Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 27 novembre 2017, n. 28233. La responsabilità regolata dall’art. 1669 c.c. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura non contrattuale

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1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli articoli 1667 e 1669 c.c., nonche’ la omessa e contraddittoria motivazione in ordine all’applicabilita’ delle dette norme (in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte territoriale ritenuto che egli non avesse censurato l’affermata (da parte del giudice di prime cure) applicabilita’, alla fattispecie in esame, dell’articolo 1669 c.c. e per non aver, comunque, condiviso le doglianze concernenti l’inosservanza dei termini di cui alla disposizione menzionata.
1.1. Il motivo e’ inammissibile e, comunque, infondato.
In primo luogo, non attinge l’effettiva ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata, la quale ha posto in rilievo (cfr. fine pag. 19 – inizio pag. 20 della sentenza) l’impostazione difensiva degli allora appellanti che, pur richiamando i termini per la denuncia dei vizi e per la proposizione della relativa azione di responsabilita’ di cui all’articolo 1667 c.c., non avevano censurato l’ulteriore profilo dell’affermata applicabilita’ dell’articolo 1669 c.c. per il tipo e per l’entita’ dei vizi allegati dagli attori e riscontrati dai consulenti d’ufficio, tali da aver compromesso la stessa statica dell’edificio.
In secondo luogo, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente omette di trascrivere, almeno nei suoi passaggi maggiormente significativi, la comunicazione da lui resa per iscritto in data 25.7.1996, dalla cui lettura complessiva si sarebbe dovuto desumere, secondo il suo assunto, la conoscenza a quell’epoca, da parte dei committenti, delle lesioni, con conseguente decorrenza da allora del termine per la denunzia dei vizi.
In terzo luogo, fermo restando che nessuna violazione e’ configurabile degli articoli 1667 e 1669 c.c. (avendo la corte d’appello correttamente applicato quest’ultima norma e fattone derivare le conseguenze sul piano della tempestivita’ della denuncia dei vizi e dell’esperimento dell’azione), come e’ noto, in base all’articolo 360, comma 1, n. 5), nella precedente formulazione applicabile ratione temporis, il vizio deducibile deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non puo’ risolversi nella denuncia della difformita’ della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza la (dedotta) erroneita’ della decisione non puo’ basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo ad una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed e’ sottratta al controllo di legittimita’ della Cassazione.
In particolare, il vizio di contraddittorieta’ della motivazione ricorre solo in presenza di argomentazioni contrastanti e tali da non permettere di comprendere la ratio decidendi che sorregge il decisum adottato, per cui non sussiste motivazione contraddittoria allorche’, dalla lettura della sentenza, non sussistano incertezze di sorta su quella che e’ stata la volonta’ del giudice (Sez. U, Sentenza n. 25984 del 22/12/2010; conf. Sez. 1, Sentenza n. 3270 del 18/02/2015).
Cio’ debitamente premesso, nel caso di specie il ricorrente sollecita solo una differente rivalutazione del materiale probatorio, ribadendo in modo apodittico che si sarebbero dovuti applicare i termini di decadenza e di prescrizione di cui all’articolo 1667 c.c. (cfr. pagg. 24-25 del ricorso, avuto riguardo al reiterato richiamo al termine di 60 giorni per la denuncia dei vizi) e che gia’ nel mese di luglio del 1996 gli originari attori avrebbero acquisito un’apprezzabile grado di conoscenza oggettiva della gravita’ dei fatti.
D’altra parte, sul punto, la corte cagliaritana e’ stata inequivoca nell’evidenziare (cfr. pag. 21) che gli allora appellati, anche avendo, con la lettera del 25.7.1996, ricevuto rassicurazioni dal direttore dei lavori (nella persona del geom. (OMISSIS)), non fossero, all’epoca in cui avevano segnalato le prime fessurazioni sui muri, a conoscenza della effettiva natura dei vizi e delle relative cause.
Ad analoga conclusione la corte di merito e’ pervenuta (cfr. fine pag. 21) con riferimento alle contestazioni mosse nel febbraio del 1997.
