Corte di Cassazione, sezione prima civile, sentenza 15 settembre 2017, n. 21461

La riduzione dei tassi di interesse per i mutui antecedenti alla normativa sull’usura, l. n. 108/1996, ha lo scopo non di tutelare il contraente debole ma di riequilibrare gli effetti distorsivi dei precedenti assetti negoziali.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
SENTENZA 15 settembre 2017, n. 21461

Ritenuto in fatto

Dexia Crediop s.p.a. evocava in giudizio l’Amministrazione provinciale di Viterbo al fine di far accertare che gli interessi dovuti da quest’ultima, quale mutuataria di una determinata somma, erano quelli pattuiti col contratto concluso dalle parti.
La convenuta si costituiva e chiedeva che il Tribunale adito accertasse la legittimità della riduzione dei tassi di interesse praticata in base alla l. n. 108/1996.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda attrice con sentenza poi confermata dalla Corte di appello in data 21 maggio 2012.
2. – Riteneva il giudice distrettuale che, benché non potessi ipotizzarsi la nullità sopravvenuta del contratto di mutuo, al rapporto era tuttavia applicabile lo jus superveniens, e, segnatamente, l’art. 1 d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001: tale disciplina, infatti, non mirava ad una migliore protezione del contraente debole nei rapporti di mutuo, ma intendeva riequilibrare gli effetti distorsivi derivanti dall’applicazione ai rapporti in corso della nuova legge sull’usura (l. n. 108/1996). Osservava inoltre la Corte di merito che non era possibile affermare che le disposizioni introdotte con il cit. d.l. n. 394/2000 si estendessero a tutti i contratti di mutuo di cui fosse parte una pubblica amministrazione, essendo tale soluzione interpretativa non solo divergente dalla lettera della norma ma, altresì, manifestamente esorbitante rispetto all’intentio legis; infatti il richiamo, operato dalla norma, alle “leggi speciali sul debito pubblico” imponeva di considerare quest’ultimo in senso restrittivo, avendo cioè riguardo alla disciplina del d.p.r. n. 398/2003: aveva quindi fondamento, a suo avviso, l’opinione secondo cui il d.l. n. 394/2000 trovasse applicazione anche con riguardo ai contratti di mutuo stipulati da una pubblica amministrazione che agisse con la capacità di diritto privato.
3. – Ricorre per cassazione Dexia Crediop s.p.a. facendo valere due motivi di impugnazione illustrati da memoria. Resiste con controricorso l’Amministrazione provinciale di Viterbo. Il pubblico ministero ha rassegnato le proprie conclusioni scritte.

Ragioni della decisione

1. – Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2, d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001, nonché dell’art. 2, comma 2, l. n. 108/1996. Ad essere censurato è il capo della sentenza afferente la ritenuta infondatezza dell’eccezione secondo cui l’art. 1, comma 2, d.l. n. 394/2000 si applicherebbe soltanto ai contratti di mutuo stipulati dietro prestazione di una garanzia reale. Sul punto sono invocate le istruzioni della Banca d’Italia (segnatamente quelle in allegato al d.m. 24 settembre 1998), le quali costituirebbero fonte complementare di riferimento sia dei decreti ministeriali di classificazione dell’operazione per categorie omogenee, sia, soprattutto, dell’art. 2, comma 2, l. n. 108/1996, secondo cui la predetta classificazione è effettuata annualmente con decreto del Ministro del tesoro sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi. Rileva, in particolare, il ricorrente che le istruzioni della Banca d’Italia, nell’illustrare il contenuto della categoria dei mutui, precisassero che vi rientravano i finanziamenti oltre il breve termine che fossero assistiti, anche parzialmente, da garanzie reali. Nel motivo è inoltre sottolineato come la soluzione interpretativa proposta risultasse conforme all’intento del legislatore: quest’ultimo, da un lato, aveva tenuto in conto le erogazioni creditizie garantite da ipoteca, tradizionalmente utilizzate dalle famiglie, per l’edilizia abitativa, e dalle imprese, per il finanziamento a lungo termine dei comparti industriali; dall’altro, aveva ritenuto di circoscrivere i benefici di revisione del tasso di interesse a tale categoria di prestiti, giudicata meritevole di particolare considerazione.

