Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 29 marzo 2016, n. 6049

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente

Dott. VENUTI Pietro – Consigliere

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7906-2014 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A., P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS);

– intimato –

nonche’ da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA CONCILIAZIONE, 44, presso lo studio dell’avvocato GIULIANO SEGATO, rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO COSTANTINO;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

(OMISSIS) S.P.A. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/8, presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 1222/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 28/10/2013 R.G.N. 1557/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/11/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO DE GREGORIO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La sentenza della Corte di Appello di L’AQUILA in data 10 – 28 ottobre 2013, in parziale accoglimento dell’appello proposto dalla (OMISSIS) S.p.a., confermava l’illegittimita’ del licenziamento intimato a (OMISSIS) in data 3 agosto 2004, condannando il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore, ma riduceva l’entita’ del risarcimento, in applicazione dell’articolo 1227 c.c., comma 2, alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data di comunicazione del tentativo obbligatorio di conciliazione (8 maggio 2007) all’effettiva reintegra, con la condanna della societa’ pure al rimborso delle ulteriori spese di lite, come ivi liquidate.

La Corte d’appello di L’Aquila osservava che:

a) i comportamenti contestati (aver aperto la valvola del vapore per riscaldamento del degasatore, contravvenendo ad un divieto, provocando cosi’ lo spegnimento della caldaia; aver omesso di avvisare il collega di lavoro ovvero il responsabile aziendale dello spegnimento della caldaia; aver disattivato il sistema di allarme sonoro, disinstallando il relativo relais), la cui gravita’ era stata rapportata dall’azienda alle conseguenze potenzialmente pregiudizievoli per i macchinari, l’incolumita’ dei lavoratori ed i residenti vicini all’impianto, non erano riconducibili alle ipotesi di licenziamento ad nutum di cui all’articolo 70 CCNL per i lavoratori dell’industria alimentare, sottoscritto il 5 giugno 1999, in quanto mancava la prova che il lavoratore avesse agito per danneggiare dolosamente o con colpa grave gli impianti, ovvero che avesse volontariamente disinserito dispositivi antinfortunistici (non potendosi a tal riguardo considerare la disattivazione dell’allarme), oppure che avesse posto in essere atti implicanti dolo o colpa grave con danno per l’azienda, atteso che il comportamento addebitato non aveva provocato alcun pregiudizio patrimoniale al datore di lavoro;

b) in base all’istruttoria svolta non poteva dirsi accertato che fosse stato il (OMISSIS) ad aprire la valvola (e comunque non vi era prova della volonta’ di danneggiare gli impianti o che da tale condotta potesse derivarne un effettivo pregiudizio per i lavoratori); era giustificabile che il lavoratore avesse omesso di avvisare l’addetto alla caldaia ovvero il responsabile aziendale, posto che il (OMISSIS) si era trovato da solo ad affrontare l’emergenza, non comprendendosi come mai l’addetto alla caldaia (non sanzionato) si fosse allontanato dalla propria postazione ad una distanza tale da non udire il suono della sirena dell’allarme; l’unico comportamento oggettivamente anomalo – disattivazione del dispositivo di allarme sonoro – non era, tuttavia, di gravita’ tale, considerata la vicenda complessivamente ed avuto riguardo alla storia professionale del soggetto, da giustificare il licenziamento;

c) il ritardo, con il quale il lavoratore aveva impugnato il licenziamento era imputabile ai sensi dell’articolo 1227 c.c., comma 2, con conseguente decurtazione del risarcimento dovuto, limitato alle retribuzioni globali di fatto maturate dalla data di comunicazione al datore di lavoro della richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione (8 maggio 2007) sino all’effettiva reintegra, oltre accessori.

La (OMISSIS) S.p.a. ricorreva per la cassazione dell’anzidetta sentenza con quattro motivi; resisteva, con controricorso, (OMISSIS), il quale proponeva, a sua volta, come da atto notificato il due maggio 2014, depositato il successivo giorno nove, ricorso incidentale con un unico motivo, avverso il quale la societa’ spiegava difese come da controricorso (notificato il giorno 11 giugno 2014 e depositato il 18 giugno).

