Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 25 maggio 2017, n. 13178

Il rapporto di lavoro del personale assunto dalle fondazioni Irccs, costituite dopo la trasformazione degli Irccs, ha natura privatistica. E in caso di licenziamento illegittimo , intimato dopo l’entrata in vigore della legge 92/2012, è applicabile l’articolo 18.

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 25 maggio 2017, n. 13178

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26141/2013 proposto da:

(OMISSIS), C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

FONDAZIONE (OMISSIS), C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

E SUL RICORSO SUCCESSIVO, senza numero di R.G. proposto da:

FONDAZIONE (OMISSIS) C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente successivo

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente al ricorso successivo –

avverso la sentenza n. 1182/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 17/10/2013 R.G.N. 1172/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 21/12/2016 dal Consigliere Dott. PAOLA GHINOY;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del quarto motivo del ricorso principale e rigetto nel resto assorbimento dell’incidentale.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano con la sentenza n. 1132 del 2013 rigettava il reclamo proposto ai sensi della L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 58, avverso la sentenza del Tribunale che, giudicando sull’impugnativa del licenziamento intimato in data 15/10/2012 a (OMISSIS) dalla Fondazione (OMISSIS) – dalla quale il medico era stato assunto in data 1.2.2005 ed aveva avuto l’incarico di direttore dell’Unita’ operativa di cardiologia UCIC ed emodinamica – aveva dichiarato la risoluzione del rapporto di lavoro e condannato la Fondazione al pagamento di un’indennita’ risarcitoria nella misura di 12 mensilita’, con parziale compensazione delle spese.

La Corte territoriale premetteva che il (OMISSIS) era stato licenziato a seguito di lettera in cui gli si addebitavano reiterate condotte con le quali egli avrebbe ostacolato la realizzazione del progetto della Fondazione di integrazione dell’unita’ operativa di cardiologia e di quella di medicina ad indirizzo cardiovascolare, diretta dal prof. (OMISSIS), in un’unica area omogenea di cardiologia, in violazione delle indicazioni fornite con la determina n. 862 del 5.4.2012. Condivideva la valutazione del primo giudice che, delle nove contestazioni che venivano mosse al dirigente medico, ne aveva ritenute fondate solo due: quella di cui al punto d), con riferimento al fatto di avere convocato una riunione con i soli medici della U.O. di cardiologia, senza alcun accordo con il (OMISSIS) e su temi che avrebbero dovuto essere oggetto di condivisione, e quella di cui al punto h), con riferimento all’avere assunto decisioni e proposte contraddittorie con riferimento alla riattivazione dei turni di reperibilita’ 24 h nell’attivita’ di emodinamica, con pregiudizio per l’attivita’ assistenziale. Riteneva che nel caso gli addebiti, pur configurando un inadempimento contrattuale disciplinarmente rilevante, non fossero idonei a giustificare il recesso in tronco, per il quale sia la contrattazione collettiva che il Testo unico per il pubblico impiego prevedono fattispecie molto piu’ gravi, ma che non rientrassero neppure in alcuno specifico illecito disciplinare per il quale e’ prevista una sanzione conservativa, non potendo essere assimilati a mere inosservanze di direttive aziendali. Ne conseguiva l’applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5, nei termini ritenuti dal Tribunale.

Per la cassazione della sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi, cui ha resistito la fondazione (OMISSIS), che ha proposto altresi’ autonomo ricorso, affidato a due motivi, cui ha resistito il (OMISSIS) con controricorso. Il (OMISSIS) ha depositato anche memoria ex articolo 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso successivo proposto dalla Fondazione dev’essere qualificato come ricorso incidentale e riunito al ricorso principale ex articolo 335 c.p.c.. Viene qui in rilievo il principio secondo il quale l’impugnazione proposta per prima assume caratteri ed effetti d’impugnazione principale e determina la costituzione del procedimento, nel quale debbono confluire, con natura ed effetti di impugnazioni incidentali, le successive impugnazioni proposte contro la medesima sentenza dalle altre parti soccombenti, con la conseguenza che il ricorso per cassazione, validamente ed autonomamente proposto dopo che altro ricorso sia stato gia’ notificato ad iniziativa della controparte, si converte, riunito a questo, in ricorso incidentale, sempreche’ siano stati rispettati i relativi termini (cosi’ Cass. 13/12/2011 n. 26723).

