[….segue pagina antecedente]
Sul punto, si e’ evidenziato che il profilo soggettivo e personale della colpa viene individuato nella capacita’ soggettiva dell’agente di osservare la regola cautelare, nella concreta possibilita’ di pretendere l’osservanza della regola stessa, e quindi nell’esigibilita’ del comportamento dovuto. In altri termini, il rimprovero colposo deve riguardare la realizzazione di un fatto di reato che poteva essere evitato mediante l’esigibile osservanza delle norme cautelari violate.
Tuttavia, sotto il profilo piu’ oggettivo della colpa, per potere affermare una responsabilita’ colposa, non e’ sufficiente che il risultato offensivo tipico si sia prodotto come conseguenza di una condotta inosservante di una determinata regola cautelare (per esempio, in un caso come quello che ci occupa, una norma di comportamento del codice della strada), ma occorre che il risultato offensivo corrisponda proprio a quel pericolo che la regola cautelare violata intendeva fronteggiare. Occorre, cioe’, che il risultato offensivo sia la “concretizzazione” del pericolo preso in considerazione dalla norma cautelare; ovvero, in altri termini, che l’evento lesivo rientri nella classe di eventi alla cui prevenzione era destinata la norma cautelare.
E’ questo il tema della cosiddetta “causalita’ della colpa”, che puo’ definirsi come il principio secondo cui il mancato rispetto della regola cautelare di comportamento da parte di uno dei soggetti coinvolti in una fattispecie colposa non e’ di per se’ sufficiente per affermarne la responsabilita’ concorrente per l’evento dannoso verificatosi, se non si dimostri l’esistenza in concreto del nesso causale tra la condotta violatrice e l’evento.
Orbene, sul punto, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha ripetutamente affermato, condivisibilmente, che, in materia di incidenti da circolazione stradale, l’accertata sussistenza di una condotta antigiuridica di uno degli utenti della strada con violazione di specifiche norme di legge o di precetti di comune prudenza non puo’ di per se’ far presumere l’esistenza della causalita’ tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato senza quella condotta o e’ stato, comunque, determinato esclusivamente da una causa diversa (vedasi ex multis Sez. 4, n. 24898 del 24/5/2007, Venticinque ed altro, Rv. 236854 che affronto’ un caso in cui si era verificata la morte del conducente di uno dei veicoli, determinata dall’invasione dell’opposta corsia di marcia e dallo scontro con altra vettura proveniente in senso opposto, ed era stato ritenuto irrilevante il superamento, da parte di quest’ultima, del limite di velocita’, in quanto, pur in assenza di tale violazione, il fatto si sarebbe verificato egualmente; conf. Sez. 4, n. 37094 del 7/7/2008, Penasa, Rv. 241025; Sez. 4, n. 40802 del 18/9/2008, Spoldi, Rv. 241475).
Ancora di recente si e’ affermato che, in tema di omicidio colposo da incidente stradale, la violazione, da parte di uno dei conducenti dei veicoli coinvolti, di una specifica norma di legge dettata per la disciplina della circolazione stradale non puo’ di per se’ far presumere l’esistenza del nesso causale tra il suo comportamento e l’evento dannoso, che occorre sempre provare e che si deve escludere quando sia dimostrato che l’incidente si sarebbe ugualmente verificato anche qualora la condotta antigiuridica non fosse stata posta in essere (Sez. 4, n. 17000 del 5/4/2016, Scalise, Rv. 266645).
5. Nel caso della sentenza citata sentenza 32126/2010, Zampetti ed altri, si e’ ritenuto che ricorresse sicuramente il rapporto di causalita’ materiale tra l’urto della vettura dell’imputato con quella della persona offesa, ma non la “causalita’ della colpa” in cui sarebbe incorso l’imputato, che pure – come nel caso che ci occupa – viaggiava a velocita’ non consentita nel tratto di carreggiata interessato e non circolava in prossimita’ del margine destro, in violazione degli articoli 142 e 143 C.d.S..
A tale conclusione, ad avviso del Collegio, deve pervenirsi anche per il caso in esame, dovendosi ritenere che i sopra indicati articoli 142 e 143 C.d.S., siano norme di carattere cautelare che hanno per finalita’ quella di garantire un’andatura corretta e regolare nell’ambito della propria corsia di marcia per la tutela del veicolo procedente e degli altri che la percorrono.
Tali precetti, in altri termini, non sono sicuramente intesi ad evitare il rischio determinato dall’improvvisa occupazione della corsia da parte di un veicolo proveniente dal senso opposto, in spregio di limiti di velocita’, divieto di sorpasso e di corretta tenuta dei fari.
Secondo l’adeguata ricostruzione dell’occorso compiuta dai giudici di merito, sulla base di un esaustivo materiale probatorio, tenuto conto di un punto d’urto che non si riesce ad individuare con certezza e pur dato per scontato che il (OMISSIS) non viaggiasse in piena aderenza con il margine destro della carreggiata 8i1 che, peraltro, risulta tecnicamente difficile in presenza di una curva a sinistra) e ad una velocita’ superiore al limite vigente in quel tratto, il gravissimo incidente risulta provocato esclusivamente dalla pericolosissima condotta di guida della persona offesa (OMISSIS) conducente l’auto VW Golf.
6. Peraltro, depone per la soluzione sopra indicata, nel senso che la norma di cui all’articolo 143 C.d.S., non puo’ essere finalizzata a coprire anche situazioni paradossali o il comportamento aberrante dell’altrui utente della strada, seppure nei limiti fissati dalla giurisprudenza di questa Corte, il c.d. principio di affidamento.
Va ricordato che il principio dell’affidamento, in tema di circolazione stradale (per un’ampia disamina del quale si rimanda alla recente Sez. 4, n. 27513 del 10/05/2017, Mulas, Rv. 269997), trova un temperamento, secondo il costante dictum di questa Corte di legittimita’, nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada e’ responsabile anche del comportamento imprudente altrui purche’ questo rientri nel limite della prevedibilita’.
Ebbene, casi come quello che ci occupano, ed un comportamento di guida qual e’ stato quello della (OMISSIS), esulano da tale ultimo limite.
S’impone, pertanto, l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per difetto dell’elemento psicologico, perche’ il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perche’ il fatto non costituisce reato.
Leave a Reply