1.1. – Il motivo non ha fondamento.

Viene in questione l’ambito applicativo dell’art. 1, comma 2, del d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001. Tale comma racchiude una previsione ulteriore rispetto a quella contenuta nella norma di interpretazione autentica di cui al comma 1 dello stesso articolo: norma secondo cui ai fini dell’applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art. 1815, comma 2, c.c., si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento.

Stabilisce il predetto secondo comma: ‘In considerazione dell’eccezionale caduta dei tassi di interesse verificatasi in Europa e in Italia nel biennio 1998-1999, avente carattere strutturale, il tasso degli interessi pattuito nei finanziamenti non agevolati, stipulati nella forma di mutui a tasso fisso rientranti nella categoria dei mutui, individuata con il decreto del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica previsto dall’articolo 2, comma 2, della legge 7 marzo 1996, n. 108, in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto, è sostituito, salvo diversa pattuizione più favorevole per il debitore, dal tasso indicato al comma 3. Il tasso di sostituzione è altresì ridotto all’8 per cento con riferimento ai mutui ovvero a quote di mutuo di importo originario non superiore a 150 milioni di lire, o all’equivalente importo in valuta al cambio vigente al momento della stipulazione del contratto, accesi per l’acquisto o la costruzione di abitazioni, diverse da quelle rientranti nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9, per i quali spettano le detrazioni di cui alla lettera b) del comma 1 e al comma 1-ter dell’articolo 13-bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni. La sostituzione di cui al presente comma non ha efficacia novativa, non comporta spese a carico del mutuatario e si applica alle rate che scadono successivamente al 2 gennaio 2001’.

Tale disciplina, come ricordato nella relazione governativa al disegno di legge di conversione del cit. d.l. n. 394/2000, tendeva a venire incontro a quella parte della clientela bancaria che si era trovata nella condizione di non poter beneficiare dell’abbassamento strutturale ed eccezionale dei tassi determinatasi nell’ambito del processo di convergenza verso la moneta unica: si trattava, nelle intenzioni dichiarate dalla presidenza del consiglio, di una rivisitazione del costo dei mutui a tasso fisso, operante laddove il costo stesso fosse risultato superiore a un parametro medio di mercato.

Ciò detto, si è in presenza di un intervento che ha diretta incidenza sull’assetto di interessi definito dalle parti e che si avvale di un meccanismo di eterointegrazione del regolamento negoziale, attraverso il quale trova applicazione un tasso di interesse sostitutivo.

In base all’univoco tenore letterale del cit. art. 1, comma 2, la sfera applicativa della norma stessa risulta delimitata dai mutui a tasso fisso; l’individuazione di tale figura giuridica va poi operata, secondo le indicazioni del legislatore, avendo riguardo alla classificazione delle operazioni per categorie omogenee effettuata annualmente con decreto del Ministro del tesoro, sentiti la Banca d’Italia e l’Ufficio italiano dei cambi, giusta l’art. 2, comma 2, l. n. 108 cit..

Al pari dei decreti ministeriali che lo avevano preceduto, il d.m. 20 settembre 2000, emesso poco prima dell’emanazione del decreto legge in esame, prendeva in considerazione, quale autonoma categoria omogenea, ai fini della rilevazione dei tassi effettivi globali medi, il mutuo: e ciò faceva senza operare differenziazioni all’interno della nominata tipologia contrattuale.

In assenza di alcuna distinzione tra mutui assistiti e non assistiti da garanzia reale, deve conseguentemente ritenersi che tutti i mutui, come rientranti nel modello delineato dall’art. 1813 c.c. fossero soggetti, se connotati dalla previsione di un piano di rimborso rateale a tasso fisso, alla disciplina introdotta col cit. art. 1, comma 2 d.l. n. 394/2000. Il che, va aggiunto, emerge dalla stessa formulazione di quest’ultima disposizione, la quale non a caso menziona la ‘categoria dei mutui’, senza operare ulteriori specificazioni, mostrando con ciò di prendere in considerazione la catalogazione delle operazioni attuata con i decreti ministeriali emessi con cadenza annuale a norma del cit. art. 2, comma 2, l. n. 108/1996.

