assistenziale, trattandosi di rette per la degenza di un’anziana non autosufficiente presso una struttura residenziale assistita – RA (cfr. in termini analoghi: Corte cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 17234 del 13/07/2017).
A differente conclusione si sarebbe dovuti pervenire nel caso in cui fosse stata dimostrata la natura inscindibile ed integrata della prestazione: in tal caso, infatti, l’intervento “sanitario- socio assistenziale” rimane interamente assorbito nelle prestazioni erogate dal Sistema sanitario pubblico, in quanto la struttura convenzionata/accreditata garantisce all’assistito dal SSR, attraverso il servizio integrato, il programma terapeutico, ed e’ quindi inserita a pieno titolo nell’ambito organizzativo e funzionale del Servizio sanitario pubblico, regolato da tariffe imposte che possono prevedere anche la compartecipazione alla spesa di altri enti o degli utenti, ma che non sono oggetto di libera pattuizione, in quanto la struttura convenzionata/accreditata eroga una prestazione di servizio (assistenza sanitaria obbligatoria), di contenuto predeterminato, in favore del soggetto cui e’ assicurata ex lege la tutela della salute, affidata al Servizio sanitario pubblico, alle condizioni quali-quantitative ed anche tariffarie determinate dal Piano sanitario nazionale e dai Piani sanitari regionali in base alle risorse finanziarie disponibili, condizioni e tariffe che detta struttura e’ tenuta ad accettare se intende svolgere tale attivita’. Ne segue che, ove ricorra la ipotesi predetta (prestazioni congiunte ed indissociabili necessarie ad assicurare la cura e la tutela della salute della persona), il frazionamento “forfetario” della spesa -tra Fondo sanitario nazionale e regionale, da un lato, ed intervento economico integrativo dei Comuni o dei privati, dall’altro-, determinato “in proporzione della incidenza” che rivestono le prestazioni di differente natura, opera pur sempre nell’ambito delle “competenze del Servizio sanitario nazionale materia di integrazione socio-sanitaria di cui al Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni”, e dunque rimane assoggettato ai limiti tariffari previsti per la spesa sanitaria (comprensiva nel caso di specie anche delle prestazioni socio-assistenziali integrate), non essendo pertanto ipotizzabili elementi di costo aggiuntivi, variabili a discrezione della struttura convenzionata/accreditata, non ricompresi nella determinazione tariffaria della prestazione sanitaria-socio assistenziale integrata, risultando in palese contrasto con la previsione legale della “assistenza sanitaria obbligatoria” l’esercizio della facolta’, rimessa all’ente erogatore del servizio, di subordinare la “prestazione di cura integrata” ad un previo accordo di natura privatistica con l’utente avente ad oggetto la determinazione in tutto od in parte del corrispettivo: nel caso di specie la previsione della delibera GR 1.8.2002 n. 662, determinativa delle rispettive quote “sanitarie” e “sociali”, in quanto reiterativa del criterio di ripartizione percentuale della spesa individuato nella Tabella, punto 1.0 del D.P.C.M. 29 novembre 2001, concerne evidentemente le “prestazioni sanitarie integrate inscindibilmente alle prestazioni socio-assistenziali in regime residenziale”, e dunque viene a realizzare una ripartizione interna – tra piu’ centri di spesa – del costo dell’ “unica prestazione integrata” che in quanto necessaria alla somministrazione della terapia di cura o conservativa della salute della persona, rientra nell’ambito delle prestazioni i cui oneri gravano sul Servizio sanitario pubblico.
Qualora la prestazione socio-assistenziale prescinda, invece, del tutto dalla congiunta realizzazione dello scopo terapeutico (ossia nel caso in cui il ricovero nella struttura residenziale non sia accompagnato da un “piano di cura personalizzato”), deve ritenersi irrilevante che la struttura residenziale, ove viene ricoverato l’anziano non autosufficiente, sia o meno in possesso – anche – dell'”accreditamento” necessario ai fini dell’inserimento nel Servizio sanitario pubblico, e dei requisiti prescritti per essere riconosciuta come RSA, atteso che in tale ipotesi la prestazione rimane certamente estranea all’ambito dell’assistenza sanitaria obbligatoria, ricadendo nella disciplina generale delle prestazioni sociali di cui alla L. n. 328 del 2000 che prevede soltanto una “integrazione economica” della relativa spesa a carico degli enti pubblici locali (Comuni), senza per cio’ prescindere dalla conclusione del contratto di ricovero tra l’utente (od altra persona che contrae in favore dell’utente-terzo) e la struttura residenziale, soggetti tra i quali viene a costituirsi il rapporto obbligatorio le cui condizioni possono essere oggetto di libera contrattazione, in difetto di norme imperative ostative all’esercizio della autonomia negoziale dei privati, ben potendo pertanto essere pattuito un diverso corrispettivo commisurato alla differente qualita’ dei servizi offerti dalla struttura residenziale.
In conclusione, indimostrato il percorso terapeutico del soggetto ricoverato nella struttura residenziale, la sentenza impugnata va esente dalla censura prospettata ed il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 1.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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