1.2. Circa la valenza interruttiva a riconoscersi al ricorso depositato per l’a.t.p., la corte territoriale ha adeguatamente argomentato (cfr. pagg. 22-23 della sentenza), anche richiamando due precedenti giurisprudenziali specifici di questa Corte, l’affermazione, pur ribadendo che l’apprezzabile conoscenza delle cause dei vizi lamentati era stata acquisita solo successivamente con il deposito (avvenuto nel maggio del 1998) della relativa perizia.
2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente alla valutazione della perizia di parte allegata all’atto d’appello (con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per aver la corte di merito omesso di valutare quanto riportato nella stessa e poi trascritto nell’atto di appello.
2.1. Il motivo e’ inammissibile e, comunque, infondato.
In tema di ricorso per cassazione, e’ inammissibile la mescolanza e la sovrapposizione di mezzi d’impugnazione eterogenei, facenti riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello dell’omessa motivazione, che richiede l’assenza di motivazione su un punto decisivo della causa rilevabile d’ufficio, e l’insufficienza della motivazione, che richiede la puntuale e analitica indicazione della sede processuale nella quale il giudice d’appello sarebbe stato sollecitato a pronunciarsi, e la contraddittorieta’ della motivazione, che richiede la precisa identificazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si porrebbero in contraddizione tra loro. Infatti, l’esposizione diretta e cumulativa delle questioni concernenti l’apprezzamento delle risultanze acquisite al processo e il merito della causa mira a rimettere al giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, onde ricondurle ad uno dei mezzi d’impugnazione enunciati dall’articolo 360 c.p.c., per poi ricercare quale o quali disposizioni sarebbero utilizzabili allo scopo (Cass. n. 19443/11). Tale affastellamento di profili impedisce di distinguere tra l’una e l’altra censura e di coglierne i rispettivi significati incasellandoli nei vizi di legittimita’ previsti dall’articolo 360 c.p.c..
Inoltre, in violazione del principio di autosufficienza, il ricorrente ha omesso di trascrivere, almeno nei suoi passaggi salienti, la perizia di parte, onde porre questa Corte nelle condizioni di valutare se effettivamente la sua lettura avrebbe condotto a ricostruire i fatti in modo differente da come riportato in sentenza.
In ogni caso, la corte d’appello ha chiaramente affermato (cfr. fine pag. 23 della sentenza) che, da un lato, la relazione di parte, sul piano probatorio, aveva la natura di mera esposizione di difese tecniche e, dall’altro lato, essendo stata quasi integralmente trasfusa nell’atto di appello, sarebbe stata presa in considerazione nell’analisi dei vari motivi di doglianza.
2.2. Per quanto concerne la censura relativa all’asserita realizzazione, ad opera dei committenti, di ulteriori lavori tra il momento della sospensione degli stessi e quello del rilascio della concessione per manutenzione straordinaria (avvenuta il 3.7.1997), se ne rileva la inammissibilita’ (non avendo il ricorrente trascritto l’a.t.p. e le lettere racc.te a/r del 25.7.1996 e del 14.9.1996, dai quali documenti sarebbe, secondo il suo assunto, emerso il compimento di siffatte ulteriori lavorazioni che avrebbero creato di fatto una situazione di insostenibile spinta sulle pareti perimetrali dell’edificio) e, comunque, la infondatezza (alla luce di quanto rilevato dalla corte d’appello a pag. 28 della sentenza).
3. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione degli articoli 1453 e 2226 c.c., nonche’ la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione relativamente all’applicazione delle dette norme (con riferimento all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5), per aver la corte locale escluso, senza fornire alcuna motivazione, l’applicabilita’ al caso di specie dell’articolo 1453 c.c. (in luogo dell’articolo 1669 c.c.), nonostante l’opera non fosse stata completata, e dell’articolo 2226 c.c., con i conseguenti termini di decadenza e di prescrizione, nonostante l’esecuzione di un progetto da parte di un tecnico rientrasse nell’ambito delle obbligazioni di risultato.
3.1. Il motivo e’ inammissibile e, comunque, infondato.

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