2. Il ricorso principale di (OMISSIS) e’ affidato ai seguenti motivi:

2.1. Con il primo, egli deduce violazione e/o falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, nonche’ omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, circa l’insussistenza giuridica dei fatti, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5.

Il motivo attinge la sentenza della Corte territoriale laddove ha negato la tutela reintegratoria ritenendo sussistenti due degli addebiti contestati. In particolare, con riferimento all’addebito sub d), rileva che delle sei riunioni oggetto della contestazione per le quali il dirigente medico avrebbe convocato i soli medici afferenti all’unita’ operativa di cardiologia, senza averne discusso con il professor (OMISSIS), in realta’ ne era stata ritenuta sussistente una sola, che aveva avuto la durata di meno di mezz’ora, ne’ era stato provato che si fosse deciso alcunche’.

Inoltre, con riferimento all’addebito sub h), la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto che non vi fosse stata contestazione dei fatti da parte del (OMISSIS), mentre tali contestazioni erano state formulate, e la soluzione sarebbe in contraddizione con la documentazione emersa.

Sussisterebbe quindi l’irrilevanza disciplinare dei fatti contestati (e accertati), con la conseguente applicazione dell’articolo 18, comma 4, nel testo modificato dalla L. n. 92 del 2012, applicabile ratione temporis.

2.2. Come secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 4, nel testo novellato dalla L. n. 92 del 2012, e degli articolo 55 ss. del TUPI, nonche’ del codice disciplinare aziendale che li richiama; omessa e/o contraddittoria motivazione relativamente alla ritenuta non applicabilita’ di sanzione conservativa sulla base della previsione dei contratti collettivi, ovvero dei codici disciplinari applicabili, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

2.3. Come terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5, ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Lamenta, in via subordinata, l’inadeguatezza dell’indennita’ risarcitoria riconosciuta, in relazione alla quale non sarebbe stata neppure fornita adeguata motivazione.

2.4. Come quarto motivo, deduce violazione e falsa applicazione dell’articolo 55 bis del TUPI, aggiornato con il Decreto Legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, e dell’articolo 3, comma 3, della determinazione 12 luglio 2010 dell’ente datoriale, che adotta le stesse disposizioni del testo unico ai fini della valutazione di insussistenza disciplinare dei fatti contestati; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione ex articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Lamenta la violazione dei termini per la contestazione dell’addebito previsti dall’articolo 55 bis sopra richiamato, in relazione alla data in cui la Fondazione aveva avuto la prima acquisizione della notizia delle condotte contestate.

3. Il ricorso incidentale della Fondazione (OMISSIS) e’ fondato sui seguenti motivi:

3.1. Con il primo, si deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 2697 c.c., ed agli articoli 115 e 116 c.p.c. – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione per le parti.

Il motivo censura la sentenza della Corte d’appello nella parte in cui ha ritenuto fondati solo due degli addebiti elevati al dottor (OMISSIS).

Sostiene che non risponderebbe al vero che le condotte del medico nel periodo compreso tra il mese di novembre 2011 ed il mese di aprile 2012 – e segnatamente quelle contestate ai punti b) ed e) della lettera del 22/6/2012 – fossero conformi ai poteri e alle attribuzioni che egli aveva a quell’epoca. Ribadisce che la responsabilita’ gestionale doveva essere sin dall’avvio dell’area omogenea condivisa tra i due direttori, diversamente dalla responsabilita’ clinica affidata a ciascuno dei due per il settore di propria competenza. Riporta le risultanze istruttorie che dimostrerebbero i propri assunti.

3.2. Come secondo motivo, deduce violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’articolo 2119 c.c., ed agli articoli 6 e 8 del CCNL del 6/5/2010 per la sequenza contrattuale dell’articolo 28 del C.C.N.L. del personale della dirigenza medica e veterinaria del servizio sanitario nazionale sottoscritto il 17 ottobre 2008.

