Corte di Cassazione, sezione terza civile, ordinanza 16 ottobre 2017, n. 24295. Nei contratti autonomi di garanzia, lo scollamento tra il rapporto di valuta e quello di garanzia non può spingersi fino a reputare indifferente rispetto all’obbligazione garante

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Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma semplificata.
Con il primo motivo la ricorrente deduce la “violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 554 del 1999, articolo 101 e degli articoli 1374 e 1375 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, sostenendo che la norma del regolamento di attuazione della L. n. 109 del 1994, che disciplina la polizza cauzionale in materia di lavori pubblici, non si limita a garantire soltanto i crediti della stazione appaltante al recupero di somme erogate all’appaltatore e che non trovano riscontrano nella contabilizzazione lavori, ma anche i crediti vantati a titolo di risarcimento del danno, includendo quindi tutte le obbligazioni derivanti dal contratto anche in virtu’ di integrazione di fonte legale ex articolo 1374 c.c.. Secondo la ricorrente il principio di correttezza e buona fede impone alle parti contraenti il dovere di salvaguardare anche l’interesse della controparte e costituisce un obbligo la cui violazione e’ suscettibile di produrre un danno risarcibile, con la conseguenza che l’inadempimento dell’obbligo restitutorio ex articolo 2033 c.c., comportando la violazione di tale dovere, determina un pregiudizio patrimoniale che, in quanto avente natura risarcitoria, deve intendersi ricompreso nella garanzia fidejussoria.
Il motivo pecca di specificita’ in relazione al requisito prescritto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 3), difettando la verificabilita’, alla stregua del solo ricorso (non potendo soccorrere in via integrativa, ne’ la sentenza impugnata, ne’ gli atti difensivi dei controricorrenti), della riconducibilita’ della fattispecie concreta – che non viene descritta – agli argomenti giuridici svolti a sostegno della censura.
Osserva il Collegio che la tesi difensiva del ricorrente, che intende agganciare l’obbligazione restitutoria dell’indebito al dovere di buona fede nella esecuzione del contratto, potrebbe avere un suo fondamento giuridico laddove fosse stata meglio specificata la natura “qualificata” della prestazione indebita, in quanto cioe’ ricollegata anch’essa alla esecuzione del contratto e non invece riconducibile al mero titolo della “acausalita’” della prestazione, quale spostamento di natura patrimoniale del tutto privo di giustificazione, in assenza di alcun preesistente rapporto giuridico produttivo di vincoli tra le parti (ipotesi contemplata dalla fattispecie di indebito oggettivo delineata dall’articolo 2033 c.c.). Difetta in sostanza qualsiasi elemento indicativo di un riferimento della prestazione di pagamento indebito all’adempimento della prestazione dovuta in base al contratto, ma eseguita in modo inesatto, configurandosi in tal caso la inesattezza quale disformita’ tra l’oggetto della prestazione considerato nel programma negoziale e quello della prestazione eseguita in concreto, disformita’ che puo’ aversi non soltanto per difetto ma anche per eccedenza e che legittima il rifiuto del creditore che non abbia interesse a riceverla (articoli 1218 e 1220 c.c.), operando in tale prospettiva quale criterio oggettivo per valutare i giusti motivi del rifiuto, e quindi per verificare l’osservanza del principio di correttezza e buona fede in relazione all’apprezzamento in concreto della idoneita’ della prestazione (nella specie) “eccedente” a soddisfare comunque l’interesse o l’utilita’ del creditore (rendendosi – pertanto – legittimo il rifiuto, in caso di prestazione oggettivamente divisibile, soltanto per la prestazione in eccedenza che – se ad esempio consistente nella consegna di beni in quantita’ superiore a quella pattuita – il debitore e’ tenuto a proprie spese a ritirare ed il creditore – ove abbia comunque preso i beni in consegna – e’ tenuto a restituire).
Possono, infatti, configurarsi obblighi restitutori, nascenti dalla esecuzione delle prestazioni contrattuali, che non devono per cio’ stesso iscriversi nello schema normativo dell’indebito oggettivo ex articolo 2033 c.c., trovando fondamento nello stesso titolo negoziale che regola i diritti e le obbligazioni delle parti contraenti.

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