CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 18 dicembre 2014, n. 26744

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo – rel. Presidente
Dott. BRONZINI Giuseppe – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 5273/2012 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.R.L. P.I. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6269/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 22/12/2011 R.G.N. 1369/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2014 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 22 dicembre 2011 la Corte d’appello di Bari confermava la pronuncia di primo grado, che aveva rigettato la domanda, proposta da (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., diretta alla declaratoria di illegittimita’ del licenziamento, intimatogli da detta societa’ in data 27 gennaio 2005, con ogni conseguenza sul piano reintegratorio e risarcitorio.
La Corte, infatti, dopo avere preliminarmente chiarito che l’appellante (OMISSIS), dal 10 marzo 2001 dipendente dell’ (OMISSIS) con le mansioni di modellista, inquadrato al 6 livello del CCNL di settore, era stato prima sospeso in data 30 dicembre 2004 per motivi disciplinari e poi, in data 27 gennaio 2005, licenziato per avere tenuto una condotta consistita nel “tentativo di sottrarre o ricopiare forma, modelli e disegni”, ha ritenuto pienamente provato l’addebito e legittimo il licenziamento inflittogli per giusta causa.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorre (OMISSIS) con due motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex articolo 378 c.p.c..
Resiste la (OMISSIS) s.r.l. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo d’impugnazione il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, e dell’articolo 69, comma 2, C.C.N.L. applicabile ai dipendenti dell’industria calzaturiera, anche in relazione all’articolo 12 preleggi (articolo 360 c.p.c., n. 3), nonche’ insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5), sostiene che il licenziamento intimatogli sarebbe illegittimo perche’ non preceduto dalla specifica, preventiva contestazione dell’addebito, in violazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, e dell’articolo 69 C.C.N.L. applicabile ai dipendenti dell’industria calzaturiera ed, in considerazione di tale dedotta carenza, sostiene che la sentenza impugnata sarebbe priva di sufficiente motivazione.
Il motivo e’ infondato, avendo la Corte territoriale, sulla base della acquisita documentazione ed adeguatamente motivando, ritenuto “correttamente osservata la procedura Legge n. 300 del 1970, ex articolo 7, con riferimento, in primis, al tasso di specificita’ di quanto contestato al lavoratore”.
Piu’ in dettaglio, ha osservato la Corte che la preventiva e specifica contestazione dell’addebito, Legge 20 maggio 1970, n. 300, ex articolo 7, comma 2, risultava contenuta nel telegramma inviato al lavoratore alle ore 11,25 della mattinata del 30.12.2004, con il quale gli veniva contestata la “grave infrazione… commessa ossia il tentativo di trafugamento di modelli di scarpe in fase di progettazione”, tentativo posto in essere qualche ora prima della medesima mattinata.
Ha poi soggiunto che il licenziamento veniva intimato con la nota del 27.1.2005, spedita mediante la raccomandata del 28.1.2005, certamente oltre i cinque giorni, di cui alla Legge 20 maggio 1970, n. 300, articolo 7, comma 5, e comunque dopo che il lavoratore ricorrente aveva inoltrato le proprie controdeduzioni, con cui aveva negato le accuse addebitategli.
Il Giudice a quo ha tenuto anche a puntualizzare che, a causa dello stato di malattia, in cui versava il (OMISSIS), nel periodo compreso tra il 25.1.2005 ed il 26.2.2005, come da certificazione medica recapitata il 29.1.2005 alla societa’, quest’ultima provvedeva a comunicare al primo la sospensione dell’efficacia del licenziamento, che, cessato lo stato di malattia, veniva confermato mediante il telegramma del 28.2.2005.
Da quanto esposto emerge l’inconsistenza delle doglianze mosse dal ricorrente in ordine alla genericita’ della contestazione, risultando i fatti imputati al lavoratore sufficientemente descritti nella documentazione inviatagli, cosi’ come correttamente ritenuto nella impugnata decisione.
Va in proposito rammentato che, per giurisprudenza consolidata, la previa contestazione dell’addebito, necessaria in funzione di tutte le sanzioni disciplinari, ha lo scopo di consentire al lavoratore l’immediata difesa e deve conseguentemente rivestire il carattere della specificita’, che e’ integrato quando sono fornite le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialita’, il fatto o i fatti nei quali il datore di lavoro abbia ravvisato infrazioni disciplinari o comunque comportamenti in violazione dei doveri di cui agli articoli 2104 e 2105 c.c.. L’accertamento relativo al requisito della specificita’ della contestazione costituisce oggetto di un’indagine di fatto, incensurabile in sede di legittimita’, salva la verifica di logicita’ e congruita’ delle ragioni esposte dal giudice di merito (ex plurimis, Cass. n. 7546/2006); verifica che, nella specie, va risolta, per quanto esposto, nel senso favorevole alla determinazione della Corte.
