Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 4 dicembre 2017, n. 54521. Non integra il delitto di appropriazione indebita, ma un mero inadempimento di natura civilistica, la condotta del promittente venditore che non restituisce l’acconto a seguito di risoluzione del contratto

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Questo principio e’ stato, poi, espressamente e nuovamente confermato dalle SS.UU. che con la sentenza n. 37954/2011 Rv. 250974 (§ 12.4 ss), in relazione all’appropriazione di somme di denaro ha precisato e chiarito che “il legislatore non ha inteso utilizzare la nozione di altruita’ nel senso, strettamente civilistico, di proprieta’ distinguibile dalla disponibilita’. Per il diritto civile la proprieta’ delle cose fungibili si trasferisce, per specificazione e separazione, con il trasferimento del possesso, e il denaro e’ percio’ destinato a confondersi con il patrimonio di chi lo possiede, ne’ in relazione ad esso sono configurabili diritti reali di terzi.
Anche nel caso che taluno abbia ricevuto da altri una somma, per custodirla o per impiegarla in un certo modo, incombe sull’accipiente soltanto l’obbligo di rendere o di impiegare l’equivalente, a scadenza, secondo pattuizione, non il divieto di farne, nel frattempo, uso. Il riferimento, nell’articolo 646 c.p., al possessore di denaro altrui, e’ invece indice certo che per il diritto penale la regola della indistinguibilita’ tra disponibilita’ e proprieta’ di cose fungibili non puo’ valere indiscriminatamente (….). Nonostante l’ampliamento della nozione di altruita’, nulla consente di ricondurre ad essa qualsivoglia diritto di credito, fosse anche liquido ed esigibile. Impedisce, al contrario, di considerare costitutiva di appropriazione indebita ogni condotta di inadempimento di un’obbligazione che veda come prestazione o controprestazione, seppure vincolata, la dazione a un terzo di una somma di denaro, se non altro il fatto che l’inadempimento di una mera obbligazione e’ gia’ sanzionata penalmente e piu’ lievemente dall’articolo 641 c.p., ma esclusivamente nell’ipotesi in cui essa sia stata assunta, ab origine, con il proposito di eluderla e dissimulando lo stato d’insolvenza. Efficace indicazione per una regolazione di confini proviene da Sez. 2, n. 7770 del 09/02/2010, Di Bernardo (non massimata), laddove osserva che sarebbe irragionevole “assegnare ad una stessa condotta materiale di interversione del possesso una portata differenziata a seconda della natura del bene – fungibile o infungibile – quando e’ lo stesso testo normativo a parificare sotto questo profilo il precetto, facendo espresso riferimento, quale oggetto della condotta appropriativa, al denaro o ad altra cosa mobile altrui”. E’ la stessa formulazione normativa, in altre parole, che impone all’interprete di considerare il denaro, al quale l’agente ha dato una destinazione diversa da quella dovuta, come se fosse una qualsiasi altra cosa mobile infungibile. Se denaro o cosa facevano parte del patrimonio dell’inadempiente quando ha assunto l’obbligo di impiegarli o destinarli a favore di un terzo, egli sara’ senz’altro responsabile con l’intero suo patrimonio per l’inadempimento, ma non potra’ essere sottoposto ad azione di rivendicazione ne’ potra’ imputarglisi alcuna interversione del possesso o condotta appropriativa. Se l’inadempiente ha invece ricevuto il denaro o la cosa per impiegarli o destinarli nell’interesse del terzo, la sua condotta di apprensione (appropriazione) e sottrazione (espropriazione) del bene alla destinazione in vista della quale ne aveva acquisito la disponibilita’, costituira’, che abbia o non abbia ad oggetto un bene infungibile suscettibile di rivendicazione, appropriazione indebita rilevante ai sensi dell’articolo 646 c.p. (….).
Piu’ in generale, il principio e’ che puo’ essere ritenuto responsabile di appropriazione indebita colui che, avendo ricevuto una somma di denaro o altro bene fungibile per eseguire o in esecuzione di un impiego vincolato, se l’appropri dandogli destinazione diversa e incompatibile con quella dovuta (…).

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