Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 4 settembre 2014, n. 18673

 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido – Presidente
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. MANNA Antonio – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 26323-2012 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO LEGALE (OMISSIS) & ASSOCIATI S.R.L., rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI RIMINI;
– intimato –
Nonche’ da:
COMUNE DI RIMINI P.I. (OMISSIS), in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente Incidentale –
contro
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO LEGALE (OMISSIS) & ASSOCIATI S.R.L., rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –
avverso la sentenza n. 973/2011 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 16/05/2012 R.G.N. 729/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/2014 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELENTANO Carmelo che ha concluso per il rigetto del ricorso principale, accoglimento dell’incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte di Appello di Bologna, confermando la sentenza del Tribunale di Rimini, accoglieva il capo della domanda di (OMISSIS), collocato a riposo in data 1 dicembre 2000, proposta nei confronti del Comune di Rimini – di cui era stato dipendente con la qualifica, prima, di Comandante della Polizia municipale e, poi, di dirigente – di retrodatazione al 29 settembre 2000 della cessazione di efficacia della sospensione cautelare disposta Legge n. 3 del 1957, ex articolo 91 per decorso del termine quinquennale.
Rigettava, pero’, la predetta Corte, e sempre confermando la sentenza del Tribunale, il capo della domanda relativo alla declaratoria del diritto del (OMISSIS), a decorrere dal 29 settembre 2000, ad essere ricollocato nel posto di Comandante della Polizia municipale con condanna di controparte al risarcimento dei danni.
A fondamento del decisum la Corte territoriale, per quanto attiene la decorrenza della cessazione della sospensione cautelare, poneva il rilievo secondo il quale il termine quinquennale massimo previsto dalla Legge n. 19 del 1990, articolo 9, comma 2 era riferibile non solo alla sospensione facoltativa ma anche a quella obbligatoria, sicche’ dovendosi cumulare i vari periodi di sospensione il (OMISSIS) aveva diritto ad essere riammesso in servizio alla data dal 29 settembre 2000 – e non a quella, come ritenuto dal Comune, del 29 novembre 2000 – fino al collocamento a riposo avvenuto in data 1 dicembre 2000.
Relativamente al reclamato diritto del (OMISSIS) ad occupare, dopo la riammissione in servizio, il posto di Comandante della Polizia municipale, la Corte del merito riteneva, per un verso non censurato il dictum del Tribunale secondo il quale tale diritto non sussisteva in considerazione della temporaneita’ e fiduciarieta’ dell’incarico dirigenziale,e dall’altro che tale statuizione trovava conferma nella giurisprudenza di legittimita’ che aveva escluso la configurabilita’ di un diritto soggettivo a conservare in ogni caso determinate tipologie d’incarico dirigenziale. Ne’, aggiungeva la predetta Corte,poteva rilevare la dedotta peculiarita’ dell’incarico reclamato poiche’ l’allegazione, come gia’ ritenuto dal Tribunale, risultava tardiva e la relativa declaratoria non era stata censurata. D’altro canto, osservava la Corte del merito, il (OMISSIS) non avrebbe potuto comunque svolgere con pienezza le funzioni nell’ambito della Polizia municipale stante la perdurante sospensione da parte del Prefetto dalla funzione di Pubblica sicurezza che non poteva considerasi venuta meno per effetto della sola cessazione di efficacia della sospensione cautelare del servizio. La Corte di appello, poi, in ordine all’asserito demansionamento a far tempo dal 29 settembre 2000, sottolineava che essendo stato il (OMISSIS) collocato a riposo il 1 dicembre dello stesso anno la sua difesa era unicamente apprezzabile in considerazione del solo interesse al risarcimento del danno che non risultava allegato e provato.
Ne’, riteneva la Corte territoriale, in considerazione del breve lasso di tempo del prospettato demansionamento sussistevano i presupposti, nemmeno allegati, del c.d. mobbing.
Avverso questa sentenza il (OMISSIS) ricorre in cassazione sulla base di sette motivi.
Resiste con controricorso il Comune di Rimini che propone impugnazione – incidentale assistita da un’unica censura, cui si oppone, con controricorso, il ricorrente principale.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I ricorsi vanno preliminarmente riuniti riguardando la impugnazione della stessa sentenza.Con il primo motivo del ricorso principale, il (OMISSIS), deducendo nullita’ della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c., sostiene che la Corte del merito, quanto al demansionamento, ha erroneamente ritenuto che non fosse stata richiesta la reintegra.