Con il secondo motivo, il ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione degli articoli 69, 70 e 71 del CCNL, applicabile ai dipendenti dell’industria calzaturiera, anche in relazione agli articoli 1362 e 1363 c.c., deduce che, avendo provveduto a formalizzare le proprie controdeduzioni mediante la nota raccomandata a.r. del 3.1.2005, recapitata alla societa’ il 7.1.2005, in riferimento all’addebito contestatogli con il telegramma del 30.12.2004, la societa’ datrice di lavoro avrebbe dovuto intimare il licenziamento entro e non oltre i sei giorni successivi alla ricezione delle menzionate controdeduzioni, ovvero entro il 13.1.2005, per non incorrere, ai sensi del richiamato articolo 69 del CCNL, nella illegittimita’ ed irritualita’ del licenziamento medesimo, poi intimato in forza della nota raccomandata del 28.2.2005.
La censura alla fornita interpretazione della Corte di merito, ancorche’ corretta in ordine al non condivisibile iter argomentativo adottato dalla stessa, non ha carattere dirimente nel senso auspicato dal ricorrente.
La normativa contrattuale collettiva calzaturiera, rilevante nella fattispecie oggetto di giudizio e di cui e’ stata fatta applicazione, e’ la seguente:
“Art. 69 (Procedura per i provvedimenti disciplinari).
1) Gli obblighi contrattuali e le norme disciplinari previste dal presente contratto o da eventuale regolamento interno, devono essere portati a conoscenza dei lavoratori mediante affissione dei testi in luogo accessibile e/o mediante la distribuzione di copia del contratto stesso, come previsto dall’articolo 3, Parte generale.
2) Per i provvedimenti disciplinari piu’ gravi del richiamo o rimprovero verbale, deve essere effettuata la contestazione scritta al lavoratore con l’indicazione specifica dei fatti costitutivi dell’infrazione.
3) Il provvedimento non potra’ essere emanato, se non trascorsi 5 giorni dalla documentata notificazione della contestazione nel corso dei quali il lavoratore potra’ presentare le sue controdeduzioni.
4) Se il provvedimento non verra’ emanato entro 6 giorni successivi alla presentazione delle controdeduzioni, le stesse si riterranno accolte.
5) La comminazione del provvedimento dovra’ essere motivata e comunicata per iscritto. Il lavoratore potra’ presentare le proprie controdeduzioni anche verbalmente, con l’eventuale assistenza di un membro della Commissione interna o di un Rappresentante sindacale unitario.
6) I provvedimenti disciplinari diversi dal licenziamento potranno essere impugnati dal lavoratore in sede sindacale, secondo le norme contrattuali relative alle vertenze.
7) Non si terra’ conto ad alcun effetto delle sanzioni disciplinari decorsi 24 mesi dalla loro applicazione.
8) In caso di mancanza del lavoratore, che comporti il licenziamento per giusta causa, l’azienda potra’ disporre la sospensione cautelare non disciplinare del lavoratore per il tempo intercorrente tra la contestazione degli addebiti e la comunicazione della decisione aziendale”.
Orbene, la Corte d’appello di Bari ha ritenuto che il richiamato articolo 69 – il cui comma 4, contempla l’avvenuto accoglimento delle controdeduzioni del lavoratore, ove il provvedimento sanzionatorio non venga emanato entro i sei giorni successivi alla loro presentazione- sia applicabile solo ed esclusivamente in riferimento alle sanzioni conservative e non anche a quelle che comportino la risoluzione del rapporto di lavoro, posto che il successivo articolo 71, al comma 1, prevede, a sua volta, che “per i licenziamenti individuali ha applicazione la Legge 15 luglio 1966, n. 604, e successiva modifica integrata da quanto previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori (Legge 20 maggio 1970, n. 300) e l’articolo 2119 c.c.”. In tal senso militerebbero – sempre a parere del Giudice d’appello – i canoni dell’ermeneutica ed, in primo luogo, quello della interpretazione letterale, considerato che, mentre il titolo del piu’ volte citato articolo 69 risulta essere testualmente “Procedura per i provvedimenti disciplinari”, il successivo articolo 70, intitolato “Provvedimenti disciplinari”, regolamenta le sole sanzioni disciplinari conservative, senza disciplinare il licenziamento; questo risulta, invece,regolamentato dal successivo articolo 71, che, ai fini dell’irrogazione della sanzione disciplinare espulsiva, risolutiva del rapporto lavorativo, rimanda espressamente all’osservanza della procedura prevista dalla Legge 15 luglio 1966, n. 604, cosi’ come successivamente modificata ed integrata, senza richiamare affatto la disposizione dell’articolo 69.
