Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 31 ottobre 2017, n. 50024. Per essere ritenuti responsabili di un incidente, infatti, non basta violare una regola cautelare imposta dal codice della strada, ma occorre che la violazione riguardi una norma che aveva lo scopo di impedire proprio quel tipo di sinistro.

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2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, il (OMISSIS), deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
a. Carenza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in punto di accertamento del fatto, attribuzione dello stesso all’imputato e pronuncia di colpevolezza.
Il ricorrente, quanto all’individuazione del punto d’urto ed alla conseguente contestazione ex articolo 143 C.d.S., lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che le prove principali siano costituite dalla relazione del consulente tecnico del PM e dalla deposizione testimoniale resa dal sovrintendente della Polizia Locale di (OMISSIS) (OMISSIS), ma non avrebbe risposto alle censure avanzate con l’atto d’appello e con i motivi integrativi all’appello (che vengono trascritti in ricorso) all’operato del consulente.
La doglianza, in altri termini, e’ che il giudice del gravame del merito si sia limitato a convalidare le argomentazioni di quello di primo grado senza rispondere agli specifici motivi di appello. In particolare, si lamenta che la Corte territoriale non abbia risposto alla censura riguardante il fatto che lo stesso consulente tecnico abbia riconosciuto di avere fondato le sue valutazioni su uno “schema non in scala” della Polizia Locale di (OMISSIS) affermando espressamente che “il loro schizzo di campagna rappresenta malamente lo stato reale dei luoghi evidenziando solamente una limitata verosimiglianza dello stato di quiete dei veicoli coinvolti”.
Lamenta tuttavia, il ricorrente, che poi da tale schizzo, del tutto inopinatamente, il perito avrebbe desunto delle osservazioni utilizzate a fondamento delle proprie conclusioni.
Poche pagine dopo, anche con riferimento alla documentazione fotografica utilizzata dallo stesso, al fine di individuare il punto d’urto tra i veicoli, il ricorrente evidenzia come il tecnico affermi che “fortunatamente la documentazione fotografica, soprattutto quella acquisita in sede di operazioni peritali ed eseguita dai giornalisti, consente di sovvenire allo “schizzo” di campagna ed alla planimetria, con particolare riferimento alla tipologia e alla disposizione delle molte tracce presenti sul luogo, quindi, ai punti d’urto ed agli spostamenti post urto dei veicoli coinvolti.
Il difensore del (OMISSIS) ricorda di avere evidenziato in appello come nella descrizione della documentazione fotografica il consulente tecnico avesse utilizzato termini quali “attendibile zona d’urto”, “ad una distanza di circa 40 metri dall’attendibile zona d’urto tra la Golf e l’Audi”, “in questi fotogrammi si osservano le luci dei veicoli in lontananza: ritengo estremamente difficile riuscire a capire dove si trova esattamente un veicolo “sulla carreggiata” a quale distanza dalla propria posizione, quando la rapidita’ di avvicinamento”. E ancora, che sulla posizione dei veicoli sulla carreggiata il tecnico avesse affermato “che la Golf abbia invaso di 40 cm l’opposta corsia di marcia, piuttosto che di 80 cm, nulla cambia ai fini della determinazione della dinamica del sinistro e del comportamento dei conducenti”, “e’ difficile poter affermare di quanto ha invaso l’opposta corsia di marcia l’autovettura VW Golf”. E infine, nel fulcro del suo elaborato, le “conclusioni personali”, il consulente avesse affermato espressamente che “non si possono nascondere i dubbi sulla attendibilita’ delle tracce rilevate sulla pavimentazione, sulla loro attinenza al sinistro in oggetto. La mancanza di certezza circa le tracce visibili sulla zona del sinistro, crea delle difficolta’ nel determinare con buona attendibilita’ i punti d’urto tra i diversi veicoli coinvolti, ma soprattutto le evoluzioni subite di veicoli nelle diverse fasi del sinistro”.
Alla luce dei rilievi sopra esposti, appare evidente, secondo la tesi proposta in ricorso, come la sentenza della Corte d’Appello di Milano e, prima ancora, quella del Tribunale di Varese non soddisfino quei requisiti minimi di gravita’, precisione e concordanza necessari a superare lo scoglio del ragionevole dubbio in relazione alla dimostrazione del fatto.
