Corte di Cassazione, sezione prima civile, ordinanza 7 marzo 2018, n. 5492. Puo’ adottarsi la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario (interesse reale e concreto, inerente la persona e/o il suo patrimonio), anche in presenza dei presupposti di interdizione o di inabilitazione e dunque anche quando ricorra una condizione di prodigalità.

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[…]

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione della disciplina dell’amministrazione di sostegno in relazione all’articolo 404 c.c., e articolo 407 c.c., comma 3, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Secondo la ricorrente, la Corte di appello avrebbe ritenuto erroneamente la ricorrenza dei presupposti per l’applicazione dell’amministrazione di sostegno, attesa la assenza di un’infermita’ o di una menomazione fisica e/o psichica, anche parziale, di provvedere ai propri interessi, sulla base esclusivamente “di una presunta e mai provata condotta di prodigalita’ che non solo non risulta da alcun elemento ma costituisce una totale forzatura di chi intende controllarla” (fol. 44 del ric.). La critica e’ condotta anche avverso le concrete misure adottate in via provvisoria, ritenute molto severe e piu’ afflittive dell’inabilitazione.

2.2. Il secondo motivo e’ infondato.

2.3. Costituisce un approdo giurisprudenziale consolidato in sede di legittimita’, che si intende confermare, quello secondo il quale puo’ adottarsi la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno, nell’interesse del beneficiario (interesse reale e concreto, inerente la persona e/o il suo patrimonio), anche in presenza dei presupposti di interdizione o di inabilitazione e dunque anche quando ricorra una condizione di prodigalita’, come nel caso in esame (Cass. n. 18171 del 26/07/2013, n. 20664 del 31/08/2017).

2.4. Il motivo, prospettato come violazione di legge, e’ altresi’ inammissibile laddove sollecita un riesame del merito, criticando in modo generico la valutazione dei fatti compiuta dalla Corte territoriale.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione di legge per mancata ammissione della CTU in relazione all’articolo 409 c.c., ed agli articoli del cod. proc. civ. che disciplinano la consulenza come strumento istruttorio essenziale per l’accertamento dei fatti (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

3.2. Con il quarto motivo la questione della mancata ammissione della CTU e’ denunciata sotto il profilo dell’omessa applicazione al caso di specie dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle Liberta’ fondamentali, in materia di equo processo. Nel motivo la ricorrente si duole anche del mancato ingresso in appello delle prove consistenti nella rinnovazione del proprio esame personale e della prova orale per testi diretta e contraria (fol. 61 del ric.).

3.3. I motivi terzo e quarto sono infondati.

3.4. Come questa Corte ha gia’ avuto modo di affermare, la decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che e’ tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare (Cass. n. 17399 del 01/09/2015). Ne consegue che, quando il giudice disponga di elementi istruttori e di cognizioni proprie, integrati da presunzioni e da nozioni di comune esperienza, sufficienti a dar conto della decisione adottata, non puo’ essere censurato il mancato esercizio di quel potere, mentre se la soluzione scelta non risulti adeguatamente motivata, e’ sindacabile in sede di legittimita’ sotto l’anzidetto profilo (Cass. n. 72 del 03/01/2011, n. 4853 del 01/03/2007).

Peraltro, la prodigalita’, cioe’ un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare eccessivamente rispetto alle proprie condizioni socioeconomiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura autonoma causa di inabilitazione, ai sensi dell’articolo 415 c.c., comma 2, indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o comunque infermita’, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita, purche’ sia ricollegabile a motivi futili (Cass. 786 del 13/01/2017).

Nel caso in esame il giudice di appello ha escluso la necessita’ di CTU sulla considerazione che non erano in discussione specifiche malattie o infermita’ della (OMISSIS), circostanza che non solo non e’ contestata dalla ricorrente, ma e’ dalla stessa sostenuta, di guisa che i motivi oltre che infondati, poiche’ la statuizione e’ adeguatamente motivata, risultano privi di decisivita’.