Il motivo censura la sentenza della Corte d’appello di Milano nella parte in cui ha escluso la sussistenza della giusta causa di recesso. Ribadisce che, considerato il contenuto della determina 862 del 2012, soprattutto nella parte in cui prevedeva che i due direttori fossero corresponsabili dell’area omogenea e concordassero le modalita’ organizzative di dettaglio, tra cui l’individuazione dei referenti, non poteva non ravvisarsi il comportamento scorretto, poco collaborativo e in parte ostruzionistico del dottor (OMISSIS).

4. Prima di procedere all’esame dei motivi come proposti, occorre esaminare l’argomentazione svolta dalla difesa del ricorrente nella memoria ex articolo 378 c.p.c., secondo la quale la natura pubblica della Fondazione (OMISSIS) precluderebbe l’applicazione delle modifiche apportate dalla L. n. 92 del 2012, alla L. n. 300 del 1970, articolo 18, secondo il principio affermato da questa Corte nella sentenza n. 11868 del 2016.

4.1. Il rilievo non e’ fondato.

La datrice di lavoro e’ una Fondazione IRCCS di diritto pubblico, come tale costituita con Decreto Ministeriale 29 dicembre 2004, a seguito di trasformazione dell’Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico ( (OMISSIS)) (OMISSIS), ai sensi del Decreto Legislativo n. 288 del 2003, articolo 2.

L’articolo 11, del suddetto Decreto Legislativo n. 288 prevede al comma 1, che il rapporto di lavoro del personale delle Fondazioni (OMISSIS) ha natura privatistica. La disposizione prosegue aggiungendo che il personale gia’ dipendente alla data di trasformazione degli (OMISSIS) in Fondazioni (OMISSIS) mantiene, ad esaurimento, il rapporto di lavoro di diritto pubblico e puo’ optare per un contratto di diritto privato entro centottanta giorni dal decreto di trasformazione. Al personale che non opta per il rapporto di lavoro privato continua ad applicarsi la disciplina prevista dai Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni; per detto personale nulla e’ innovato sul piano della contrattazione collettiva nazionale di comparto. Per il personale delle Fondazioni che invece opta per il rapporto di lavoro privato e per quello di nuova assunzione si applicano trattamenti economici derivanti da finanziamenti pubblici non superiori a quelli previsti dai contratti pubblici della dirigenza medica e non medica e del comparto sanita’.

La disposizione e’ quindi chiara nel prevedere che al personale assunto dalla Fondazione (OMISSIS) successivamente alla sua istituzione come nel caso di specie, non si applichi in via diretta il Testo Unico del pubblico impiego, mentre le previsioni della contrattazione collettiva della dirigenza pubblica e del comparto sanita’ costituiscono il parametro massimo in relazione al quale puo’ essere stabilito il trattamento economico.

4.2. La natura privatistica del rapporto di lavoro prevista dalla richiamata norma, esclude che si possa applicare il dictum contenuto nell’arresto di questa Corte n. 11868 del 2016, pur a fronte della natura pubblica della Fondazione (OMISSIS) ribadita dall’articolo 2 del citato Decreto Legislativo – ed a prescindere dalla disciplina contrattual-collettiva che sia concretamente applicata al rapporto di lavoro in via convenzionale.

4.3. Occorre peraltro precisare che nel caso in esame non vengono prospettate circostanze fattuali od attinenti alla regolamentazione derivante dalla potesta’ statutaria della Fondazione che consentano di mettere in discussione la previsione generale contenuta nel richiamato disposto normativo. Resta quindi operante nella fattispecie ed ai fini che ne occupa il novellato L. n. 300 del 1970, articolo 18, la cui applicabilita’ non e’ stata sotto altri versi messa in discussione in causa, neppure sul presupposto della posizione dirigenziale del (OMISSIS).

4.4. Deve quindi affermarsi che “il rapporto di lavoro del personale assunto dalle Fondazioni (OMISSIS), costituite a seguito di trasformazione degli (OMISSIS) ai sensi del Decreto Legislativo n. 288 del 2003, articolo 2, ha natura privatistica ed in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all’entrata in vigore della L. 28 giugno 2012, n. 92, e’ applicabile la L. n. 300 del 1970, articolo 18, nel testo modificato dalla suddetta L. n. 92 del 2012, articolo 1, comma 42”.

