cassazione 8

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 19 novembre 2015, n. 23698

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – rel. Presidente

Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10299/2013 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 531/2012 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 27/10/2012 r.g.n. 399/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/10/2015 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE NAPOLETANO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte di Appello Brescia, confermando la sentenza Tribunale di Brescia, accoglieva l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a (OMISSIS) dalla (OMISSIS) S.p.A..

A fondamento del decisimi, e per quello che interessa in questa sede,la Corte di Appello poneva il fondante rilievo secondo il quale, la societa’, a fronte della soppressione,a seguito della riorganizzazione aziendale, del posto di lavoro occupato dal (OMISSIS) non aveva allo stesso offerto il reimpiego nelle mansioni inferiori di responsabile dell’ufficio acquisti ancorche’ resosi vacante in epoca di poco precedente al licenziamento.

Avverso questa sentenza la societa’ in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di quattro censure, illustrate da memoria.

Resiste con controricorso la parte intimata.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la societa’ ricorrente, deducendo violazione e/o falsa applicazione della Legge n. 604 del 1966, articolo 3, e articolo 2013 c.c., sostiene che la Corte ha erroneamente ritenuto illegittimo il licenziamento sulla base dell’errato assunto che l’azienda dovesse fornire la prova dell’assenza di posti aventi ad oggetto mansioni inferiori.

Con la seconda censura la societa’ ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2013, 1375 e 1175 c.c., assume che la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che fosse onere dell’azienda prospettare al lavoratore uno spostamento in mansioni inferiori mentre in realta’ era il lavoratore che avrebbe dovuto offrire la propria disponibilita’.

Con la terza critica la societa’ ricorrente,allegando violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 41 Cost., e Legge n. 183 del 2010, articolo 30, comma 1, rileva che la Corte distrettuale, nel qualifica illegittimo il licenziamento ancorche’ non vi fossero mansioni equivalenti o inferiori da assegnare al lavoratore al momento del suo licenziamento, e’ entrata, erroneamente nel merito delle scelte aziendali effettuate prima del licenziamento.

Con la quarta censura la societa’ ricorrente,asserendo violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 41 Cost., articoli 2103, 1375 e 1175 c.c., critica la sentenza impugnata per aver la Corte territoriale imposto al datore di lavoro scelte imprenditoriali che l’avrebbero obbligata a modificare il proprio assetto organizzativo.

Le censure in quanto strettamente connesse dal punto di vista logico giuridico vanno trattate unitariamente.

Ritiene questa Corte di dar continuita’ giuridica, al principio anche di recente ribadito, secondo il quale la disposizione dell’articolo 2103 c.c., sulla disciplina delle mansioni e sul divieto di declassamento va interpretata alla stregua del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente e quello del lavoratore al mantenimento del posto, con la conseguenza che, nei casi di sopravvenute e legittime scelte imprenditoriali, comportanti, tra l’altro, interventi di ristrutturazione aziendale, l’adibizione del lavoratore a mansioni diverse, ed anche inferiori, a quelle precedentemente svolte senza modifica del livello retributivo, non si pone in contrasto con il dettato del codice civile se essa rappresenti l’unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (per tutte V. Cass. 5 aprile 2007 n. 8596 e Cass. 22 maggio 2014 n. 11395).

Tanto e’ in coerenza con la ratio sottesa a numerosi interventi normativi quali quello riguardante le lavoratrici madri, che durante il periodo di gestazione e sino a sette mesi dopo il parto – se il tipo di attivita’ o le condizioni ambientali sono pregiudizievoli alla loro salute – devono essere spostate ad altre mansioni anche inferiori a quelle abituali, conservando la retribuzione precedente (cfr. Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151, articolo 7, comma 5); quello relativa ai lavoratori divenuti inabili durante il rapporto lavorativo, che possono essere licenziati solo se risulti impossibile adibirli in mansioni disponibili in azienda, anche se non equivalenti, con la conservazione del trattamento della precedente qualifica (cfr. Legge 12 marzo 1999, n. 68, articolo 1, comma 7); quello – in modo ancora piu’ significativo in considerazione di quanto interessa in questa sede – attinente i lavoratori esuberanti, il cui licenziamento puo’ essere evitato proprio attraverso un accordo collettivo che permetta loro di essere adibiti a mansioni anche inferiori alle precedenti ai fini della conservazione nel posto di lavoro (cfr. Decreto Legislativo 23 luglio 1991, n. 223, articolo 4, comma 11), ed infine quello di cui alla recente riformulazione dell’articolo 2013 c.c., Decreto Legislativo 20 febbraio 2015, ex articolo 55, di attuazione del c.d. Jobs Act il cui secondo comma prevede che “In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso puo’ essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore”.

Ne’ ritiene questo Collegio che ai fini di cui trattasi sia necessario un patto di demansionamento ovvero una richiesta del lavoratore in tal senso anteriore o coeva al licenziamento.

Se, infatti, il demansionamento rappresenta l’unica alternativa praticabile in luogo del licenziamento per giustificato motivo oggettivo e’ onere del datore di lavoro, proprio in attuazione dei principi di correttezza e buona fede che governano il rapporto di lavoro, rappresentare al lavoratore la possibilita’ di una assegnazione a mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale.

Ne’ nella specie si pongono problemi di ordine processuale atteso che la Corte del merito accerta che il lavoratore ha indicato l’ufficio acquisti per la possibilita’ del reimpiego in mansioni diverse, anche inferiori e la societa’ sin dal primo atto di costituzione in giudizio ha contestato la fondatezza della pretesa del lavoratore di considerare l’obbligo del reimpiego esteso alla necessita’ della previa prospettazione di un utilizzo in mansioni inferiori.

Residua da affrontare il delicato tema delle scelte organizzative datoriali.

La Corte del merito movendo dal presupposto che la riorganizzazione aziendale predisposta dalla societa’ ricorrente gia’ all’epoca in cui si era reso vacante il posto di responsabile dell’Ufficio acquisti, compatibile con il bagaglio professionale del (OMISSIS), era pervenuta alla determinazione di licenziare quest’ultimo avrebbe dovuto tenere presente, prima di ricoprire tale posto, che a tale posto poteva essere assegnato il (OMISSIS) adottando una soluzione per cosi’ dire transitoria sino al licenziamento.

Tuttavia non ritiene il Collegio che la soluzione adottata dalla Corte del merito possa essere avallata poiche’ il rispetto dei doveri di correttezza e buona fede non puo’ spingersi sino ad imporre al datore di lavoro una scelta organizzativa,quale quella suggerita dalla Corte del merito, ancorche’ transeunte, tale da incidere, sia pure in maniera modesta, come sottolineato dai Giudici di appello, sulle decisioni organizzative del datore di lavoro che appartengono sempre alla sua sfera di liberta’ d’iniziativa economica ex articolo 41 Cost..

In conclusione va accolto il quarto motivo del ricorso e vanno rigettati gli altri con conseguente annullamento della sentenza impugnata.

Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto e decidendosi nel merito va rigetta l’originaria domanda del lavoratore.

Considerato il diverso esito dei giudizi di merito rispetto a quello di legittimita’, nonche’ la complessita’ delle questioni trattate stimasi compensare tra le parti le spese dell’intero processo.

Si da atto della non sussistenza dei presupposti di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso e rigetta gli altri, cassa in relazione al motivo accolto la sentenza impugnata e decidendo nel merito rigetta l’originaria domanda del (OMISSIS). Compensa tra le parti le spese dell’intero processo.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla Legge n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, si dichiara la non sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

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