Sono state depositate memorie ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso principale e’ articolato in quattro motivi.

Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione dell’articolo 2119 cod. civ. e dell’articolo 70 CCNL per i lavoratori dell’industria – alimentare del 5 giugno 1999, come novellato dal CCNL del 14 luglio 2003, per avere la Corte di appello escluso la riconducibilita’ delle condotte contestate alle ipotesi di licenziamento disciplinare indicate nel citato articolo 70 (danneggiamento volontario o messa fuori opera di presidi antinfortunistici), nonostante sia rimasto accertato che il (OMISSIS) ebbe a disattivare il dispositivo di allarme sonoro, certamente rientrante fra i “presidi antinfortunistici”.

Con il secondo motivo si assume, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame su di un fatto decisivo della controversia, che aveva formato oggetto di discussione tra le parti: ossia l’insussistenza dell’intervento in sala termica del (OMISSIS), secondo quanto risultante dalla corretta interpretazione delle risultanze istruttorie, da cui emerge che l’unica ricostruzione attendibile del fatto portava alla conclusione che era stato il lavoratore ad aprire la valvola asservita al degasatore.

Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla durata del suono dell’allarme, secondo quanto emergente dalla corretta interpretazione delle risultanze istruttorie, da cui emerge che l’unica ricostruzione attendibile del fatto e’ che il lavoratore provvide a disinserire l’allarme proprio con la finalita’ di occultare il blocco dell’impianto cagionato dalla mancanza di acqua nella caldaia.

Infine, con il quarto motivo del ricorso principale si denuncia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame circa un fatto decisivo, anch’esso oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’eccezione di detrazione dell’aliunde perceptum, sollevata in occasione della richiesta di sospensiva (della sentenza di primo grado), depositata il 20 febbraio 2013 presso la Corte di Appello (punti da 56 a 58), non essendo stata considerata l’attivita’ lavorativa svolta dal (OMISSIS) in epoca successiva al licenziamento e precisamente: dall’8 ottobre 2004 al 31 marzo 2004, alle dipendenze della Societa’ (OMISSIS); dal 21 febbraio al 30 settembre 2005, alle dipendenze di (OMISSIS); dal 2 novembre 2005 al 22 luglio 2006 alle dipendenze della soc. coop. (OMISSIS) a r.l.; dal 4 al 27 settembre 2006 presso (OMISSIS) s.r.l.; dal 23 settembre 2006 al 28 febbraio 2010 alle dipendenze della Societa’ (OMISSIS), con contratti a termine. In particolare, con il primo motivo la societa’ rilevava che la sentenza di secondo grado non aveva accolto la tesi di parte datoriale, che individuava la causa tipica della risoluzione del rapporto di lavoro per giusta causa nella complessiva condotta del (OMISSIS), il quale in una sola notte pose in essere una serie di condotte tali da minare gravemente ed irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro.

Il giudice di appello non aveva ritenuto neppure riconducibile alla fattispecie di cui al comma 12) del citato articolo 70 CCNL citato (licenziamento per cause disciplinari) per danneggiamento volontario o messa fuori opera di presidi antinfortunistici.

Infatti, ad avviso della ricorrente, secondo la Corte d’Appello, sarebbe stato pacifico che… tutti i comportamenti contestati non rientravano nelle mancanze previste dall’articolo 70 CCNL quale causa di licenziamento ad nutum. Non vi era in atti prova sufficiente ne’ che il lavoratore avesse volontariamente disinserito dispositivi antinfortunistici (non potendosi sostenere che con la disattivazione dell’allarme il lavoratore avesse inteso rimuovere un presidio teso alla protezione della sua integrita’ psicofisica nell’esecuzione della prestazione lavorativa) e cio’ nonostante lo stesso giudice aveva affermato che cosi’ stando le cose doveva dunque ritenersi che l’unico comportamento oggettivamente anomalo ascrivibile al (OMISSIS) era la (incontestata) disattivazione del dispositivo di allarme sonoro (considerato che il lavoratore aveva anche omesso di allenare il collega di lavoro ovvero il responsabile aziendale). In effetti, non era dato comprendere per quale ragione, dinanzi ad una situazione oggettivamente anomala, il lavoratore avesse ritenuto di manomettere il predetto dispositivo (tanto piu’ che non aveva neanche allenato nessuno dell’anomalia), non essendo ragionevolmente credibile che tale condotta potesse essere stata posta in essere in ottemperanza di una consolidata prassi aziendale, di cui non era dato di comprendere la ragione logica.