5. Nel tracciare poi l’ambito del giudizio che in questa sede puo’ essere svolto, occorre ribadire che la disciplina speciale prevista dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 58, concernente il reclamo avverso la sentenza che decide sulla domanda di impugnativa del licenziamento nelle ipotesi regolate dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, va integrata con quella dell’appello nel rito del lavoro. Ne consegue l’applicabilita’, nel giudizio di cassazione, anche dell’articolo 348 ter c.p.c., comma 5, (introdotto dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera a), conv. con modif, nella L. n. 134, dello stesso anno, applicabile, a norma dell’articolo 54, comma 2, del medesimo decreto, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione a far data dal 11 settembre 2012 (come chiarito da Cass. 18/12/2014 n. 26860 e Cass. ord., 09/12/2015 n. 24909), il quale prevede che la disposizione contenuta nel precedente comma quarto – ossia l’esclusione del vizio di motivazione dal catalogo di quelli deducibili ex articolo 360 cod. proc. civ. – si applica, fuori dei casi di cui all’articolo 348 bis, comma 2, lettera a), anche al ricorso per cassazione avverso la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado (cosiddetta “doppia conforme”, v. Cass. 29/10/2014 n. 23021).

Quando la ricostruzione delle emergenze probatorie effettuata dal Tribunale sia stata confermata dalla Corte d’appello, com’e’ nel caso, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilita’ del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 5528 del 10/03/2014), cio’ che nel caso non e’ stato fatto ne’ dal ricorrente principale, ne’ dal ricorrente incidentale.

6. Consegue a quanto detto che il primo motivo del ricorso principale ed il primo del ricorso incidentale sono inammissibili, laddove sollecitano una diversa ricostruzione fattuale delle condotte addebitate, che sia il Tribunale che la Corte d’appello hanno ricostruito in modo univoco ritenendo sorrette da riscontro probatorio (solo) le due condotte riassunte nella narrativa in fatto che precede. Ne’ le circostanze valorizzate attengono comunque a elementi fattuali decisivi che la Corte, nella sua puntuale disamina, non ha tenuto in considerazione.

7. Il primo e secondo motivo del ricorso principale ed il secondo motivo del ricorso incidentale attingono anche il giudizio operato dalla Corte di merito di sussunzione della fattispecie nella previsione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5, novellato sulla base della valutazione della gravita’ delle condotte, da un lato sollecitandosene un’attenuazione, con il risultato di rendere applicabile la tutela reintegratoria, dall’altro un inasprimento, con il risultato di farla rientrare nell’alveo dell’articolo 2119 c.c., e quindi di rendere il licenziamento legittimo.

7.1. Nessuno dei motivi in questione e’ fondato.

Occorre premettere che la questione dell’applicazione delle conseguenze (reintegratorie o risarcitorie) previste dell’articolo 18, novellato puo’ porsi solo in caso di accertata insussistenza di una giusta causa o di un giustificato motivo soggettivo di recesso.

Deve in proposito ribadirsi che la giusta causa di licenziamento, cosi’ come il giustificato motivo, costituiscono una nozione che la legge – allo scopo di un adeguamento delle norme alla realta’ da disciplinare, articolata e mutevole nel tempo – configura con disposizioni (ascrivibili alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineanti un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama. Tali specificazioni del parametro normativo hanno natura di norma giuridica e la loro disapplicazione e’ quindi deducibile in sede di legittimita’ come violazione di legge. L’accertamento della concreta ricorrenza, nel fatto dedotto in giudizio, degli elementi che integrano il parametro normativo e le sue specificazioni e della loro concreta attitudine a costituire giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, e’ quindi sindacabile in cassazione, a condizione che la contestazione non si limiti ad una censura generica e meramente contrappositiva, ma contenga, invece, una specifica denuncia di incoerenza rispetto agli standards, conformi ai valori dell’ordinamento, esistenti nella realta’ sociale (Cass. 23/09/2016 n. 18715, Cass. n. 8367 del 2014, Cass. n. 5095 del 2011).

