Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 21 settembre 2017, n. 43476. La posizione dello psichiatra in caso di suicidio del paziente

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5. Avere ignorato tali dati, nella piena disponibilita’ cognitiva del medico, qualifica la condotta di quest’ultimo come oggettivamente al di sotto della diligenza esigibile, e integra certamente la violazione delle regole di prudenza che l’ordinamento impone. In altre parole l’imputato, chiamato a governare il rischio nella gestione della paziente, non ha posto in essere le condotte adeguate a scongiurare il rischio suicidario, e cio’ anche tenuto conto del parametro del rischio consentito, atteso il significativo grado di disattenzione manifestata in ordine alla allarmante informazione ricevuta (ingestione massiccia di farmaco); la sottovalutazione delle regole tecniche riguardanti gli effetti del farmaco e la grave negligenza mostrata allorquando, informato di un comportamento manifestamente rivelatore di un rischio suicidario, aveva consentito che la paziente rientrasse a casa senza attivare alcun trattamento terapeutico e alcun meccanismo di controllo, cosi’ violando gli obblighi di protezione imposti al medico psichiatra. Sul punto, tenuto conto dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, i giudici di merito hanno correttamente sottolineato che, come emerge dai rilievi del consulente della parte civile, le linee guida della Societa’ Italiana di psichiatria prescrivevano, a fronte di una paziente che soffriva della patologia della (OMISSIS) e in relazione alla quale si aveva il sospetto della manifestazione di una condotta auto lesiva (massiccia ingestione da farmaco), l’adozione quantomeno di un ASO (accertamento sanitario obbligatorio); e che, in base alle conclusioni dei consulenti del PM, in un paziente psichiatrico l’assunzione di una quantita’ di farmaco eccessiva rispetto alla norma deve costituire un campanello di allarme, e il sanitario si sarebbe dovuto attivare comunque annotando un supplemento diagnostico di indagini e un monitoraggio clinico anche presso una struttura di pronto soccorso.
6. Quanto alla causalita’, la Corte fa buon governo delle indicazioni che provengono dalla nota giurisprudenza delle Sezioni unite (S.U.Franzese) pervenendo ad un giudizio sull’evitabilita’ dell’evento basato sulle piu’ significative acquisizioni fattuali e scientifiche afferenti al caso concreto, ampiamente argomentato – come si e’ visto – nella prospettiva dell’attuazione di tutte le misure appropriate. In particolare, la Corte argomenta che la condotta negligente del (OMISSIS), consistita nel non avere prospettato neppure una possibilita’ di ricovero, nel non aver tenuto la paziente sotto osservazione per un tempo minimo ragionevole, e, infine, di non aver neppure imposto al marito di attuare sulla moglie una vigilanza costante, hanno sicuramente avuto piena incidenza causale sulla condotta della vittima; ben potendo detti comportamenti, ove attuati, scongiurare l’evento concretamente verificatosi con probabilita’ prossima alla certezza. Si tratta di apprezzamento immune da censure e conforme ai principi sia in tema di causalita’ che di colpa.
7. Manifestamente infondato e’ l’ultimo motivo di ricorso, ove in contesta la correttezza della soluzione adottata in tema di posizione di garanzia, asseritamente insussistente in quanto la (OMISSIS) non sarebbe stata ricoverata presso la struttura. Sul punto, la Corte territoriale ha applicato i consolidati principi sul punto, secondo cui il medico psichiatra e’ titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele (Sez. 4, n.48292 del 2008, Rv.266831, Sez. 4, n. 33609 del 14/06/2016 Rv. 267446). Posizione che il (OMISSIS), medico curante della (OMISSIS), in servizio la mattina del sinistro presso l’ambulatorio dell’spedale, direttamente interpellato dai familiari e informato dell’accaduto, certamente aveva assunto.
8. Si impone, dunque, il rigetto del ricorso. Segue per legge la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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