Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 4 dicembre 2017, n. 54521. Non integra il delitto di appropriazione indebita, ma un mero inadempimento di natura civilistica, la condotta del promittente venditore che non restituisce l’acconto a seguito di risoluzione del contratto

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Ora, e’ del tutto evidente, sulla base della citata sentenza, che nessuna appropriazione indebita e’ configurabile per non avere l’imputato restituito l’acconto ricevuto: infatti, il mancato adempimento del successivo obbligo di restituzione – derivante dalla risoluzione del contratto – ed assunto con la scrittura del 22/04/2008, va ritenuto solo un inadempimento di natura civilistica.
D’altra parte, nessun vincolo di destinazione e’ ipotizzabile rispetto alla somma che l’ (OMISSIS) ricevette dalla nuova acquirente per effetto del nuovo e diverso contratto di vendita. Infatti, la (OMISSIS), sulla suddetta somma non poteva vantare alcun diritto perche’ ella non era proprietaria (ma semplice promissaria acquirente di un contratto peraltro risolto) dell’immobile.
L’appropriazione indebita, infatti, e’ configurabile nei confronti di chi si appropri del denaro “altrui” e tale (cioe’ della (OMISSIS)) non poteva essere considerato il denaro che la nuova acquirente verso’ all’ (OMISSIS) per l’acquisto dell’immobile.
Che l’ (OMISSIS) fosse inadempiente all’obbligo assunto di restituire gli acconti ricevuti, una volta che avesse trovato un nuovo acquirente, non e’ dubbio: ma si tratta, appunto, solo di un inadempimento di natura civilistica che nulla ha a che vedere con l’appropriazione indebita, come correttamente ha ritenuto la Corte di Appello.
2. La violazione dell’articolo 629 c.p..
Corretta deve ritenersi anche la decisione in ordine alla qualificazione giuridica delle minacce – finalizzate alla ritrattazione della denuncia – come violenza privata.
In punto di diritto, costante e’ il principio secondo il quale “in tema di delitti contro la liberta’ individuale, se la coartazione da parte dell’agente e’ diretta a procurarsi un ingiusto profitto, anche di natura non patrimoniale, con altrui danno – che rivesta pero’ la connotazione di ordine patrimoniale e consista in una effettiva “deminutio patrimonii” – ricorre il delitto di estorsione e non quello meno grave di violenza privata”: Cass. 9958/1997 Rv. 208938; Cass. 38661/2011 riv 251052; Cass. 15716/2011 Rv. 249940.
In altri termini, se e’ vero che l’ingiusto profitto, da parte dell’agente, puo’ anche non essere di natura strettamente patrimoniale, e’ tuttavia necessario, perche’ sia configurabile il reato di estorsione, che la vittima, per effetto della minaccia, subisca un danno di natura patrimoniale.
Ed e’ proprio in tale ottica che, questa Corte ha chiarito che “integra il reato di tentata violenza privata e non gia’ di tentata estorsione la minaccia diretta a costringere altri a ritirare la denuncia presentata nei confronti di un terzo, non essendo il vantaggio derivante dal ritiro della stessa connotato da contenuto patrimoniale o di utilita’ economica”: Cass. 46609/2009 Rv. 245419: principio questo che va ribadito proprio perche’, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, dal “ritiro” della denuncia – per quanto cio’ fosse possibile – la ricorrente non avrebbe avuto alcun nocumento di contenuto patrimoniale.
3. In conclusione, l’impugnazione deve rigettarsi con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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