Tale ricostruzione non puo’ essere condivisa, poiche’ non tiene conto che l’articolo 69 detta la procedura di irrogazione per l’insieme delle sanzioni disciplinari, senza fornire elementi che autorizzino a ritenere che le parti contraenti abbiano inteso escludere il licenziamento, che ontologicamente rientra nel novero dei provvedimenti disciplinari; anzi, al contrario, facendo, per due volte, espresso riferimento al licenziamento, mostra di includere l’istituto nella sua disciplina.
Il fatto che l’articolo 71 del contratto collettivo rinvii, in quanto applicabile ai licenziamenti, alla Legge 15 luglio 1966, n. 604, all’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori e all’articolo 2119 c.c., ma non all’articolo 69 del CCNL non puo’ essere interpretato nel senso che tale clausola contrattuale non sarebbe applicabile al licenziamento: se cosi’ fosse, non dovrebbe applicarsi neanche l’articolo 7 della legge n. 300 cui non e’ fatto cenno alcuno.
Deve, dunque, ritenersi che l’articolo 71 ha ad oggetto unicamente gli aspetti sostanziali onde ogni riferimento normativo concerne la configurabilita’ del licenziamento mentre ogni aspetto procedurale si trova unicamente nell’articolo 69, che costituisce la “norma di chiusura” dell’esercizio del potere disciplinare.
Tanto chiarito, va rammentato che il giudice di legittimita’, nel caso sia stata denunciata la violazione o falsa applicazione dei contratti collettivi ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dalla Legge n. 40 del 2006, articolo 27, puo’ procedere alla diretta interpretazione del contenuto del contratto collettivo, la cui natura negoziale impone che l’indagine ermeneutica debba essere compiuta secondo i criteri dettati dagli articoli 1362 c.c., e seguenti (ex plurimis, Cass., n. 1582/2008). In virtu’ di questa acquisita prerogativa, osserva la Corte che la disciplina prevista dal menzionato articolo 69, contempla – in una evidente prospettiva secondo cui la brevita’ del termine mal si concilia con la rilevante entita’ o gravita’ dei fatti che giustificano le sanzioni espulsive, la cui applicazione deve essere preceduta in linea di massima, da indagini adeguate e correlate valutazioni (v. Cass. n. 10409/1997) – l’istituto della sospensione cautelare, volto, appunto, a temperare esigenze di celerita’ con quelle di consentire una adeguata conoscenza dei fatti a cui ricollegare una ponderata valutazione degli stessi.
Va, in proposito, ribadito, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che l’intervallo temporale, fra l’intimazione del licenziamento disciplinare e il fatto contestato al lavoratore, assume rilievo in quanto rilevatore di una mancanza di interesse del datore di lavoro all’esercizio della facolta’ di recesso; con la conseguenza che, nonostante il differimento di questo, la ritenuta incompatibilita’ degli addebiti con la prosecuzione del rapporto, puo’ essere desunta da misure cautelari (come la sospensione) adottate in detto intervallo dal datore di lavoro, giacche’ tali misure – specialmente se l’adozione di esse sia prevista dalla disciplina collettiva del rapporto – dimostrano la permanente volonta’ datoriale di irrogare (eventualmente) la sanzione del licenziamento, con la precisazione che il requisito della immediatezza della contestazione deve essere inteso in senso relativo, potendo essere compatibile con un intervallo di tempo piu’ o meno lungo, quando l’accertamento e la valutazione dei fatti richieda uno spazio temporale maggiore ovvero quando la complessita’ della struttura organizzativa dell’impresa possa far ritardare il provvedimento di recesso, restando comunque riservata al Giudice del merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano o meno il ritardo (cosi’, tra le molte, Cass. n. 2580/2009).
Considerati, nel caso di specie, gli intervalli di tempo intercorsi tra il compimento del fatto addebitato, la sospensione cautelare del 30 dicembre 2004, la contestazione dell’addebito e la irrogazione del licenziamento – cosi’ come accertati dal Giudice di merito – e’ del tutto corretta, e pienamente conforme al principio giurisprudenziale ora riportato, la valutazione operata dalla Corte d’appello nell’impugnata sentenza.
Venendo, sotto tale profilo, a perdere di consistenza le censure mosse alla sentenza impugnata, il ricorso va rigettato.
Le questioni interpretative, venutesi a prospettare nel presente giudizio e sopra illustrate, giustificano la compensazione della spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

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