Il motivo e’ infondato.
Invero la Corte del merito considerato che il (OMISSIS) era stato collocato a riposo il 1 dicembre del 2000 ritiene che l’interesse giuridicamente apprezzabile dell’allora appellante – ossia del (OMISSIS) – e’ limitato al risarcimento del danno connesso al prospettato demansionamento.
Non vi e’, quindi, violazione dell’articolo 112 c.p.c. in quanto l’assunto della Corte del merito non si basa sulla interpretazione della domanda, ma trova fondamento nell’apprezzamento dell’attualita’ e dell’ambito dell’interesse ad agire e sotto tale aspetto non vi e’ specifica censura.
Con la seconda critica il ricorrente principale, denunciando violazione dell’articolo 112 c.p.c. e vizio di motivazione, prospetta che la Corte territoriale non ha valutato che era stata chiesta l’affermazione del suo diritto a svolgere le funzioni di Comandante della Polizia municipale.
La critica e’ infondata.
Infatti la Corte del merito fonda il suo dictum sul rilievo che non era stata censurata la sentenza del Tribunale in punto d’insussistenza “di un diritto soggettivo non solo all’attribuzione, ma anche al mantenimento di un incarico dirigenziale essendo la nuova disciplina privatistica fondata sui principi della temporaneita’ e della fiduciarieta’ degli incarichi dirigenziali”.
Ne’ il ricorrente principale indica in quale punto dell’appello e’ stata specificamente censurata siffatta statuizione.
Con la terza censura il ricorrente principale, allegando violazione dell’articolo 112 c.p.c. e vizio di motivazione, prospetta che la Corte del merito ha del tutto obliterato il tema della comparazione delle funzioni appiattendosi sulla sentenza di primo grado che quella comparazione aveva rifiutato inammissibilmente.
La censura non coglie nel segno poiche’, una volta rilevato dalla Corte del merito il passaggio in giudicato – per difetto di specifica censura -della statuizione della sentenza di primo grado circa l’insussistenza del diritto soggettivo al mantenimento dell’incarico dirigenziale, il tema della comparazione non poteva che rimanere assorbito.
Con il quarto motivo il (OMISSIS) denuncia vizio di motivazione nella parte in cui esclude totalmente, riportandosi ad una giurisprudenza non conferente con la fattispecie scrutinata, che sia configurabile un diritto soggettivo a conservare in ogni caso determinate tipologie di incarico dirigenziale.
Con la quinta censura il (OMISSIS), deducendo violazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 52, articolo 13 CCNL Dirigenza Enti Locali, Legge n. 29 del 1993, articolo 19, articolo 1, comma 4, del Regolamento comunale, articoli 3 e 8 del Regolamento del Corpo della polizia municipale, Legge quadro n. 65 del 1986, articoli 4, 5, 7 e 9 e del “Regolamento della Polizia Municipale nonche’ vizio di motivazione, assume che, contrariamente a quanto affermato dal giudice di appello, dal sistema non si puo’ trarre l’esclusione in ogni caso del diritto a conservare determinate tipologie dirigenziali, anzi si desume l’opposto principio.
Con la sesta critica, il (OMISSIS) allegando violazione della Legge Quadro n. 65 del 1986, articolo 5 e vizio di motivazione, sostiene che erroneamente la Corte del merito non considera correlabili la sospensione cautelare e la sospensione dalle funzioni di Pubblica sicurezza nel senso che venendo meno la prima viene meno anche la seconda.
L’esame di tali motivi, che vanno trattati unitariamente per la loro stretta connessione logico-giuridica, va ritenuto assorbito.
Nella specie, invero, la sentenza impugnata risulta ancorata, sul punto in esame, a diverse distinte rationes decidendi, autonome l’una dalla altra, e ciascuna, da sola, sufficiente a sorreggerne il dictum: in particolare: a) all’affermazione della mancata censura alla sentenza del Tribunale in punto d’insussistenza del diritto al mantenimento di un determinato incarico dirigenziale; b) al rilievo che tale statuizione trova conferma nella giurisprudenza di legittimita’ la quale ha escluso la configurabilita’ di un diritto soggettivo a conservare in ogni caso determinate tipologie d’incarico dirigenziale; c) alla tardivita’ e, quindi, inammissibilita’, gia’ asserita dal Tribunale e non censurata in appello, delle allegazioni concernenti la – peculiarita’ dell’incarico reclamato; d) alla considerazione che la perdurante sospensione, da parte del Prefetto, dalla funzione di Pubblica sicurezza impedisce di svolgere con pienezza le funzioni nell’ambito della Polizia municipale.