7.2. Nell’approccio che e’ stato definitivo dalla dottrina “multifattoriale”, secondo il quale la condotta disciplinarmente rilevante dev’essere collocata nel contesto complessivo in cui e’ avvenuta, possono poi emergere una serie di circostanze, soggettive od oggettive, che consentano al giudice di escludere, in concreto e pur a fronte di un fatto astrattamente grave, l’idoneita’ dell’inadempimento a configurare giusta causa o giustificato motivo soggettivo, e quindi determinino una sproporzione tra la condotta cosi’ come effettivamente realizzata ed il licenziamento (Cass. 16/10/2015 n. 21017).

7.3. Con riferimento all’ambito di applicazione delle tutele predisposte dal novellato articolo 18, questa Corte nella sentenza 06/11/2014 n. 23669 ha chiarito che la L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 42, distingue il fatto materiale dalla sua qualificazione in termini di giusta causa o di giustificato motivo soggettivo, riconoscendo la tutela reintegratoria solo in caso di insussistenza del fatto materiale posto a fondamento del licenziamento, ed esulando dalla fattispecie che e’ alla base della reintegrazione ogni valutazione attinente al profilo della proporzionalita’ della sanzione rispetto alla gravita’ del comportamento addebitato (in tal modo anticipando la soluzione che e’ stata poi recepita dal legislatore nel Decreto Legislativo n. 4 marzo 2015, n. 23, articolo 3, comma 2, per il c.d. contratto a tutele crescenti). Tale pronuncia e’ stata ripresa, sviluppandone l’effetto applicativo, da Cass. 13/10/2015 n. 20540, Cass. 20/09/2016 n. 18418 e Cass. 12/5/2016 n. 10019, secondo cui l’insussistenza del fatto contestato comprende anche l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceita’ o rilevanza giuridica, e quindi il fatto sostanzialmente inapprezzabile sotto il profilo disciplinare, oltre che il fatto non imputabile al lavoratore, e da Cass. 13/10/2015 n. 20545, che ha chiarito che ogniqualvolta il fatto contestato presupponga anche un elemento non materiale (come la gravita’ del danno), allora tale elemento diventa anch’esso parte integrante del “fatto materiale”, come tale soggetto ad accertamento, sicche’ anche in tale ipotesi l’eventuale carenza determina la tutela reintegratoria.

7.4. La valutazione di non proporzionalita’ della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra poi nell’articolo 18, comma 4, solo nell’ipotesi in cui lo scollamento tra la gravita’ della condotta realizzata e la sanzione adottata risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che ad essa facciano corrispondere una sanzione conservativa.

7.5. Al di fuori di tale caso, la sproporzione tra la condotta e la sanzione espulsiva rientra nelle “altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, per le quali l’articolo 18, comma 5, prevede la tutela indennitaria c.d. forte.

7.6. La novella del 2012 ha introdotto quindi una graduazione delle ipotesi di illegittimita’ della sanzione espulsiva dettata da motivi disciplinari, facendo corrispondere a quelle di maggiore evidenza la sanzione della reintegrazione e limitando la tutela risarcitoria alla ipotesi del difetto di proporzionalita’ che non risulti dalle previsioni del contratto collettivo. Il giudice deve quindi oggi procedere ad un giudizio piu’ completo ed articolato rispetto al passato, dovendo accertare non solo se sussistano o meno la giusta causa ed il giustificato motivo di recesso, ma, nel caso in cui lo escluda, anche il grado di divergenza della condotta datoriale dal modello legale e contrattuale legittimante.

7.7. Deve quindi conclusivamente affermarsi che “la L. 20 maggio 1970, n. 300, articolo 18, come modificato dalla L. 28 giugno 2012, n. 92, articolo 1, comma 42, riconosce al comma 4, la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonche’ nei casi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore; la non proporzionalita’ della sanzione rispetto al fatto contestato ed accertato rientra nel IV comma quando questa risulti dalle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, che stabiliscano per esso una sanzione conservativa, diversamente verificandosi le “altre ipotesi” di non ricorrenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa per le quali l’articolo 18, comma 5, prevede la tutela indennitaria c.d. forte”.