In questo contesto, cio’ che viene sottoposto a critica, secondo il ricorrente, e’ la carenza di motivazione in relazione alle censure mosse. Non si coglierebbe, in altri termini, il ragionamento per il quale tali doglianze non siano state meritevoli di accoglimento e neppure prese in considerazione. In alcuni casi, rispetto ai passaggi che precedono, la risposta sarebbe mancante, in altri illogica.
La sentenza della Corte d’appello di Milano fonderebbe la penale responsabilita’ del (OMISSIS) sulla scorta delle prove acquisite tramite una perizia del tutto approssimativa e basata su affermazioni aleatorie e unicamente “verosimili” al possibile svolgimento dei fatti, doglianze gia’ levate con l’atto d’appello e rimaste prive di riscontro nella sentenza di gravame.
Viene, ancora, evidenziato come l’ulteriore prova individuata dal giudice del gravame e posta a fondamento del proprio convincimento sia stata la deposizione resa dal teste (OMISSIS), Sovrintendente della Polizia Locale di (OMISSIS).
Secondo la Corte territoriale il teste avrebbe riferito particolari “importanti” sulla dinamica del sinistro e sull’individuazione del punto d’urto.
Sul punto il ricorrente ritiene doveroso effettuare alcune premesse, ovvero, in primis che la testimonianza non puo’ che limitarsi alla ricostruzione eseguita dagli operanti, dal momento che il sovrintendente non era presente al momento dei fatti e, inoltre, che occorre considerare quanto riconosciuto da tutti i consulenti, peraltro, esplicitamente indicato nella sentenza di primo grado, che, come scrive a pag. 5 della propria pronuncia il giudice di primo grado viene “esclusa da tutti e tre i consulenti delle parti (pubblico ministero, parti civili, imputato) la correttezza dei punti d’urto individuati dalla polizia stradale nella planimetria redatta”.
Queste premesse, ad avviso del ricorrente, sarebbero di per se’ sufficienti a censurare in punto di contraddittorieta’ la motivazione del provvedimento impugnato. Ma vi sarebbe di piu’. Viene evidenziato in ricorso come il teste riferisca che “il tratto di strada era una curva rispetto al percorso della Golf destrorsa ad ampio raggio e portava ad un discorso di avvistamento diretto nell’ordine indicativo dei 200 metri” e che “la Audi A3 nell’urto contro la VW Golf aveva una velocita’ attorno ai 110 Km/h”.
La circostanza – si lamenta – viene ritenuta argomento decisivo ai fini dell’ascrivibilita’ della penale responsabilita’ del (OMISSIS), allorquando, viceversa, e’ del tutto inconferente e inidonea nel determinazione il punto d’urto dei veicoli e quindi della responsabilita’.
Peraltro, si lamenta che venga, altresi’, posto a fondamento della decisione anche quanto riferito dal teste in merito al sorpasso effettuato dalla Volkswagen Golf (il riferimento e’ a pag. 5 della sentenza impugnata ove si legge “quando ha cercato di sorpassare la Volkswagen Polo “per tre quarti e’ rimasta sulla propria corsia di marcia”). Tale affermazione, secondo l’assunto del ricorrente, viene utilizzata dalla Corte di Appello quale prova determinante. Sarebbe evidente, invece, come, viceversa, al riguardo, varrebbero le premesse di cui sopra e inoltre, tali dichiarazioni non sarebbero utilizzabili in quanto rese in palese contrasto con il disposto normativo di cui all’articolo 194 c.p.p., poiche’ il teste non puo’ esprimere apprezzamenti personali in merito alla vicenda di che trattasi.
Ulteriore motivo di doglianza attiene al fatto che il teste ha affermato di aver individuato sulla carreggiata le tracce di competenza dell’Audi A3, allorquando lo stesso perito del Pubblico Ministero afferma in perizia di non essere in grado di indicare l’esatta appartenenza delle tracce rinvenute, le quali potevano addirittura appartenere ad altri sinistri e veicoli estranei ai fatti de quibusl5.
Anche in questo caso, apparirebbe evidente, ad avviso del ricorrente, la contraddittorieta’ della motivazione.
Con un secondo motivo si lamenta l’errata applicazione del disposto di cui all’articolo 143 C.d.S., che al primo comma espressamente afferma “…I veicoli devono circolare sulla parte destra della carreggiata e in prossimita’ del margine destro della medesima, anche quando la strada e’ libera… “.

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