Ebbene e’ ius reception, nella giurisprudenza di questa Corte, il principio per il quale l’impugnazione di una decisione basata su una motivazione strutturata in una pluralita’ di ordini di ragioni, convergenti o alternativi, autonomi l’uno dallo altro, e ciascuno, di per se’ solo, idoneo a supportare il relativo dictum, per poter essere ravvisata meritevole di ingresso, deve risultare articolata in uno spettro di censure tale da investire, e da investire utilmente, tutti gli ordini di ragioni cennati, posto che la mancata critica di uno di questi o la relativa attitudine a resistere agli appunti mossigli comporterebbero che la decisione dovrebbe essere tenuta ferma sulla base del profilo della sua ratio non, o mal, censurato e priverebbero l’impugnazione dell’idoneita’ al raggiungimento del suo obiettivo funzionale, rappresentato dalla rimozione della pronuncia contestata (cfr., in merito, ex multis, Cass. 26 marzo 2001 n. 4349, Cass. 27 marzo 2001 n 4424 e da ultimo Cass. 20 novembre 2009 n. 24540).
Conseguentemente se una delle ragioni poste a base della sentenza impugnata resiste alle critiche mosse dal ricorrente e’ del tutto ultroneo l’esame della resistenza delle censure mosse alle altre autonome rationes decidendi.
Nella specie, resistendo la sentenza impugnata in punto di mancata censura alla statuizione del Tribunale circa l’insussistenza di un diritto al mantenimento dell’incarico reclamato, e’ del tutto ultroneo il vaglio delle censure afferenti le altre autonome ragioni poste a base della decisione, non senza considerare che non risulta, in alcun modo censurata, l’affermazione della Corte del merito circa la non impugnazione del capo della sentenza di primo grado relativo alla tardivita’ della allegazione afferente la “peculiarita’” dell’incarico di Comandante della Polizia municipale.
Con il settimo motivo il (OMISSIS), assumendo violazione degli articoli 112, 113, 115 e 117 c.p.c., articoli 2697, 2727 e 2729 c.c. e vizio di motivazione,critica la sentenza impugnata, sia per non aver ritenuto che il danno alla professionalita’ acquisita e’ risarcibile in se’, sia per non aver considerato che tutti gli altri danni reclamati erano stati allegati.
La critica non e’ avallabile.
E’,infatti, giurisprudenza consolidata di questa Corte che in tema di risarcimento del danno non patrimoniale derivante da demansionamento e dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, non ricorre automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale e non puo’ prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio – dall’esistenza di un pregiudizio (di natura non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile), che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri, inducendolo a scelte di vita diverse quanto all’espressione e realizzazione della sua personalita’ nel mondo esterno. Tale pregiudizio non si pone quale conseguenza automatica di ogni comportamento illegittimo rientrante nella suindicata categoria, cosicche’ non e’ sufficiente dimostrare la mera potenzialita’ lesiva della condotta datoriale, incombendo sul lavoratore non solo di allegare il demansionamento, ma anche di fornire la prova ex articolo 2697 c.c. del danno e del nesso di causalita’ con l’inadempimento datoriale (per tutte Cfr. Cass. 21 marzo 2012 n. 4479 e Cass. 19 dicembre 2008 n. 29832 nonche’ Cass. S.U. 11 novembre 2008 n. 26972).
La Corte di Appello si e’ attenuta a siffatta regula iuris in quanto ha affermato che in relazione al limitato periodo di demansionamento non risulta nemmeno allegato, se non genericamente, il lamentato danno.
Ne’ il mero richiamo alla potenzialita’ lesiva del comportamento datoriale, senza alcuna specifica deduzione circa gli elementi fattuali del concretizzarsi di tale danno, come ritenuto, con motivazione congrua, nella sentenza impugnata, puo’ costituire idonea allegazione ai fini di cui trattasi.
D’altro canto anche per quanto riguarda il danno patrimoniale questo risulta allegato sulla base del richiamo ad indennita’ specifiche (quella di posizione), ma senza indicazione di elementi fattuali di riscontro.
Del resto, e vale la pena di osservarlo, rimanendo intangibile la sentenza di primo grado in punto d’insussistenza di un diritto soggettivo al mantenimento dell’incarico di Comandante di Polizia municipale, non e’ configurabile un demansionamento ovvero un mobbing – questo fondato esclusivamente sul demansionamento secondo la prospettazione del ricorrente principale – e conseguentemente un danno risarcibile.
