Corte di Cassazione, sezione quarta penale, sentenza 14 novembre 2017, n. 51734. Il discrimine tra il delitto di cui all’art. 434 c.p. e l’ipotesi contravvenzionale dell’art. 676 c.p.

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Sulla scorta delle conclusioni dello stesso consulente, inoltre, si era accertato che il fattore determinante il crollo era stato lo scavo eseguito in un’unica volta per una lunghezza di 5/6 metri, in contrasto con le leges artis e con le stesse indicazioni del progettista, ing. (OMISSIS), il quale aveva indicato per le sottomurazioni, l’esecuzione a campioni progressivi di massimo 1,5 metri. A cio’ il tecnico incaricato dall’accusa aveva pure aggiunto la circostanza, non imprevedibile, che nelle 48 ore successive, nelle quali lo scavo era rimasto scoperto, vi erano state abbondanti precipitazioni.
Ne’ tale ricostruzione era stata minata dalle tesi esposte a difesa, anche sulla scorta di un parere tecnico: la tesi difensiva (facente leva sul parere di un consulente che aveva reputato che il crollo era stato conseguenza di circostanze antecedenti lo scavo (lesioni della parete muraria)), secondo cui lo scavo di metri cinque doveva considerarsi nulla piu’ che una concausa irrilevante del crollo, era stata infatti smentita dalle valutazioni effettuate da un tecnico che era stato incaricato – mesi prima del crollo – dalla proprietaria del garage interessato dall’evento, di esaminare alcuni rilievi fotografici per valutare se i lavori in corso avessero determinato nuove fessurazioni o se tali dissesti fossero pregressi.
Costui, nell’occorso, aveva escluso l’esistenza di dissesti pregressi o sopravvenuti, affermando che l’oscillazione di un millimetro, pur registrata nel periodo d’osservazione (durato circa tre mesi) era irrilevante, essendo necessario un maggior periodo d’osservazione ed essendo la variazione registrata del tutto esigua, atteso che solo uno scostamento di 3-4 mm. avrebbe rappresentato un campanello d’allarme. Il fenomeno, peraltro, poteva anche essere imputabile ai lavori in corso, alla presenza di mezzi pesanti ovvero a fattori climatici, pur affermando che la conformazione idrogeologica del terreno (con presenza di falde acquifere molto attive) costituiva un rischio generico.
Il pericolo concreto e specifico determinatosi, invece, era da attribuirsi all’esecuzione di uno scavo per un tratto troppo lungo che aveva causato lo scalzamento della fondazione sottostante il muro.
Da cio’ era stata ricavata la sussistenza degli elementi costituitivi del reato (cioe’: l’evento del crollo, sia pur parziale, di una costruzione, per il quale non e’ richiesta la disintegrazione delle strutture essenziali dell’edificio, ma solo una caduta violenta e improvvisa che produca un pericolo di rilevante entita’; la produzione, per l’appunto, di un pericolo per la vita o l’incolumita’ di un numero indeterminato di persone, da valutarsi ex ante, concretizzatosi nella specie, essendo stato il danno scongiurato solo per il fatto che il crollo aveva riguardato un’area non adibita ad uso abitativo, deserta al momento del disastro; il nesso causale tra il crollo e lo scavo eseguito in spregio alle leges artis, che – al netto delle “concause” – aveva costituito il fattore eziologico principale di detto crollo).
Quanto, infine, alla riferibilita’ soggettiva della condotta colposa, il (OMISSIS), quale capo cantiere, aveva impartito l’ordine di eseguire un’operazione di scavo non conforme alle regole dell’arte dedilizia, essendo egli pure delegato, in base alle tavole del progetto, di operare la valutazione circa l’opportunita’ di eseguire l’eventuale sottomurazione delle murature esistenti, da realizzarsi a campioni progressivi, larghi mt. 1,5 massimo, e di vigilare sulla corretta esecuzione dell’opera.
