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Il terzo motivo di ricorso di (OMISSIS) allega ancora un omesso esame di fatti anche in relazione all’articolo 115 c.p.c., quanto all’affermazione della Corte d’Appello di Roma secondo cui “non e’ chiaro chi effettivamente fosse la parte mutuataria (considerato sia il tenore della denuncia-querela che il testamento)”, e “in ogni caso non risulta che alla data di chiusura del conto la banca fosse obbligata per ulteriori somme”.
Il quarto motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di fatti anche in relazione all’articolo 2727 c.c. e ss., ed all’articolo 115 c.p.c., quanto alle “vendite” di proprieta’ immobiliari compiute da (OMISSIS), che avrebbero potuto alimentare la provvista sul conto cointestato.
Il quinto motivo di ricorso allega la violazione degli articoli 2727 2729 c.c., circa l’uso delle presunzioni fatto dalla Corte d’Appello.
Il sesto motivo di ricorso censura l’omesso esame quanto alla documentazione allegata alla lettera della (OMISSIS) del 22 aprile 1997, che negava qualsiasi versamento di somme sul conto (OMISSIS) dopo quello iniziale.
Il settimo motivo di ricorso deduce la violazione degli articoli 112 e 115 c.p.c., in quanto lo stesso convenuto (OMISSIS) si era difeso gia’ nel costituirsi in primo grado senza allegare di aver in qualche modo alimentato la somma depositata sul conto cointestato.
I sette motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente per la loro connessione e si rivelano fondati nei limiti di seguito precisati.
Va premesso come l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile nella specie ratione temporis, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisivita’”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per se’, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorche’ la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. Non di meno, pur dopo tale riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rimane denunciabile in cassazione l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).
La sentenza della Corte d’Appello di Roma risulta allora strutturata su una motivazione apparente, o comunque obiettivamente incomprensibile, in quanto essa ha respinto l’impugnazione principale di (OMISSIS) e parzialmente accolto l’appello incidentale di (OMISSIS), senza rendere percepibile il fondamento della decisione, precludendo all’attuale ricorrente la possibilita’ di assolvere l’onere probatorio su di esso gravante e ricorrendo ad argomentazioni inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento.
Riformando sul punto la decisione del Tribunale, la Corte d’Appello ha ritenuto non superata la presunzione di proprieta’ comune delle somme cointestate sul conto depositato, non avendo la signora (OMISSIS) provato “la fonte delle ingenti somme depositate sul conto”; la Corte di Roma ha poi negato rilevanza alle circostanze dell’avvenuta vendita di immobili da parte di (OMISSIS), della notevole esposizione debitoria del medesimo (OMISSIS) verso la madre (documentata da assegno di Lire 385.000.000), e della soggezione di (OMISSIS) a numerose procedure esecutive, anche da parte della stessa (OMISSIS). Di conseguenza, la Corte d’Appello ha diviso tra i due correntisti cointestatari il saldo attivo esistente sul conto al 31 marzo 1995.

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