La norma in questione testualmente recitava:

“Art. 70 Licenziamento per cause disciplinari.

Il licenziamento con immediata risoluzione del rapporto di lavoro e con perdita dell’indennita’ di preavviso potra’ essere adottato per le mancanze piu’ gravi e, in via esemplificativa, nei seguenti casi: omissis).

10) danneggiamento volontario di impianti e di materiali… omissis.

12) danneggiamento volontario o messa fuori opera di dispositivi antinfortunistici.

13) atti implicanti dolo o colpa grave con danno per l’azienda…”.

Era di tutta evidenza che il giudice del secondo grado male aveva interpretato, disapplicandolo di fatto, l’articolo 70, comma 12) del c.c.n.l., ritenendo, del tutto illogicamente, che un sistema di allarme sonoro (in una distilleria) non potesse essere qualificato quale presidio antinfortunistico e che questo non fosse garanzia di incolumita’, in primis, proprio dei lavoratori, che potevano immediatamente percepire il pericolo e comportarsi secondo le prescrizioni aziendali.

Inoltre, il termine “presidio antinfortunistico” doveva essere interpretato in senso ampio e cioe’ atto a prevenire infortuni di qualsiasi genere, sia per prevenire l’incolumita’ del lavoratori sia della popolazione che vive nelle adiacenze dell’impianto.

E se era vero che per corrente Interpretazione giurisprudenziale il giudice del merito non era affatto vincolato alla previsioni contrattuali di recesso ad nutum, dovendosi far riferimento in primo luogo alla regola generale di cui all’articolo 2119 c.c., era altrettanto vero che la sua totale ed immotivata disapplicazione nel caso di specie, che incideva evidentemente nel conseguente giudizio di proporzionalita’, non poteva che tradursi nel grave vizio censurato.

Inoltre, quanto all’omesso esame circa un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti (la processuale inesistenza dell’intervento in sala termica del (OMISSIS)), la ricorrente osservava che il giudice d’appello aveva condiviso la valutazione del giudice di primo grado, nella parte in cui si era ritenuto che “… l’intervento del ricorrente nella sala termica, lungi dal costituire una iniziativa personale del tutto eccentrica rispetto alla qualifica professionale, ben potesse essere ricollegato ad una forma di adempimento della propria obbligazione lavorativa, e in particolare ad un tentativo di riparare un’anomalia in una situazione di emergenza. Del resto, in linea con quanto ritenuto dal primo giudice, non puo’ escludersi che l’intervento del ricorrente fosse stato giustificato proprio dalla perdurante assenza del responsabile addetto alla riparazione del guasto e, dunque, dall’imponenza della necessita’ dell’intervento”.

Su tale, specifica, questione era gia’ stato evidenziato in appello che l’intervento del (OMISSIS) nella sala termica (che il giudice di primo grado aveva in qualche modo giustificato) era frutto della fantasia del (OMISSIS), il quale aveva inventato di sana pianta un intervento sull’ “Economizzatore” nell’estremo tentativo di sviare l’attenzione sul fatto principale dell’apertura della valvola del “Degasatore” e che tali circostanze erano state inequivocabilmente dimostrate in giudizio.

– Nell’atto di appello, alle pagine da 25 a 27 era stato affermato che:

109. E’ bene sottolineare, sul punto, che il Sig. (OMISSIS) in sede di giustificazioni (cioe’ nella sua reazione a caldo) afferma che la valvola (del DEGASATORE) risultava gia’ aperta e di poi, nel ricorso (e dunque nella versione meditata) individua la causa del blocco della caldaia nella chiusura della valvola-by – pass dell’economizzatore (che doveva essere chiusa poiche’, a suo dire, l’economizzatore era talmente incrostato da non consentire il regolare transito dell’acqua. In definitiva, sempre secondo il (OMISSIS), la semplice apertura- della valvola by – pass (= esclusione dell’economizzatore) avrebbe consentito il regolare afflusso dell’acqua verso la caldaia e quindi risolto il problema. La questione e’ esplicitata a pag. 5 del ricorso: IN QUEI GIORNI L’ECONOMIZZATORE NON VENIVA UTILIZZATO POICHE’ LO STESSO ERA QUASI COMPLETAMENTE OSTRUITO DA INCROSTAZIONI.