3. La Corte territoriale ha dato conto delle censure che la difesa aveva mosso all’apparato motivazionale della sentenza appellata, con le quali sostanzialmente sono stati rassegnati al vaglio del secondo grado di merito gli stessi rilievi oggi riproposti in sede di legittimita’, con i quali si e’ contestata la natura di crollo di una costruzione o di parte di essa e la fisionomia diffusiva dell’evento realizzatosi, reputandosi nella specie verificato solo un distacco di un setto murario di mt. 5, rototraslato senza disgregarsi, con produzione di un pericolo circoscritto alle persone che abitavano o utilizzavano i locali interessati.
Partendo dall’assunto incontrovertibile (tale alla luce delle prove raccolte ed espressamente elencate in sentenza) che il giorno prima del crollo fosse stato realizzato uno scavo sottomurario – con le caratteristiche gia’ sopra descritte – in corrispondenza di un muro di confine tra le due strutture interessate, e che detta opera fosse stata eseguita in totale spregio delle leges artis vigenti in materia (in base alle quali, infatti, lo scavo avrebbe dovuto essere effettuato per tratti sfalsati di lunghezza non superiore ai mt. 1,5), la Corte bresciana ha osservato che, nel caso di specie, la sottomurazione, realizzata con modalita’ contrarie alla buona tecnica e su ordine e disposizione del capocantiere, era stata poi lasciata senza presidio nel sabato e domenica immediatamente successivi, determinando la caduta del muro portante e, per l’effetto, anche quella delle due volte poste sulla sua sommita’, cosicche’ non poteva revocarsi in dubbio che tra tale scorretta operazione e il crollo sussistesse il ravvisato nesso eziologico, essendo venuto a mancare (per come puntualizzato dal consulente della pubblica accusa), stante il difetto di rinforzi e puntelli di sorta, l’appoggio per una lunghezza di circa 5 metri che aveva determinato la rottura della muratura e la rototraslazione dell’intero setto al di sopra dello scavo e, quindi, il crollo delle due volte che su di esso erano impostate. Proprio la rototraslazione ha costituito, secondo il giudice d’appello, ulteriore conferma che l’operazione posta in essere il venerdi’ precedente il crollo era stata una vera e propria sottomurazione che doveva essere eseguita con le cautele gia’ descritte. Nessuna efficacia causale poteva essere riconosciuta alle precedenti fessurazioni, avendo il tecnico incaricato dalla proprietaria del garage escluso che l’oscillazione registrata costituisse un campanello d’allarme, laddove la asserita filtrazione d’acqua a causa delle violenti piogge non era stata verificata e risultava, anzi, smentita alla luce di quanto dichiarato dal teste (OMISSIS), il quale aveva registrato, una volta terminato lo scavo, l’assenza di acqua.
Le caratteristiche del crollo, inoltre, non consentivano di ricondurre il fatto nell’alveo della previsione contravvenzionale di cui all’articolo 676 c.p., comma 2, avendo esso interessato una struttura portante a confine tra due edifici contigui, connotata dalla implosione violenta e improvvisa dei pavimenti di due diversi appartamenti, nei rispettivi piani sottostanti, per puro caso deserti e, pertanto, dalla disintegrazione di un elemento essenziale (muro maestro) della costruzione che ha fatto venir meno la coesione degli elementi costruttivi e cioe’ proprio quella situazione di fatto idonea ad integrare gli estremi del reato colposo contestato.
Il pericolo conseguito all’accadimento, inoltre, aveva riguardato, contrariamente agli assunti difensivi, l’incolumita’ di un numero indeterminato di soggetti: quelli che occupavano il civico 38, il cui pavimento era letteralmente crollato, oltre ai possibili soggetti che, ad altro titolo, si fossero trovati in quel luogo; i proprietari del garage sottostante o eventuali soggetti terzi, che ben potevano trovarsi all’interno dell’immobile al momento del crollo; ma anche gli stessi operai occupati nei lavori di ristrutturazione appaltati, atteso che anche in quell’immobile si era registrato il crollo del pavimento sull’androne sottostante (fortunatamente vuoto, a causa dell’orario notturno).

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