Corte di Cassazione, sezione seconda penale, sentenza 26 settembre 2017, n. 44247. Legittimo il sequestro delle somme, provento di truffa, depositate nei conti bancari se utile a scongiurare il rischio di “transiti” su conti diversi

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Ed in effetti tali atti – il decreto di sequestro del P.M. e l’ordinanza di convalida del g.i.p. – sebbene richiamino genericamente l’articolo 321 c.p.p. si riferiscono in termini inequivoci all’ipotesi prevista dal primo comma che menziona “il pericolo che la libera disponibilita’ di un cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze del reato”, con specifica motivazione sul punto, sottolineandosi l’abilita’ del (OMISSIS) nel trasferire le somme sottratte alle vittime delle truffe da un conto corrente ad un altro, in stretta successione temporale e su conti comunque riferibili allo stesso indagato; cio’ all’evidente fine di ostacolare operazioni di tracciabilita’ del denaro e di assicurarsi in via definitiva l’indebito incremento patrimoniale.
Tale finalita’, sottesa alle osservazioni del g.i.p. e’ stata esplicitata dal giudice del riesame che – riscontrando e disattendendo un rilievo a riguardo dell’istante – ha appunto rilevato che “il blocco delle somme” costituiva rimedio alla veicolazione del denaro che la spiccata abilita’ degli indagati poneva a rischio di dispersione senza possibilita’ di recupero.
La motivazione sotto tale profilo e’ esaustiva perche’ conferma l’esistenza del periculum in mora in relazione alla specifica ipotesi di cui all’articolo 321 c.p.p., comma 1, posto che disporre il vincolo reale sul provento delle truffe – rintracciato, a seguito di indagini bancarie, e “intercettato” su un conto della (OMISSIS) mentre su esso transitava – significa evitare la protrazione delle conseguenze dei reati (id est la sottrazione definitiva delle somme e la perdita della possibilita’ di restituzione delle stesse ai soggetti truffati).
E’ pur vero che il Tribunale conclude il proprio ragionamento con riferimento ad un’altra finalita’ (“poter assicurare l’efficacia di un’eventuale confisca in quanto profitto dei reati contestati”), spostando quindi la fattispecie fino a quel momento ancorata all’articolo 321 c.p.p., comma 1 alla diversa ipotesi prevista dal comma successivo; ed e’ pacifico anche il principio di diritto piu’ volte affermato da questa Corte, richiamato anche nella requisitoria della Procura Generale, secondo cui e’ illegittima l’ordinanza con cui il Tribunale, in sede di riesame del sequestro preventivo disposto su conforme richiesta del pubblico ministero ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 1, confermi la misura cautelare reale per finalita’ di confisca ai sensi dell’articolo 321 c.p.p., comma 2, atteso che in tal modo lo stesso non si limita com’e’ nel suo potere – ad integrare la motivazione del decreto impugnato, ma sostanzialmente adotta un diverso provvedimento di sequestro in pregiudizio del diritto al contraddittorio dell’interessato (in termini Cass. Sez. 5 n. 54186 del 22/09/2016 – dep. 20/12/2016 – Rv. 268748).
Nel caso di specie tuttavia non e’ riscontrabile alcuna lesione del contraddittorio perche’ la verifica del periculum in mora e’ stata effettuata alla stregua dei criteri previsti in tema di sequestro preventivo ex articolo 321 c.p.p., comma 1 – unica ipotesi della quale si discute, come riconosciuto dalla stessa difesa del ricorrente – con la conseguenza che il riferimento alla confisca puo’ ritenersi si’ fuorviante ed ultroneo ma non tale da inficiare il nucleo essenziale della motivazione, coerente con i principi di diritto che disciplinano la materia e con le circostanze in fatto che caratterizzano la fattispecie.
Diversamente argomentando prevarrebbe un dato meramente formale sulla sostanza del ragionamento del giudice dell’impugnazione, in contrasto con quanto gia’ da tempo rilevato da questa Corte allorche’ ebbe modo di affermare sia pure con riferimento ad una diversa fase del giudizio ed alla pronuncia emessa all’esito di esso – che le considerazioni ultronee, contenute nella motivazione di una sentenza, ma non aventi alcun riflesso sulla correttezza della decisione espressa dal dispositivo, non giustificano l’annullamento della sentenza stessa (Sez. 3, Sentenza n. 8878 del 11/05/1979 – dep. 26/10/1979 – Rv. 143245).
5. Al rigetto del ricorso segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna della societa’ ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del giudizio.

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