110. E viene deferita al teste Ferra galli Camillo la circostanza di cui al cap. 16) dell’avversa memoria istruttoria “Vero che non veniva, in quei giorni, utilizzato l’economizzatore poiche’ lo stesso era quasi completamente ostruito da incrostazioni e quindi la valvola by – pass doveva essere aperta” per rafforzare la tesi che a cagionare il blocco della caldaia e la consequenziale fermata dell’impianto di produzione era stato proprio il malfunzionamento dell’economizzatore.

111. La tesi postuma dei Sig. (OMISSIS) e’ stata ampiamente e chiaramente smentita dalla seguenti circostanze, testimoniali e documentali:

– in primis, occorre specificare che l’affermazione del (OMISSIS) in sede di giustificazioni “… la valvola risultava gia’ aperta ” e’ certamente fuorviante, visto che il teste (OMISSIS) ha chiarito che detta valvola era stata regolata al minimo (pag. 29 del verbale di udienza: rispondendo alla domanda di cui cap. 3) delle prove di parte resistente “vero che il giorno 18 luglio 2004 il termometro asservito al degasatore era rotto e che, pertanto, fu impartita a tutti gli operai la disposizione di non aprire assolutamente la valvola per l’afflusso del vapore nel degasatore” rispondeva “E’ vera la circostanza; mi ricordo bene l’episodio perche’ si verifico’ solo quella volta, fu un evento eccezionale. Fu regolato al minimo il vapore per evitare che la temperatura salisse; e’ ovvio che a regolazione “al minimo”, fatta da persone competenti, non autorizzava in ogni caso l’apertura della valvola che, di conseguenza, consentiva un ulteriore, incontrollato ed incontrollabile afflusso di vapore.

L’economizzatore e’ sempre stato perfettamente funzionante e non ha mai avuto problemi di incrostazioni: e’ quanto emerge dalla risposta alla circostanza di prova n. 19) della memoria di costituzione (Vero che l’economizzatore e’ stato sempre perfettamente funzionante ed in particolare non ha mai presentato segni o problemi di incrostazioni) sulla quale hanno riferito i Sigg. (OMISSIS) (pag. 39 del verbale di udienza risponde Posso dire che nel periodo in cui si e’ verificato il fatto non abbiamo fatto manutenzione per le incrostazioni in quanto non era stato riscontrato alcun problema, viene infatti utilizzato un additivo che evita il formarsi delle incrostazioni sia sull’economizzatore che sulla caldaia; aggiungo che tale attivita’ di mettere additivi non la faccio io ma una ditta esterna”. – e (OMISSIS) – pag. 43 del verbale di udienza.

Lo stesso teste (OMISSIS) riferisce poi che non sono mai stati fatti interventi di pulizia per l’asporto di incrostazioni dall’economizzatore: e’ quanto emerge dalla risposta alla circostanza di prova n. 20) della memoria di costituzione sulla quale il teste riferisce – pag. 40 del verbale di udienza: io non ho mai visto fare interventi di pulizia sull’economizzatore per asportare incrostazioni.

– V’e’ addirittura la prova documentale della perfetta efficienza dell’economizzatore: dai documenti n. 8 e 9 di parte resistente si evince chiaramente che alla data dell’11 maggio 2004 (appena due mesi prima dei fatti) fu effettuato il controllo… sull’economizzatore… che ne denunciava la perfetta efficienza… Al capitolo 16) di parte ricorrente (vero che in quei giorni non veniva utilizzato l’economizzatore poiche’ lo stesso era quasi completamente ostruito da incrostazioni e quindi la valvola by – pass doveva essere aperta, il teste (OMISSIS) aveva che non era in grado di rispondere.

