Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 2 gennaio 2018, n. 1. Il contratto d’appalto ed il contratto d’opera si differenziano per il fatto che nel primo l’esecuzione dell’opera commissionata avviene mediante una organizzazione di media o grande impresa cui l’obbligato e’ preposto, mentre nel secondo con il prevalente lavoro di quest’ultimo, pur se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore, secondo il modulo organizzativo della piccola impresa

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La decisione impugnata, infatti, secondo la (OMISSIS), contrastava con quanto statuito dal giudice di primo grado, che aveva inquadrato il rapporto tra le parti in quello di cui alla qualifica A4, avendo l’attrice la disponibilita’ dell’alloggio all’interno del fabbricato, qualifica prevista dal contratto collettivo per i dipendenti da proprietari di fabbricati in data 4 dicembre 2003 per cinque ore alla settimana dal lunedi’ al sabato, anche se il primo giudicante aveva considerato il rapporto dal marzo 1998 al 30 giugno 2004, data questa in cui la ricorrente era stata inquadrata dal condominio con un contratto di pulizia part-time per 13 ore settimanali, ma considerando i pregressi periodi.

Il rapporto di lavoro subordinato era stato sufficiente dimostrato per tutto quanto richiesto dal contratto di appalto del 7 maggio 1994, allegato al fascicolo di parte, che ad un attento esame consentiva di ricondurre tale appalto ad un rapporto di lavoro subordinato di portierato, visto che la pulizia dell’ingresso doveva avvenire giornalmente, che la (OMISSIS) avrebbe dovuto provvedere alla distribuzione della posta nella stessa giornata di arrivo, nonche’ al controllo degli impianti idrici ed elettrici, nonche’ dell’ascensore, comunicando eventuali guasti all’amministratore, che i servizi andavano svolti nelle ore antimeridiane dei giorni non festivi, e che era altresi’ previsto l’uso gratuito della casa.

La Corte di Appello aveva errato nella valutazione delle anzidette prove, giudicando inattendibili le due suddette testi, poiche’ parenti e affini della ricorrente, le cui dichiarazioni pero’ risultavano confermate dallo stesso contratto di appalto in data 7 maggio 94 e dalla certificazione anagrafica, da cui emergeva la residenza della ricorrente nell’alloggio condominiale dal 14 giugno 1994. Sulla riconducibilita’ per tutto il periodo evidenziato ad un rapporto di lavoro subordinato avevano certamente deposto, ad avviso della ricorrente, le risultanze delle altre dichiarazioni testimoniali, unitamente ai prodotti documenti, che dimostravano l’inizio del rapporto all’estate dell’anno 1993.

Per di piu’, la (OMISSIS) non disponeva di alcuna organizzazione imprenditoriale, sia pure in termini minimi, e non sopportava alcun rischio economico, percependo una retribuzione predeterminata, per cui non aveva dovuto affrontare alcuna spesa, poiche’ i materiali di pulizia erano a carico del condominio. Inoltre, l’obbligo di giustificare assenze ed allontanamenti all’amministratore ed ai condomini costituivano un’ulteriore prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato. Per tutto il periodo in contestazione i testi avevano fatto riferimento da un lavoro avente sempre le stesse caratteristiche, sia durante la pendenza dell’appalto, che durante il periodo di lavoro part time.

Nel caso di specie, non trattandosi di un lavoro ripetitivo con prestazioni estremamente elementari, era chiaro che il rapporto di lavoro subordinato poteva manifestarsi anche con forme attenuate di subordinazione, in ogni caso con l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione condominiale e mediante l’espletamento di compiti che esulavano dal normale servizio di pulizia, con l’assoggettamento, inoltre, al potere direttivo dell’amministratore. Era stato, altresi’, provato il rispetto di un orario di lavoro.

Tanto premesso, il ricorso va disatteso in base alle seguenti considerazioni.

Deve in primo luogo, osservarsi come il ricorrente abbia omesso di riportare sufficientemente il contenuto dei documenti (le scritture private relative ai tre rapporti contrattuali in questione, indicati nella precedente narrativa), nonche’ le testimonianze (le cui deposizioni sono state invece richiamate in modo alquanto sintetico), che si assumono erroneamente valutati dai giudici del merito, con conseguente violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 6, la cui inottemperanza e’ sanzionata “a pena di inammissibilita’”.

Inoltre, in questo giudizio di legittimita’ cio’ che viene in rilievo e’ soltanto quanto accertato, valutato e deciso nel merito in sede di gravame, nei limiti di quanto devoluto allo stesso sulla scorta di appositi e specifici motivi. Come gia’ visto in narrativa, circa il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, i giudici dell’appello hanno sufficientemente motivato il proprio convincimento in ordine a fatti di causa mediante argomentato apprezzamento, percio’ incensurabile in sede di legittimita’. Peraltro, va anche evidenziato in proposito come parte ricorrente non abbia nemmeno lamentato, almeno espressamente, un eventuale vizio sussumibile nell’ambito della previsione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in tema di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” (secondo il testo nella specie ratione temporis applicabile, anteriore alla modifica introdotta dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito con L. 7 agosto 2012, n. 134, stante il regime transitorio di cui allo stesso articolo 54 cit., comma 3).

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