Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 2 gennaio 2018, n. 1. Il contratto d’appalto ed il contratto d’opera si differenziano per il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato e’ preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa

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Basti, dunque, ricordare (V. Cass. lav. n. 21028 del 28/09/2006) come l’elemento, che contraddistingue il rapporto di lavoro subordinato rispetto al rapporto di lavoro autonomo, sia essenzialmente l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, con conseguente limitazione della sua autonomia ed inserimento nell’organizzazione aziendale, mentre altri elementi, quali l’assenza di rischio, la continuita’ della prestazione, l’osservanza di un orario e la forma della retribuzione assumono natura meramente sussidiaria e di per se’ non decisiva; sicche’ qualora vi sia una situazione oggettiva di incertezza probatoria, il giudice deve ritenere che l’onere della prova a carico dell’attore non sia stato assolto, e non gia’ propendere per la natura subordinata del rapporto.

Peraltro, al fine del rigetto della domanda fondata sulla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, il giudice del merito, che neghi la ricorrenza degli elementi costitutivi di detto rapporto, non e’ tenuto ad accertare se le prestazioni svolte dall’attore siano ricollegabili ad un contratto d’opera o ad un contratto di appalto, stante l’irrilevanza di una tale indagine al fine indicato. Di conseguenza, anche l’eventuale erroneita’ dei criteri adottati in quell’accertamento non puo’ essere utilmente dedotta come motivo di ricorso per cassazione avverso una tale pronuncia.

Ed invero, in caso di domanda diretta ad accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, qualora la parte che ne deduce l’esistenza non abbia dimostrato la sussistenza del requisito della subordinazione – ossia della soggezione del lavoratore al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del datore di lavoro, che discende dall’emanazione di ordini specifici oltre che dall’esercizio di un’assidua attivita’ di vigilanza e controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa – non occorre, ai fini del rigetto della domanda, che sia provata anche l’esistenza del diverso rapporto dedotto dalla controparte, dovendosi escludere che il mancato accertamento di quest’ultimo equivalga alla dimostrazione dell’esistenza della subordinazione, per la cui configurabilita’ e’ necessaria la prova positiva di specifici elementi che non possono ritenersi sussistenti per effetto della carenza di prova su una diversa tipologia di rapporto (in tal sensi v. pure Cass. lav. n. 2728 del 17/11/2009 – 08/02/2010).

D’altro canto, indipendentemente dal nomen juris utilizzato dalle parti nel caso di specie, con riferimento all’arco temporale per il quale non e’ stata riconosciuta la natura subordinata del rapporto, va per completezza ricordato (cfr. Cass. 2 civ. n. 12519 del 21/05/2010) che il contratto d’appalto ed il contratto d’opera si differenziano per il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato e’ preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa (conforme Cass. n. 7307 del 29/05/2001). Ne deriva che non appaiono fondate, ne’ altrimenti decisive le anzidette doglianze di parte ricorrente, fondate sull’assunto dell’impossibilita’ di ravvisare il contratto di appalto in capo alla stessa (OMISSIS), non essendo ella una imprenditrice, nulla vietando, invece, che le sue prestazioni, durante il periodo luglio 1993 / febbraio – marzo 1998, siano state rese, piu’ precisamente e correttamente, nell’ambito del contratto tipizzato dall’articolo 2222 c.c., ossia da persona che si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.

Dunque, il ricorso va respinto, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese.

P.Q.M.

la Corte RIGETTA il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese, che liquida, a favore di parte controricorrente, in Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali ed in Euro 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre spese gene-ali al 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge.

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