114. DA cio’ emerge che le risultanze della prova, testimoniale ed documentale, hanno una direzione univoca: l’economizzatore funzionava perfettamente.

115 Ma allora era evidente che la (macroscopicamente inveritiera) circostanza allegata dal (OMISSIS) era inequivocabilmente diretta a sviare dal fatto principale (l’apertura della valvola di afflusso del vapore asservita al degasatore) essendo altrettanto evidente che non vi sarebbe stata alcuna necessita’ da parte del (OMISSIS) di trovare una giustificazione alternativa sia alla causa del blocco della caldaia, che provoco’ la fermata dell’impianto, che al suo intervento sulla valvola asservita al degasatore.

A fronte di tali inequivocabili risultanze istruttorie, correttamente individuate quanto alla collocazione endoprocessuale sin dall’atto di appello, i giudici di merito non potevano che giungere, ad avviso della societa’ ricorrente, alla conclusione dell’inesistenza di qualsivoglia intervento nella sala termica da parte del (OMISSIS). Invece, tale intervento era stato ritenuto, contro ogni logica, veritiero ed addirittura giustificato. Tale punto era decisivo per la controversia, poiche’ incideva in modo sostanziale ed evidentemente sulla motivazione, tutta incentrata sulla sproporzione tra fatti e sanzione.

… L’omesso esame di tale fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, impediva di qualificare correttamente la condotta del (OMISSIS), anche sotto il profilo della sussistenza della buona fede nell’esecuzione del rapporto e dell’intensita’ del dolo profuso nel corso delle attivita’ contestate, concetti questi diffusamente richiamati, come visto, nella sentenza gravata…

Orbene, la Corte aquilana, dopo aver dettagliatamente individuato tutte le censure mosse dalla societa’ appellante, previo esame delle contestazioni disciplinari nei confronti del (OMISSIS), richiamando altresi’ il testo dell’articolo 70 c.c.n.l. per i lavoratori dell’industria alimentare in data cinque giugno 1999, osservava come pacificamente i comportamenti ascritti all’incolpato non rientrassero tra le mancanze contemplate dall’articolo 70 quale causa di licenziamento ad nutum, non essendovi dimostrazione sufficiente ne’ che il lavoratore avesse inteso danneggiare dolosamente gli impianti ed i materiali della Distilleria (mancando del tutto la prova della ascrivibili alla condotta dell’appellato dell’apertura della valvola del degasatore), ne’ che lo steso avesse volontariamente disinserito i dispositivi antinfortunistici (non potendosi sostenere che con la disattivazione dell’allarme il lavoratore avesse inteso rimuovere un presidio volto alla protezione della sua integrita’ psicofisica nell’esecuzione della sua prestazione), ne’ tanto meno che il (OMISSIS) avesse posto in essere atti implicanti dolo o colpa grave con danno all’azienda.

Quindi, previa analitica confutazione dei rilievi mossi dall’appellante, la sentenza di secondo grado rilevava la mancanza in atti di prova alcuna che l’apertura della valvola fosse ascrivibile alla condotta dell’attore, laddove poi diversamente opinando non era dimostrato che la condotta 21 fosse stata posta in essere dal (OMISSIS) al solo scopo di recare danni all’impianto ed ai materiali aziendali. Non risultava che fosse stata messa in pericolo l’incolumita’ dei lavoratori o di altri, non essendo credibile che un macchinario come quello in esame non fosse dotato di un sistema di sicurezza idoneo ad interromperne il funzionamento in caso di surriscaldamento. Inoltre, secondo la Corte di Appello, l’incontestata circostanza che il (OMISSIS) non avesse avvisato il compagno di lavoro, ovvero il responsabile aziendale dello spegnimento della caldaia, poteva spiegarsi con il fatto che l’appellato si era trovato da solo nell’improvvisa necessita’ di fronteggiare una situazione anomala, stante la contemporanea assenza sia di (OMISSIS) (addetto alla caldaia), sia di (OMISSIS) (responsabile aziendale). Pertanto, era condivisibile quanto ipotizzato dal giudice di primo grado, secondo cui l’intervento del ricorrente nella sala termica, lungi dal costituire una sua eccentrica iniziativa personale, ben poteva ricollegarsi ad una forma di adempimento della propria obbligazione lavorativa ed in particolare ad un tentativo di riparare un’anomalia in una situazione di emergenza. Ne’ poteva escludersi, come opinato anche dal giudice di primo grado, che l’intervento del ricorrente fosse stato giustificato proprio dalla perdurante assenza del responsabile addetto alla riparazione del guasto e dunque dall’impellenza della necessita’ dell’intervento.

