Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 28 novembre 2017, n. 28321. Se non vengono erogate prestazioni sanitarie ma esclusivamente di natura socio assistenziale è possibile l’autonoma regolazione del dovuto con i privati

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Con D.P.C.M. 14 febbraio 2001 e’ stato emanato l'”Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazione socio-sanitarie” che ha individuato le caratteristiche di tali prestazioni secondo la natura del bisogno, la complessita’, la intensita’ e la durata dell’intervento assistenziale, diversificando le “prestazioni sanitarie a rilevanza sociale” (erogate in regime ambulatoriale, domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali o semiresidenziali) di competenza delle Aziende sanitarie locali ed interamente a carico delle stesse, dalle “prestazioni sociali e rilevanza sanitaria” tra le quali vengono ricompresi anche “gli interventi di ospitalita’ alberghiera presso strutture residenziali e semiresidenziali di adulti ed anziani con limitazione dell’autonomia, non assistibili a domicilio” che sono invece di competenza dei Comuni e sono erogate con partecipazione alla spesa – stabilita dai Comuni -da parte dei cittadini. In particolare, con riferimento alle prestazioni sanitarie da erogare inscindibilmente alle prestazioni socio-assistenziali nelle forme di “lungo-assistenza semiresidenziali o residenziali”, l’Atto di indirizzo, nella Tabella allegata, individuava la partecipazione alla spesa a carico del servizio sanitario regionale nella misura del 50% del costo complessivo della retta (o in alternativa, nell’accollo dei costi integrali del personale sanitario, e del 30% delle altre voci di costo componenti la retta) ed a carico dei Comuni nella misura del residuo 50%, fatta salva la quota di detta percentuale che la Regione od i Comuni avessero inteso determinare a titolo di compartecipazione degli utenti.
Con D.P.C.M. 29 novembre 2001, ed in riferimento alla approvazione del Piano sanitario 1998-2000, sono stati definiti i “Livelli Essenziali di Assistenza” (LEA) ed e’ stato disciplinato il riparto di spesa per le prestazioni ricomprese nella allegata Tabella 1, punto “1.0 AREA INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA”, venendo definitivamente ad essere chiarito che, accanto alle “prestazioni sanitarie” in senso stretto, interamente a carico del Servizio sanitario pubblico, si collocavano – in quanto ricomprese nei LEA – le “prestazioni sanitarie di rilevanza sociale”, tali dovendo intendersi “le prestazioni nelle quali la componente sanitaria e quella sociale non risultano operativamente distinguibili e per le quali si e’ convenuta una percentuale di costo non attribuibile alle risorse finanziarie destinate al Servizio sanitario nazionale” (rimanendo fissato, in Tabella, il tetto di partecipazione alla spesa del Servizio sanitario regionale nella misura del 50% del costo complessivo). La disciplina introdotta dal D.P.C.M. 29 novembre 2001 ha quindi abbandonato la precedente classificazione, riconducendo nell’ambito del servizio sanitario le prestazioni cd. integrate (di natura sanitaria e socio-assistenziale), con la limitazione dell’intervento della spesa pubblica alla sola parte sanitaria della prestazione che, in quanto non distinguibile sul piano dei singoli servizi erogati, e’ stata individuata “forfetariamente” – secondo una valutazione legale presuntiva – in termini percentuali pari alla meta’ dell’importo della retta. Ovviamente esulano dalla indicata disciplina quelle prestazioni aventi natura socio-assistenziale, chiaramente individuabili per il loro contenuto esclusivamente come tali e che rimangono affidate alla competenza dei Comuni ed alla eventuale partecipazione dei privati alla relativa spesa.
Tanto premesso la questione sottoposta alla Corte puo’ riassumersi nel quesito se le tariffe indicate nella Delib. Giunta della regione Abruzzo 1 agosto 2002, n. 662 (recte: le quote di partecipazione alla spesa ripartite in misura giornaliera in Euro 37,95 a carico del Fondo sanitario regionale, ed Euro 32,80 a carico dei Comuni e dei privati chiamati a compartecipare) costituiscano limiti inderogabili del corrispettivo del servizio prestato per lungo-assistenza in regime residenziale ad anziani non autosufficienti, con conseguente invalidita’ o validita’ del contratto di servizio stipulato dalla Cooperativa con la (OMISSIS) in cui il corrispettivo per la quota concernente la prestazione socio-assistenziale veniva determinata prevedendo anche l’importo maggiorato giornaliero di Euro 3,26 per “quota alberghiera”, con impegno assunto dalla stessa contraente ad accettare eventuali variazioni in aumento della retta. A decorrere dall’1.9.2010 la “quota alberghiera” era stata, infatti, incrementata ad Euro 13,20 giornaliere (cfr. ricorso pag. 16; controricorso, pag. 4-5).
Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione del D.P.C.M. 8 agosto 1985 e del D.P.C.M. 29 novembre 2001, con riferimento alla L. n. 833 del 1978, articolo 5 sostenendo che la disciplina di settore non consentiva di distinguere nell’ambito delle prestazioni socio-assistenziali sanitarie la quota di spesa “alberghiera” dalle altre voci di costo della retta, trattandosi di prestazione indistinguibile dalle altre (sanitaria, tutelare, assistenziale).
Con il secondo motivo la sentenza del Tribunale viene impugnata per violazione degli articoli 1321, 1339, 1343, 1344, 1418, e 1419 c.c.; delib. GR Abruzzo n. 662 del 2002; D.P.C.M. 8 agosto 1985, articoli 1 e 6; L. n. 833 del 1978, articolo 5. Sostiene la ricorrente che vertendosi in tema di prestazioni “inscindibili” il provvedimento regionale che aveva determinato le quote di riparto della spesa sanitaria ed assistenziale, veniva a definire non soltanto la partecipazione del Fondo sanitario regionale, ma anche la quota “massima” di partecipazione del Comune e dei privati, sottraendo l’importo della retta, quale che sia la voce di costo, alla autonomia negoziale delle parti.
I motivi che possono essere esaminati congiuntamente, investendo la interpretazione delle medesime norme di diritto e l’applicazione dei medesimi provvedimenti amministrativi generali, debbono ritenersi entrambi infondati.
Il primo motivo e’ inammissibile non essendo denunciata la violazione di norme di diritto ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma la ipotizzata violazione di atti amministrativi generali, in tale categoria dovendo ascriversi anche gli atti adottati, nella forma del D.P.C.M., nell’esercizio della “funzione di indirizzo e coordinamento” prevista dalla L. 23 dicembre 1978, n. 833, articolo 5 e che non hanno capacita’ innovativa dell’ordinamento giuridico e non rispondono ai requisiti formali richiesti per le fonti di diritto secondarie dalla L. 23 dicembre 1988, n. 400, articolo 17 analogamente agli atti di indirizzo e coordinamento previsti e disciplinati dalla L. 15 marzo 1997, n. 59, articolo 8, comma 1 e dalla L. 23 agosto 1988, n. 400, articolo 2, comma 3, lettera d).
Infondato e’ invece il secondo motivo con il quale si fa valere la nullita’ per contrarieta’ a norma imperativa, della clausola determinativa della variazione del corrispettivo delle prestazioni rese nella esecuzione del contratto di ricovero residenziale.
Osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimita’, sulla premessa normativa secondo cui l’assistenza sanitaria pubblica e’ resa a titolo gratuito (L. 23 dicembre 1978, n. 833 istitutiva del Sevizio sanitario nazionale, articolo 3, comma 2; articolo 53), ha enunciato i seguenti principi in materia:
– se vengono erogate “prestazioni sanitarie”, ogni pattuizione tra la struttura convenzionata/accreditata e l’assistito volta a stabilire un corrispettivo per le prestazioni di cura e’ affetta da nullita’ per difetto di causa;
– se vengono erogate prestazioni aventi “natura non sanitaria”, ossia prestazioni esclusivamente di “natura sociale-assistenziale”, eventuali limiti previsti da norme di fonte primaria o secondaria o da provvedimenti amministrativi generali per le quote di partecipazione alla spesa degli enti pubblici territoriali od istituzionali, non escludono la autonoma determinazione del corrispettivo tra strutture erogatrici dei servizi ed utenti (Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 19642 del 18/09/2014; id. Sez. 3 -, Sentenza n. 17234 del 13/07/2017)
– nel caso in cui le prestazioni di natura sanitaria non possano, invece, essere eseguite “se non congiuntamente” alla attivita’ di natura socio-assistenziale, tal che’ non sia possibile discernere il rispettivo onere economico, prevale in ogni caso la natura sanitaria del servizio, in quanto le altre prestazioni – di natura diversa – debbono ritenersi avvinte alle prime da un nesso di strumentalita’ necessaria essendo dirette a consentire la cura della salute dell’assistito, e dunque la “complessiva prestazione” deve essere erogata a titolo gratuito (Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 4558 del 22/03/2012; id. Sez. L, Sentenza n. 22776 del 09/11/2016).

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