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2. Per quanto attiene alla questione sollevata dai ricorrenti in merito alla pretesa invalidita’ della rinuncia alla prescrizione da parte dell’imputato, logicamente pregiudiziale rispetto agli altri motivi di censura, si deve in primo luogo osservare che la parte civile non puo’ ritenersi legittimata ad interloquire in tema di rinuncia alla prescrizione del (OMISSIS), trattandosi di diritto personalissimo dell’imputato stesso, costituzionalmente tutelato (a seguito dell’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza n. 275/1990, dichiaro’ l’illegittimita’ costituzionale del previgente articolo 157 cod. pen. nella parte in cui non prevedeva che la prescrizione del reato non potesse essere rinunciata dall’imputato, e cio’ in ragione della ritenuta violazione del diritto di difesa dell’accusato, inteso come diritto al giudizio e alla prova), e quindi tale da non poter trovare ostacoli nell’opposizione di una parte processuale che non ha neanche uno specifico interesse ad opporvisi, poiche’ la prescrizione comporta che il ricorso debba essere comunque valutato sul versante civilistico.
In ogni caso la doglianza si rivela certamente infondata nel merito, posto che dagli atti si evince che la rinuncia alla prescrizione e’ stata presentata tempestivamente e personalmente dall’imputato con dichiarazione da lui sottoscritta e autenticata dal difensore. Nulla vieta che la dichiarazione di rinuncia alla prescrizione sia formulata per iscritto, ne’ si ha motivo di dubitare della provenienza della dichiarazione scritta in questione dall’imputato, stante l’autentica della sua firma apposta dal difensore fiduciario. Il codice di rito non prevede al riguardo forme sacramentali: la disposizione di cui al comma settimo dell’articolo 157 cod. pen. si limita a stabilire che “la prescrizione e’ sempre espressamente rinunciabile dall’imputato”. Cio’ che conta, dunque, e’ che la rinuncia sia formulata dall’imputato con una dichiarazione di volonta’ (orale o scritta) espressa e specifica (Sez. U, n. 43055 del 30/09/2010, Dalla Serra, Rv. 24837901).
3. Passando ai rilievi dei ricorrenti che attengono alla critica della tenuta logico-giuridica delle argomentazioni della Corte di appello in merito al proscioglimento dell’imputato, che possono essere trattati congiuntamente in quanto fra loro intimamente connessi, si ritiene che gli stessi debbano essere accolti nei termini di seguito precisati.
4. Un primo vizio della sentenza impugnata e’ quello di aver applicato impropriamente la scriminante dell’articolo 51 cod. pen., a fronte di una imputazione che addebita al prevenuto una condotta negligente ed imprudente nel trattamento sanitario del detenuto.
Infatti, e’ stato gia’ chiarito dalla Corte di cassazione che la scriminante relativa all’adempimento di un dovere, prevista dall’articolo 51 cod. pen., e’ configurabile nel caso in cui la condotta colposa dell’agente derivi dall’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline imposta da direttive o disposizioni superiori, mentre la stessa non puo’ essere riconosciuta nelle ipotesi di delitto colposo, quando la condotta riferibile all’agente che ricopre una posizione di garanzia sia caratterizzata da un atteggiamento di negligenza o imprudenza (Sez. 1, n. 20123 del 20/01/2011, P.C. in proc. Lops e altri, Rv. 25002701). In proposito, e’ stato rilevato che l’esimente dell’adempimento di un dovere e’ in pieno e palese contrasto logico-giuridico con un atteggiamento psichico di colpa per negligenza ed imprudenza, vale a dire di trascuratezza ed avventatezza, in sostanza di mancanza della sufficiente e corretta cura che la situazione (alla quale l’imputato e’ chiamato quale titolare della posizione di garanzia) di fatto richiede. infatti, gia’ sul piano strettamente logico, e’ di tutta evidenza come non si possa essere ne’ negligenti, ne’ imprudenti, ed in definitiva inadeguati alla bisogna, per comando o direttiva di un superiore.