3.5. Quanto al profilo di doglianza concernente la richiesta di rinnovazione delle prove, si deve osservare che lo stesso e’ ampiamente carente sul piano dell’autosufficienza, assertivo ed astratto poiche’ non e’ dato comprendere quali fossero i circostanziati fatti che tale rinnovazione probatoria avrebbe dovuto corroborare.

4.1. Con il quinto motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti, in ordine alle cause dei debiti contratti dalla ricorrente e delle ragioni che l’hanno indotta ad indebitarsi, avuto riguardo al patrimonio immobiliare ed alla sua consistenza (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5) al fine di escludere la ricorrenza della prodigalita’. Secondo la prospettazione della ricorrente l’indebitamento era conseguito alla necessita’ di provvedere ad opere di ristrutturazione del suo patrimonio immobiliare, in comproprieta’ con soggetti che si erano opposti allo scioglimento della comunione.

4.2. Il quinto motivo e’ inammissibile.

4.3. L’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv., con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, e non gia’ all’omessa valutazione di deduzioni difensive (Cass. 14/06/2017, n. 14802).

Nel caso concreto la Corte di appello dopo avere puntualmente esaminato le condizioni economiche della (OMISSIS) e le condotte assurte ad indici della conclamata prodigalita’ (pluralita’ di prestiti con (OMISSIS), mutuo INPS con cessione del quinto della pensione, prestito di Euro.40.000,00 contratto con la figlia, debiti per spese condominiali, debito di Euro.34.000 con il bar (OMISSIS), di cui la meta’ per l’acquisto di “gratta e vinci”; tutto a fronte di un trattamento pensionistico di circa Euro 1.600,00 mensili) rispetto alle quali la censura non svolge alcun argomento, ha affermato che la ricorrente non aveva fornito alcuna prova degli esborsi che assumeva di avere sopportato per le spese di ristrutturazione della casa e per visite mediche specialistiche. A fronte di tale pronuncia la ricorrente avrebbe dovuto illustrare gli elementi di prova offerti e la loro valenza: nulla di cio’ si ritrova nel motivo che risulta generico ed assertivo e, quindi, inammissibile.

5.1. Con il sesto motivo si denuncia la violazione degli articoli 545 e 546 c.p.c., sulla misura dell’assegno riservato alla sua disponibilita’, lamentando l’inidoneita’ della somma (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

5.2. Il sesto motivo e’ inammissibile.

5.3. Invero la censura e’ rivolta al provvedimento a contenuto gestorio, adottato in via provvisoria dalla Corte di appello, avverso il quale non e’ proponibile ricorso per cassazione (Cass. 28/09/2017, n. 22693).

6.1 Con il settimo motivo si denuncia “la questione delle spese di lite ex articolo 91 c.p.c., e la soccombenza di (OMISSIS) e l’error in procedendo della Corte ex articolo 112 c.p.c.”. A parere della ricorrente, la figlia – che aveva promosso l’inabilitazione – avrebbe dovuto essere considerata soccombente, se non integralmente almeno nella misura maggiore, di guisa che non si sarebbe potuto procedere alla compensazione integrale delle spese per i due gradi di giudizio.

6.2. Il settimo motivo e’ inammissibile.

6.3. Trova applicazione il principio secondo il quale “In tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e’ limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunita’ di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi”. (Cass. n. 24502 del 17/10/2017).

7.1. In conclusione il ricorso va rigettato, infondati i motivi primo, secondo, terzo e quarto, inammissibili i motivi quinto, sesto e settimo.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza, nella misura liquidata in dispositivo.

Poiche’ dagli atti il processo risulta esente dal contributo unificato Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, ex articolo 10, comma 3, non sussistono i presupposti per l’applicazione dell’articolo 13, comma 1 bis, del cit. D.P.R..

Va disposto che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196, articolo 52.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida nel compenso di Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dispone che in caso di diffusione della presente ordinanza siano omesse le generalita’ delle parti e dei soggetti in essa menzionati, a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

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