Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 7 marzo 2018, n. 5492. Puo’ adottarsi la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario (interesse reale e concreto, inerente la persona e/o il suo patrimonio), anche in presenza dei presupposti di interdizione o di inabilitazione e dunque anche quando ricorra una condizione di prodigalità.

Puo’ adottarsi la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario (interesse reale e concreto, inerente la persona e/o il suo patrimonio), anche in presenza dei presupposti di interdizione o di inabilitazione e dunque anche quando ricorra una condizione di prodigalità.
Peraltro, la prodigalita’, cioe’ un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare eccessivamente rispetto alle proprie condizioni socioeconomiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura autonoma causa di inabilitazione, ai sensi dell’articolo 415 c.c., comma 2, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermita’, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purche’ sia ricollegabile a motivi futili.

Ordinanza 7 marzo 2018, n. 5492
Data udienza 18 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29205/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1603/2014 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 01/07/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2018 dal cons. TRICOMI LAURA.

FATTO E DIRITTO

RILEVATO CHE:

1. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe indicata, in riforma della sentenza del Tribunale di Forli’ che aveva dichiarato l’inabilitazione di (OMISSIS) su domanda della figlia (OMISSIS), ha rigettato tale domanda e, ritenuta la sussistenza dei presupposti per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno, ha adottato i provvedimenti urgenti ex articolo 405 c.c., comma 3, disponendo la trasmissione del procedimento al Giudice tutelare del Tribunale di Forli’, ai sensi dell’articolo 418 c.c., comma 3.

2. Segnatamente la Corte territoriale, avendo escluso la ricorrenza di una specifica malattia o infermita’, ha ravvisato sulla scorta delle risultanze istruttorie, la prodigalita’ di (OMISSIS). Ha quindi ritenuto applicabile, quale misura di protezione, l’amministrazione di sostegno, in quanto maggiormente idonea ad adeguarsi alle esigenze del soggetto destinatario, attesa la sua flessibilita’ e la maggiore agilita’ della procedura applicativa meno afflittiva rispetto alla inabilitazione.

3. Avverso la sentenza (OMISSIS) propone ricorso per cassazione con sette motivi, corredato da memoria ex articolo 378 c.p.c.; (OMISSIS) replica con controricorso.

4. Il ricorso e’ stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’articolo 375 c.p.c., u.c., e articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

CONSIDERATO CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la nullita’ della sentenza per violazione di legge, lamentando, nel procedimento di inabilitazione, la mancata partecipazione del P.M. all’esame di (OMISSIS), ritenuta necessaria ex articolo 70 c.p.c., e Regio Decreto 30 gennaio 1941, n. 2, articolo 75, cosi’ come poi modificato ed integrato anche in relazione agli articoli 714 e 715 c.p.c. (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

1.2. Il primo motivo e’ infondato.

1.3. La Corte di appello ha fatto corretta applicazione del principio secondo il quale “Nel giudizio di interdizione, la mancata partecipazione del P.M. all’esame personale dell’interdicendo o dell’inabilitando non determina la nullita’ della sentenza, una volta che siano state osservate le norme che ne impongono a pena di nullita’ l’intervento necessario, le quali sono finalizzate non ad un determinato atto, ma alla sua partecipazione al processo, rimanendo nella sua discrezionalita’ come modularla”. (Cass. n.15346 del 01/12/2000, n. 3708 del 14/02/2008).

Invero, tra le ipotesi di intervento necessario del P.M., sancito a pena di nullita’ dall’articolo 70 cod. proc. civ., rientra la partecipazione al giudizio di inabilitazione che avrebbe potuto promuovere lo stesso P.M. (articolo 70 c.p.c., comma 1, n. 1, e articolo 417 c.c.).

In proposito risulta essere stato condiviso dalla esatta decisione della Corte di Bologna l’orientamento di questa Corte secondo il quale, obbligatoria per il Giudice la comunicazione degli atti al pubblico ministero al fine di consentirgli l’intervento (articolo 71 c.p.c.) ed altrettanto obbligatoria la reiterazione di tale comunicazione tutte le volte in cui siano adottati provvedimenti al di fuori dell’udienza, non e’ affatto obbligatorio che il P.M. in tal guisa informato partecipi concretamente ai singoli atti del procedimento, essendo allo stesso rimessa la scelta di intervenire in concreto, financo e soltanto innanzi al Collegio (articolo 3 disp. att. c.p.c.), ed il potere di determinarne le modalita’ pratiche (Cass. Sez. U. 1/08/2000, n.571; Sez. Prima 24/11/1998, n.11915; Sez. Prima 27/01/1997, n. 807).

Orbene, da quanto affermato discende che, essendo stato ritualmente comunicato il ricorso e la data di comparizione dell’inabilitando al P.M., come accertato in sentenza (fol. 3), la sua mancata partecipazione all’esame personale – imposto dagli articoli 714 e 715 c.p.c., e da effettuarsi in udienza ovvero nel luogo ove l’esaminando si trovi (qualora sia impedito a comparire) – non ha prodotto alcuna nullita’ della sentenza.

Come questa Corte ha gia’ chiarito, “se infatti e’ obbligatoria per il Giudice l’effettuazione di tal esame – salva l’ipotesi di reiterato rifiuto (Cass. 4650/79) – non da questo discende l’obbligo di partecipazione di una parte che non puo’ ritenersi coartata – come non lo e’ qualsiasi altra parte in un processo – ad essere materialmente presente ad un atto del processo in questione e dalla cui decisione di presenziare o meno all’incombente non puo’ farsi derivare la validita’ o la nullita’ dell’incombente stesso. Ne’, di converso, dalle ragioni pubblicistiche connesse al ruolo del P.M. nel processo civile di interdizione potrebbe dedursi una sorta di sua indispensabilita’ nel momento della verifica diretta delle condizioni psico-fisiche dell’interdicendo, al Giudice, e soltanto ad esso, competendo la valutazione delle condizioni stesse tanto allo scopo di pronunziare sulla domanda quanto ai fini della decisione di procedere ad istruttoria orale o all’acquisizione delle opinioni di un consulente tecnico”. (Cass. n.15346 del 01/12/2000).

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