Né ha senso invocare, al riguardo, le istruzioni della Banca d’Italia recepite col d.m. 24 settembre 1998, visto che tale decreto, al di là della datazione – che precede di più di due anni il decreto legge che qui interessa – concerneva la rilevazione dei tassi di interesse effettivi globali ai fini della legge sull’usura, di cui è parola al primo comma dell’art. 2 l. n. 108/1996, e non la classificazione delle operazioni creditizie per categorie omogenee, di cui al comma 2 dello stesso articolo: esso non riguardava, cioè, il provvedimento espressamente richiamato dal d.l. n. 394/2000.

2. – Il secondo mezzo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 e 4, d.l. n. 394/2000, convertito in l. n. 24/2001, nonché dell’art. 104 del Trattato dell’Unione Europea. Osserva l’istante che il richiamo, da parte del comma 4 del cit. art. 1 d.l. n. 394/2000, aveva lo scopo di escludere dalla riduzione forzosa dei tassi di interesse tutti i mutui comunque suscettibili di aumentare direttamente o indirettamente il debito pubblico e di incidere sul rapporto tra il deficit e il prodotto interno lordo, in modo da evitare alla legge l’accusa di essere rivolta a mantenere artificiosamente, e a spese delle banche, l’equilibrio imposto dalla normativa Europea. Aggiunge che la parte mutuante originaria (il Consorzio di Credito per le Opere Pubbliche) rientrava, all’epoca della stipulazione del contratto, nella categoria degli enti di diritto pubblico e che il contratto oggetto di causa, in considerazione della sua finalità e della qualifica soggettiva delle parti contraenti, era stato stipulato ai sensi della l. n. 238/1958 per il finanziamento di opere pubbliche e di impianti di pubblica utilità: il che lo sottraeva all’applicazione dell’esenzione prevista dal comma 4 cit.. Infine, la ricorrente evidenzia che il tasso d’interesse applicato al mutuo non era stato liberamente negoziato tra le parti, ma imposto con decreto ministeriale, e che l’esclusione del beneficio dell’applicazione dei tassi sostitutivi per i mutui stipulati da soggetti non bisognosi di particolare tutela, come le pubbliche amministrazioni, rientrava nello schema della norma.

2.1. – Nemmeno tale motivo è fondato.

Contempla il quarto comma dell’art. 1 d.l. n. 394/2000, che le disposizioni legislative in materia di limiti di tassi di interesse non si applichino ai finanziamenti ed ai prestiti, in essere alla data di entrata in vigore del decreto, concessi o ricevuti in applicazione di leggi speciali in materia di debito pubblico di cui all’articolo 104 del Trattato sull’Unione Europea: norma, questa che impone ai Paesi membri dell’Unione di evitare disavanzi pubblici eccessivi.

Come è intuitivo, ciò non implica che ogni contratto di finanziamento di cui sia parte una pubblica Amministrazione si sottragga alla disciplina di riduzione dei tassi di interesse di cui al d.l. n. 394 del 2000. È sufficiente osservare, in proposito, come, nel mentre il riferimento alle leggi speciali appena menzionate valga a circoscrivere l’ambito dell’eccezione legislativa, non tutti i contratti conclusi da enti pubblici siano soggetti a uno statuto speciale, diverso da quello di diritto comune, e tantomeno a una disciplina specificamente diretta al contenimento del disavanzo pubblico.

La sentenza impugnata non tratta, poi, delle questioni sollevate nel corpo del motivo: quella per cui il contratto sarebbe stato stipulato ai sensi della l. n. 238/1958 e quella per cui per cui il tasso d’interesse applicato al mutuo non sarebbe stato liberamente negoziato tra le parti, ma imposto con decreto ministeriale. In tal senso le censure sollevate risultano carenti di autosufficienza: infatti, se con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675; cfr. pure: Cass. 28 luglio 2008, n. 20518; Cass. 26 febbraio 2007, n. 4391; Cass. 12 luglio 2006, n. 14599; Cass. 2 febbraio 2006, n. 2270).

3. – Il ricorso va allora respinto.

4. – Le spese del giudizio di cassazione gravano sulla ricorrente, siccome soccombente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso

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