5. Ma sono viziati gli stessi presupposti fattuali e giuridici che stanno alla base della sentenza impugnata.
6. La Corte di appello afferma che il (OMISSIS) opero’ nel contesto di un ambiente (quello dell’isolamento carcerario) che poneva delle specifiche regole, fra le quali quella di dover visitare i pazienti in isolamento solo a richiesta degli stessi o, comunque, su specifico ordine del direttore sanitario della struttura carceraria. Dall’adempimento di un simile dovere discenderebbe l’insussistenza del fatto sotto il profilo del dovere di attivarsi da parte del medico.
7. Tuttavia, e’ stato giustamente osservato dalle parti ricorrenti che un simile assunto, sul piano fattuale, e’ frutto del travisamento della prova costituita dalle dichiarazioni del direttore del carcere ( (OMISSIS)), che non ha mai detto che sul sanitario incombesse il “dovere” di visitare il (OMISSIS) soltanto dietro sua espressa richiesta. Le dichiarazioni dell’ (OMISSIS), allegate ai ricorsi, sono invece nel senso che il medico incaricato del reparto “e’ libero (…) di potere andare a visitare anche le persone che ritiene abbiano situazioni di urgenza o che deve (…) seguire” (trascrizione ud. 16.10.2012, pag. 13); l’ (OMISSIS) ha ribadito che “al di fuori della richiesta, e’ chiaro che se ci troviamo dinanzi a un soggetto che aveva bisogno anche di essere visto piu’ volte, lo potevano visitare sia il medico del reparto, e sia anche (…) il pronto soccorso” (pag. 14).
8. Ma le piu’ gravi carenze della sentenza impugnata si configurano sul piano della erronea interpretazione della legge, in riferimento alle particolari cautele previste in sede carceraria per la tutela sanitaria del detenuto.
8.1. Invero, la circostanza che il (OMISSIS) fosse stato, per motivi disciplinari, escluso dalle attivita’ in comune, comportava l’applicazione della disciplina di cui alla L. n. 354 del 1975, articolo 39 (c.d. Ordinamento penitenziario), che prevede, sotto il profilo della tutela della salute del detenuto, due regole cautelari: 1) il rilascio da parte del sanitario di una certificazione scritta attestante che la persona puo’ sopportare tale sanzione; 2) la sottoposizione del detenuto, in corso di esecuzione della sanzione, a “costante controllo sanitario”.
8.2. Il sistema dell’assistenza sanitaria penitenziaria, disciplinato dalla L. n. 354 del 1975, articolo 11, prevede che in ogni istituto penitenziario vi siano un servizio medico ed un servizio farmaceutico rispondenti alle esigenze profilattiche e di cura della salute dei detenuti e degli internati e che si disponga, inoltre, dell’opera di almeno uno specialista in psichiatria; cure ed accertamenti diagnostici che non possono essere apprestati dai servizi sanitari dell’istituto vengono eseguiti previo trasferimento del detenuto in ospedali o luoghi di cura esterni. Con specifico riguardo alle visite mediche, e’ prevista una visita medica generale all’atto dell’ingresso nell’istituto allo scopo di accertare eventuali malattie fisiche o psichiche; i sanitari hanno l’obbligo di visitare quotidianamente gli ammalati e coloro che ne facciano richiesta e di segnalare immediatamente la presenza di malattie che richiedono particolari indagini e cure specialistiche.
8.3. Nella specie la Corte territoriale ha ritenuto che l’obbligo dei (OMISSIS) di effettuare le visite mediche fosse previsto con esclusivo riferimento alle ipotesi di espressa richiesta del detenuto o di specifico ordine del direttore sanitario della struttura carceraria.
8.4. Una simile impostazione e’ frutto di una erronea interpretazione dei principi normativi nazionali e sovranazionali che regolano la materia.
8.4.1. La tutela del diritto alla salute delle persone private della liberta’ personale si ricava, in primo luogo, in via interpretativa dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione EDU, che sostanzialmente fanno riferimento al divieto di sottoporre i detenuti a trattamenti disumani e degradanti, sulla scorta di principi giurisprudenziali ricavati dalla Corte EDU, che riconducono il diritto alla salute nell’alveo dei diritti garantiti in ambito internazionale, quale corollario del diritto alla vita e della dignita’ umana.

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