L’unico comportamento, secondo la Corte distrettuale, oggettivamente anomalo ascrivibile al (OMISSIS) residuava nella incontestata disattivazione del dispositivo di allarme sonoro. Tuttavia, la Corte di Appello riteneva che la descritta situazione di fatto si riduceva in effetti ad un solo circoscritto episodio (parzialmente provato), concentrato in un ben delineato lasso di tempo e privo d’intenzionalita’ lesiva, sostanzialmente isolato nella storia lavorativa dell’appellato, il quale era incorso in precedenti sanzioni disciplinari, ma per fatti di limitata gravita’ e di diversa natura, rispetto a quelli che avevano condotto al licenziamento, per di piu’ commessi in un momento di estrema conflittualita’ tra le parti.

Va ancora osservato che, secondo il controricorrente – ricorrente incidentale, in sede d’interrogatorio formale (OMISSIS) dichiaro’ di essere intervenuto dopo il suono della sirena, di aver chiuso la valvola e di aver dopo chiesto al (OMISSIS) chi l’aveva aperta, cui l’interlocutore rispose di essere stato lui. Nell’occasione inoltre, a domanda, aveva precisato di aver sentito la sirena, di essere intervenuto entrando nel locale caldaia, notando che il rele’ della sirena era stato smontato e poggiato, di aver guardato cosa avesse la caldaia, di aver visto che le pompe erano in funzione, ma che l’acqua non arrivava, per cui, uscito fuori ed incontrato il (OMISSIS), chiese a costui chi avesse smontato il rele’ della sirena, di essere poi andato con il (OMISSIS) verso il degasatore, dove c’era il (OMISSIS) arrampicato sullo stesso degasatore per rimediare; di essersi girato e di aver visto che la valvola del degasatore era aperta, per cui provvide immediatamente a chiuderla, chiedendo chi l’avesse aperta. Alla domanda rispose il (OMISSIS) dichiarando di essere stato lui. Nel frattempo aveva chiuso anche la valvola di prelievo dalla caldaia per rispristinare la sicurezza.

Dunque, secondo la Corte distrettuale, non poteva non rilevarsi che l’escalation disciplinare, che aveva condotto al licenziamento, si era verificata in tutta l’epoca immediatamente successiva al 16 gennaio 2004, il cui episodio aveva evidentemente costituito l’evento scatenante, che aveva indotto il datore di lavoro ad attuare una condotta tesa verosimilmente all’obiettivo di liberarsi del lavoratore per via disciplinare. Pertanto, secondo la Corte d’Appello, sussisteva una evidente ed inammissibile sproporzione tra le infrazioni contestate, solo in pare provate, e la massima sanzione espulsiva applicata.

Peraltro, ammesso anche che sia provata l’apertura della valvola ad opera del (OMISSIS), in base pure a quanto dichiarato da (OMISSIS) in sede d’interrogatorio formale, lo stesso (OMISSIS) nell’occorso faceva presente di aver visto il (OMISSIS) intento al degasatore per rimediare all’avaria, almeno cosi’ verosimilmente supponeva il medesimo dichiarante; cio’ che pero’ induce ad escludere ogni volontarieta’ da parte del lavoratore di provocare danni, il quale altrimenti non si sarebbe preoccupato di riparare il guasto in atto, sicche’ inoltre la disattivazione dell’allarme sonoro da parte del (OMISSIS) potrebbe anche spiegarsi con il solo intendimento di trovare da solo una soluzione al fermo, che avrebbe involontariamente provocato con l’apertura della valvola, per evitare di essere scoperto in relazione alla errata manovra da lui attuata, e quindi le conseguenze di carattere disciplinare a suo carico in relazione a tale colposa condotta posta in essere.

