Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 17 ottobre 2017, n. 24470. Ai fini della disciplina della costituzione della servitu’ coattiva di attraversamento di fondi da parte di ferrovie

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5.3. – Venendo dunque al profilo da affrontarsi ex professo, ai fini della ricostruzione del campo di applicazione della disposizione dell’articolo 5 Testo Unico cit. va considerato che il precedente articolo 4 detta disposizioni relative alle due categorie di ferrovie private, ricomprendendo nella prima categoria le ferrovie che corrono esclusivamente su terreni di chi le costruisce, mentre ricadono nella seconda “quelle che toccano in qualsivoglia modo le proprieta’ altrui, le pubbliche vie di comunicazione, i corsi d’acqua pubblici, gli abitati ed ogni altro sito od opera pubblica”; per queste ultime soltanto – cui come detto ex articolo 55 Testo Unico e’ equiparata la posizione di esercente uno stabilimento che necessiti di un raccordo o di un allacciamento a ferrovia – la disciplina legale pone requisiti, anche di costruzione, piu’ stringenti, stante la rilevanza per “la sicurezza delle perSone e delle cose e la pubblica igiene”. In tale contesto si Inserisce la successiva disposizione dell’articolo 5 che, sotto la rubrica “Servitu’ coattive di passaggio”, inserisce disposizioni tratte dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F), secondo le quali tra l’altro “Le proprieta’ private, che debbono intersecarsi cori le ferrovie private della seconda categoria, sono soggette alla servitu’ del passaggio coattivo, e coloro che costruiscono le dette strade ferrate debbono adempiere agli obblighi tutti dalla legge imposti per l’acquisto della servitu’ coattiva dr, acquedotto”.
5.4. – Proprio sul riferimento, operato dalla disposizione dell’articolo 5, agli “obblighi (…) dalla legge imposti per l’acquisto della servitu’ coattiva di acquedotto ” la sentenza impugnata (p. 4) ha costruito una presunta applicabilita’ della disciplina “soltanto ove venga soddisfatta la condizione” della “realizzazione di una nuova strada ferrata”, atteso che “la proprietaria (…) non intende consentire il passaggio dei convogli altrui”. Tale “condizione” la corte abruzzese ha ricavato intendendo il rinvio operato dalla norma a quelle codicistiche in tema di acquedotto cattivo comprensivo del richiamo dell’articolo 1034 c.c., che prevede che il richiedente servitu’ coattiva debba costruire un proprio acquedotto e non possa “far defluire le acque negli acquedotti gia’ esistenti”.
5.5. – In proposito, puo’ ritenersi esentata anzitutto questa corte dallo svolgere considerazioni, altrimenti necessarie, circa la natura fissa o mobile del rinvio effettuato dall’articolo 5 agli “obblighi (…) dalla legge imposti per l’acquisto della servitu’ coattiva di acquedotto”; tale problema, non esaminato dalla corte aquilana pur essendo, all’epoca di entrata in vigore del t.u. cit., il riferimento evidentemente operato – tra l’altro – al cod. civ. del 1865, puo’ essere trascurato ai fini che interessano in quanto le disposizioni dei primi due commi dell’articolo 1034 c.c. del 1942. Sono sostanzialmente una riscrittura, seppur non testuale (in particolare, cori la sostituzione della dizione “canale” con quella piu’ ampia di “acquedotto”), di quelle previgenti dell’articolo 599 c.c. del 1865.
5.6. – In secondo luogo, se e’ vero che la lettura dei due commi anzidetti conferma che il proprietario del fondo, soggetto alla servitu’ di acquedotto ha una mera facolta’ di consentire il passaggio nei propri acquedotti gia’ esistenti, ove voglia impedire la costruzione di una nuova adduzione, che resta il diritto che in via primaria il richiedente la servitu’ di acquedotto deve indirizzarsi a ottenere (cfr., per l’inapplicabilita’ del divieto di deflusso di acque in opere altrui alla diversa servitu’ di scarico coattivo di bonifica ai sensi dell’articolo 1045 c.c., Cass. n. 1258 del 10/04/1976), non corrisponde affatto a una corretta esegesi della norma postulare, alla luce della sua ratio, il divieto assoluto per il richiedente la servitu’ di rivolgere il suo petitum all’utilizzo di opere preesistenti, senza considerare in alcun modo lo stato e l’utilizzo di dette opere. Se, infatti, come attestato dalla tradizione, la ratio delta norma e’ quella di evitare aggravi all’uso del proprio acquedotto da parte del proprietario del fondo servente, e’ del tutto conforme a detta ratio interpretare la norma – come operato dalla giurisprudenza di questa corte, senza che ne abbia tenuto conto la corte di merito – nel senso che, ai fini dell’operativita’ del divieto di deflusso di acque in opere preesistenti, debba essere allegata, con onere a carico del proprietario del fondo servente, la necessita’ o la possibilita’ di un proprio utilizzo ai fini del deflusso di acque. In tal senso, Cass. n. 82 del 1/01/1951 ha chiarito che non viola l’articolo 1034 c.c., prima parte, la sentenza che riconosca una servitu’ coattiva di acquedotto attraverso una condotta gia’ esistente sul fondo, e gia’ destinata alla stessa funzione, senza che il proprietario del fondo servente avesse mai prospettato necessita’ o possibilita’ di adibirla per il corso di altre acque. Analogamente, la letteratura giuridica offre richiami di precedenti che affermano essere consentito che il titolare della servitu’ di acquedotto chieda l’uso di opere idriche in abbandono (canali abbandonati, fossi morti, pozzi vuoti), eseguendo a sue spese quanto occorra per detto utilizzo.

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