7.8. Nel caso in esame, la Corte territoriale, con adeguata argomentazione, ha operato la valutazione di gravita’ alla luce degli standards specifici, desunti dalla realta’ aziendale e dalle sue regole, nonche’ dalle nozioni e dai valori generalmente condivisi. Ha infatti esaminato la condotta alla luce del parametro dei doveri del dirigente medico come delineati dalla contrattazione collettiva ed ha argomentato che i comportamenti apparivano ridimensionati rispetto alla contestazione nella loro portata oggettiva, non erano caratterizzati dalla gravita’ che connota le condotte che legittimano il licenziamento secondo le previsioni della contrattazione collettiva applicabile (quali gravi illeciti di natura penale, plurimi atti lesivi della dignita’ della persona, reiterati atti illeciti, aggressivi, denigratori) ed erano stati determinati dalla ristrutturazione aziendale che egli in piu’ occasioni aveva contestato, ritenendola demansionante e dequalificante, sicche’ la sanzione espulsiva risultava non adeguata ed eccessiva. Ha pero’ aggiunto che tali comportamenti, proprio per la loro valenza di consapevole contrasto alle direttive aziendali, assumevano una gravita’ che trascendeva la mera inosservanza delle direttive aziendali, per la quale e’ prevista dalla contrattazione collettiva la sanzione conservativa.

7.9. Correttamente quindi, in applicazione dei principi sopra individuati, ha fatto discendere dalla ritenuta eccessivita’ della sanzione espulsiva l’applicazione della L. n. 300 del 1970, articolo 18, comma 5.

8. Neppure il terzo motivo del ricorso principale e’ fondato.

L’articolo 18, comma 5, nel testo qui in rassegna prevede che l’indennita’ risarcitoria sia contenuta tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilita’ dell’ultima retribuzione globale di fatto, in relazione all’anzianita’ del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni dell’attivita’ economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, facendo onere al giudice di fornire al riguardo una specifica motivazione.

La Corte territoriale ha confermato l’indennita’ risarcitoria nella misura delle dodici mensilita’ liquidate dal Tribunale, ritenendole adeguate “alla natura dei due fatti addebitati ed accertati, alla durata del rapporto di lavoro, alle modalita’ con cui gli stessi erano stati posti in essere, alla considerazione che comunque essi si sviluppavano all’interno di un progetto di riorganizzazione non condiviso e vissuto dal ricorrente come lesivo del proprio ruolo professionale”. In tal modo, non risulta violato l’onere di fornire la specifica motivazione della decisione adottata, considerato che nell’ambito degli elementi indicati il giudice puo’ operare anche un giudizio comparativo e privilegiarne alcuni a scapito degli altri, per adeguare la misura del risarcimento alla concreta situazione posta al suo esame. Ne’ l’esito del corretto procedimento valutativo e’ censurabile in questa sede, dovendosi anche qui applicare il principio, affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte in tema di indennita’ di cui alla L. n. 604 del 1966, articolo 8, e alla L. 4 novembre 2010, n. 183, articolo 32, comma 5, (cfr. Cass. 17/03/2014 n. 6122 e Cass. 31/03/2014 n. 7458) secondo il quale la determinazione tra il minimo e il massimo previsti spetta al giudice di merito ed e’ censurabile in sede di legittimita’ solo nei limiti in cui e’ consentito il sindacato sulla motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5.

9. Il quarto motivo del ricorso principale e’ poi inammissibile, considerato che la Corte territoriale ha argomentato che la procedura di contestazione appariva corretta in quanto i fatti contestati erano venuti a conoscenza della Fondazione nella loro completezza in data 20.6.2012, allorquando la segnalazione era pervenuta all’ufficio per le contestazioni disciplinari. Tale affermazione viene contestata argomentandosi che le condotte erano state poste gia’ anteriormente a conoscenza del responsabile della struttura, ma in proposito, specie con riferimento a quelle che sono risultate provate all’esito del vaglio istruttorio, si formulano affermazioni non supportate da risultanze che siano richiamate e allegate nel rispetto delle prescrizioni desumibili dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

10. Segue coerente il rigetto di entrambi i ricorsi, la compensazione tra le parti delle spese del giudizio in considerazione della soccombenza reciproca e la sussistenza per entrambi i ricorrenti, principale e incidentale, dei presupposti previsti dal primo periodo del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, per il raddoppio del contributo unificato dovuto per i ricorsi stessi.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis

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