D’altro canto, mancano inidonei elementi di valutazione per poter classificare l’anzidetta sirena tra i dispositivi antinfortunistici di cui al n. 12 del suddetto articolo 70, laddove l’allarme sonoro risulta finalizzato a segnalare unicamente avarie al funzionamento della caldaia, connesso quindi essenzialmente ad esigenze del locale ciclo produttivo, piuttosto che ad evitare infortuni in pregiudizio degli operatori ivi addetti.

Ad ogni modo, il complesso della ratio decidendi, per come nel suo insieme ampiamente motivato, non puo’ essere rimesso in discussione in sede di legittimita’, se non rivalutando in fatto gli elementi di cognizione apprezzati dal giudice di merito, cio’ che pero’ e’ senz’altro precluso a questa Corte (circa i limiti di indagine relativi alla ricostruzione delle risultanze istruttorie v. tra l’altro Cass. civ. sez. 6 – 5, n. 7921 del 06/04/2011, secondo cui con la proposizione del ricorso per cassazione, il ricorrente non puo’ rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in se’ coerente; l’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, e’ sottratto al sindacato di legittimita’, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non e’ conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilita’ e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione.

Cfr. inoltre Cass. 6 – 3, n. 21257 – 08/10/2014, secondo cui dopo la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134 – pure qui ratione temporis applicabile in relazione alla sentenza aquilana in data 10/28 ottobre 2013- l’omessa pronunzia continua a sostanziarsi nella totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto; al contrario, il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’articolo 360 cod. proc. civ. presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico, oppure che si sia tradotto nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa, invece, qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

V. ancora Cass. sez. un. civ. nn. 8053 e 8054 del 07/04/2014, secondo cui la riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’articolo 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimita’ sulla motivazione. Pertanto, e’ denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in se’, purche’ il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

V. da ultimo inoltre Cass. lav. n. 21439 del 21/10/2015, secondo cui nel giudizio di cassazione e’ precluso l’accertamento dei fatti ovvero la loro valutazione a fini istruttori, tanto piu’ a seguito della modifica dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, operata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv. con modif. in L. n. 134 del 2012, che consente il sindacato sulla motivazione limitatamente alla rilevazione dell’omesso esame di un “fatto” decisivo e discusso dalle parti.

Cass. civ. 6 – 3, n. 13928 del 6/7/2015: nel vigore del nuovo testo dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), introdotto dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134, non e’ piu’ configurabile il vizio di contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullita’ della sentenza ai sensi del n. 4) del medesimo articolo 360 cod. proc. civ.. Similmente, secondo Cass. n. 16300 del 16/07/2014, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve escludersi la sindacabilita’ in sede di legittimita’ della correttezza logica della motivazione di idoneita’ probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo piu’ autonoma rilevanza il vizio di contraddittorieta’ della motivazione.

V. altresi’ Cass. civ. 6 – 3, n. 12928 del 9/6/2014, secondo la quale, dopo la modifica dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), ad opera del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito e’ sindacabile in sede di legittimita’ soltanto quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili).

Dunque, il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso principale vanno respinti, in quanto tendono a riproporre una nuova valutazione delle risultanze processuali, esaminate con motivazione completa ed esente da vizi, sia in ordine all’insussistenza dell’ipotesi della contrattazione collettiva contestata, sia in ordine alla sproporzione della sanzione adottata rispetto ai fatti accertati, considerato anche che trattasi di ricorso che ricade nell’ambito di applicazione del novellato articolo 360 c.p.c., n. 5.

Diversamente, invece, va detto per quanto concerne il quarto motivo del ricorso principale, non essendo stata per nulla valutata la circostanza dello svolgimento di attivita’ lavorativa in epoca successiva al recesso, introdotta nel processo d’appello al momento della discussione della richiesta di sospensiva, depositata il 20 febbraio 2013, sulla scorta di estratto (rilasciato dal Centro per l’Impiego della Provincia di Chieti) dei rapporti di lavoro intrattenuti dal (OMISSIS) dal 1994 al 2010, segnatamente in seguito al licenziamento di cui e’ processo presso (OMISSIS), (OMISSIS), Coop. (OMISSIS) e (OMISSIS), mediante contratti a tempo determinato.