Con il ricorso incidentale il Comune di Rimini, denunciando violazione della Legge n. 19 del 1990, articolo 9 critica la sentenza impugnata in punto di ritenuta assimilazione ai fini del decorso del termini di cinque anni della sospensione facoltativa e di quella obbligatoria.
Il ricorso e’ fondato.
Questa Corte, infatti, ha gia’ sancito, richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 447 del 1995, che in tema di sospensione cautelare del lavoratore dal servizio per illeciti disciplinari costituenti reato, la scadenza del termine di cinque anni dall’inizio del periodo di sospensione obbligatoria di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, articolo 91 comporta la cessazione di efficacia del provvedimento di sospensione cautelare, mentre non comporta anche l’automatica riammissione in servizio del dipendente, posto che non esclude, ne’ preclude, l’adozione del distinto provvedimento di sospensione cautelare facoltativa previsto dall’articolo 92 del richiamato decreto, alle condizioni e nel rispetto del procedimento da detta norma prefigurati, essendo dovere dell’Amministrazione apprezzare (e quindi differenziare) la maggiore o minore gravita’ degli addebiti e se essi siano tali da influire negativamente sui presupposti di dignita’ e capacita’ del dipendente, richiesti per la prosecuzione del rapporto di impiego (Cass. 13 ottobre 2010 n. 21159).
Tanto perche’ la predetta sentenza n. 447 del 1995 della Corte Costituzionale nel dichiarare non fondata, con riferimento all’articolo 3 Cost., comma 1, (principio di ragionevolezza), articolo 4 Cost., articolo 97 Cost., comma 1, (principio di buon andamento dell’amministrazione), la questione di legittimita’ costituzionale della Legge 7 febbraio 1990, n. 19, articolo 9, comma 2, secondo e terzo periodo, nella parte in cui prevede a carico della P.A. l’obbligo indiscriminato di riammettere nel posto di lavoro il dipendente – gia’ sospeso dal servizio per essere stato sottoposto a procedimento penale e successivamente condannato, ancorche’ con sentenza non definitiva – alla scadenza del termine di cinque anni dall’inizio del periodo di sospensione, ha chiarito che il predetto termine – riferito alla sospensione cautelare del dipendente medesimo, sottoposto a procedimento penale per reato di particolare gravita’, prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, articolo 91, comma 1, prima parte, – e’ congruo. LA stessa sentenza ha anche precisato che con riferimento all’articolo 97 Cost., comma 1 la disposizione censurata – nello statuire la cessazione di efficacia, alla scadenza del quinquennio, del predetto provvedimento di sospensione cautelare – non comporta l’automatica riammissione in servizio del dipendente, posto che non esclude, ne’ preclude, l’adozione del distinto provvedimento di sospensione cautelare facoltativa previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 92 alle condizioni e nel rispetto del procedimento da detta norma prefigurati, essendo dovere dell’Amministrazione apprezzare (e quindi differenziare) la maggiore o minore gravita’ degli addebiti e se essi siano tali da influire negativamente sui presupposti di dignita’ e capacita’ del dipendente, richiesti per la prosecuzione del rapporto di impiego.
Cio’ comporta che, non puo’ cumularsi, ai fini del termine di cinque anni
previsto dalla Legge 7 febbraio 1990, n. 19, articolo 9, comma 2 il tempo della sospensione obbligatoria con quella facoltativa essendo tale termine riferibile, alla stregua dell’interpretazione fornita nella citata sentenza della Corte Costituzionale, alla sola sospensione obbligatoria “ancorata, a differenza di quella facoltativa, al solo dato formale.
In accoglimento del ricorso incidentale, pertanto, la sentenza impugnata va in parte qua cassata.
Di conseguenza non essendo necessari altri accertamenti di fatto decidendosi nel merito, l’originaria domanda del (OMISSIS) va rigettata anche in relazione alla sostenuta assimilazione, ai fini del decorso del termine di cinque anni, della sospensione facoltativa e di quella obbligatoria.
Tenuto conto del diverso orientamento espresso dai giudici del merito, della complessita’ della materia trattata, stimasi compensare tra le parti le spese dell’intero processo.
P.Q.M.
La Corte riuniti i ricorsi rigetta il ricorso principale e accoglie il ricorso incidentale, cassa in relazione al ricorso incidentale accolto la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda di (OMISSIS). Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

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