Pertanto, trattandosi ad ogni modo di circostanza rilevante e comunque acquisita agli atti del giudizi di impugnativa di un licenziamento, il c.d. “aliunde giudizio, la stessa andava esaminata (cfr. tra le altre Cass. lav. n. 18093 del 25/07/2013, secondo cui nei giudizi di impugnativa di un licenziamento, il c.d. “aliunde perceptum” non costituisce oggetto di eccezione in senso stretto ed e’, percio’, rilevabile d’ufficio dal giudice se le relative circostanze di fatto risultino ritualmente acquisite al processo, anche se per iniziativa del lavoratore. Conformi Cass. n. 3345/2000, n. 15065/2001).

Di conseguenza, l’impugnata pronuncia va in parte qua cassata con rinvio ad altra Corte di Appello, che si designa in quella di Ancona, perche’ si pronunci in merito al riguardo.

Per contro, va disatteso il ricorso incidentale relativo alla lamentata riduzione della pretesa risarcitoria, per cui veniva accolto il quinto motivo d’appello, concernente il tempo di oltre quattro anni con cui il (OMISSIS) aveva agito in giudizio. Secondo la Corte distrettuale, non poteva non attribuirsi rilievo, ex articolo 1227 c.c., comma 2, all’Inerzia del lavoratore, il quale aveva atteso circa quattro anni per impugnare in giudizio il recesso intimatogli, dovendosi altresi’ contemperare il principio di effettiva realizzazione dell’interesse del lavoratore a non subire o a ridurre al minimo le conseguenze del licenziamento illegittimo, con il principio secondo cui il risarcimento non e’ dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. Pertanto, la Corte territoriale, ferma restando la reintegrazione nel posto di lavoro, limitava il risarcimento a tute le retribuzioni globali di fatto, maturante dalla data di comunicazione la datore di lavoro della richiesta del tentativo di conciliazione (ossia dall’otto maggio 2007) sino all’effettiva reintegra.

Il ricorso incidentale con un unico motivo ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c., comma 2, per avere la Corte di Appello decurtato il risarcimento del danno, senza considerare la complessita’ dei fatti, l’esistenza di un procedimento penale pendente fra le parti, che induceva a temporeggiare sull’instaurazione di un ulteriore giudizio per ricercare piuttosto una complessiva conciliazione, la necessita’ di approfondire i fatti in contestazione da un punto di vista tecnico tramite due perizie.

Tale doglianza, peraltro formulata poco chiaramente ed in termini alquanto generici, appare inammissibile (perche’ in violazione soprattutto di quanto in materia previsto dall’articolo 366 c.p.c., segnatamente comma 1, nn. 3 e 4), atteso che, d’altro canto, il (OMISSIS) non denuncia la violazione o la falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18 in ordine al mancato integrale indennizzo per l’accordata tutela integrale, dal momento del recesso sino alla reintegra (del resto l’articolo 18, in base al testo in vigore dal 26-5-1990 al 29-2-2008, pur prevedendo che il giudice con la sentenza condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata l’inefficacia o l’invalidita’, stabilendo un’indennita’ commisurata alla retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione e al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali, dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione, riconosce, in ogni caso, la possibilita’ che la misura del risarcimento non sia inferiore a cinque mensilita’ di retribuzione globale di fatto, misura minima che nella specie non risulta essere stata ad ogni modo violata).

Dunque, la sentenza impugnata va soltanto in parte cassata, con rinvio, limitatamente al 4 motivo del ricorso principale, con conseguente conferma per il resto, previa riunione dei due ricorsi ai sensi dell’articolo 335 c.p.c..

Sussistono i presupposti di legge per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato da parte del ricorrente incidentale.

P.Q.M.

la Corte, riuniti i ricorsi, respinto quello incidentale, accoglie il ricorso principale limitatamente al quarto motivo, ed in relazione a tale accoglimento cassa la sentenza impugnata, rinviando alla Corte di Appello di Ancona anche per le spese.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per lo stesso ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.

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