Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 17 settembre 2015, n. 18226

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente

Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere

Dott. PATTI Adriano Piergiovanni – Consigliere

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7512-2009 proposto da:

(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.P.A. c.f. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8913/2006 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 02/04/2008 R.G.N. 6528/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/06/2015 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega orale (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

 

La Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma di rigetto della domanda di (OMISSIS), promotore finanziario, volta ad accertare l’illegittimita’ del recesso della (OMISSIS) dai contratti stipulati l’11/7/2001 e 4/9/2002 con condanna della societa’ al risarcimento del danno e alle indennita’ di fine rapporto.

La Corte territoriale ha, in primo luogo, escluso l’improcedibilita’ dell’appello per assenza dell’appellante alla prima udienza rilevando l’inapplicabilita’ dell’articolo 348 c.p.c..

Nel merito ha rilevato che nel contratto sottoscritto dalle parti era previsto un patto di prova restando irrilevante che nella precedente lettera di intenti fosse escluso il patto di prova.

Ha osservato, altresi’, che i patti aggiuntivi omettevano di richiamare la clausola del patto di prova ma non escludevano espressamente tale clausola; che non vi era alcuna contraddizione tra la previsione del patto di prova e le clausole dei patti aggiuntivi relative ai periodi minimi ai fini del raggiungimento o meno degli obiettivi o con la clausola di non risolvere il contratto per un periodo di 60 mesi.

La Corte d’appello ha poi ritenuto infondate la domanda di annullamento del recesso per dolo nonche’ la tesi secondo cui la disdetta del contratto sarebbe stata assunta oltre il termine di sei mesi dalla conclusione del contratto indicata dal Tribunale al 5/9/02.

Accertata la legittimita’ del recesso in quanto avvenuto nel periodo di prova ha rigettato tutte le domande di risarcimento o di compensi.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso il (OMISSIS) formulando 4 motivi. Ha resistito la (OMISSIS) con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c.. Il Collegio ha autorizzato la motivazione semplificata.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

Con il primo motivo il ricorrente denuncia nullita’ della sentenza in quanto il collegio indicato nella sentenza era diverso da quello dell’udienza di lettura del dispositivo. Il motivo e’ infondato.

Il collegio indicato nella sentenza impugnata e’ parzialmente diverso da quello risultante nel dispositivo letto all’udienza e nel verbale dell’udienza ma tale diversita’, pur sussistente, non determina la nullita’ della sentenza impugnata.

Occorre premettere che, secondo la giurisprudenza consolidata, l’intestazione della sentenza non ha una sua autonoma efficacia probatoria, riproducendo i dati del verbale d’udienza il quale – facendo fede fino a querela di falso dei nomi dei componenti del collegio e della riserva espressa a fine udienza di prendere la decisione in camera di consiglio – determina la presunzione che la sentenza sia stata deliberata da parte degli stessi giudici che avevano partecipato all’udienza collegiale; inoltre, ai sensi dall’articolo 276 c.p.c., tra i compiti del Presidente del collegio vi e’ quello di controllare che i giudici presenti nella camera di consiglio siano quelli risultanti dal verbale dell’udienza di discussione (ex plurimis Cass. Sez. 3, n. 2815 del 10/03/1995, Sez. 3, n. 15879 del 06/07/2010, Sez. 1, n. 22497 del 19/10/2006).

Tale conclusione vale tanto piu’ nel rito del lavoro, in cui l’indicazione del collegio giudicante e’ contenuta anche, in conformita’ con il detto verbale, nel dispositivo letto in udienza, che determina con effetto esterno il contenuto volitivo della decisione e costituisce uno dei momenti del procedimento a formazione progressiva che si conclude con la pubblicazione della sentenza. Nel caso, quindi, deve ritenersi che l’indicazione nell’intestazione della sentenza, del nome di un magistrato diverso da quelli facenti parte del collegio quale risultante dal verbale di udienza costituisce un mero errore materiale. (cfr Cass. n. 16582 del 2014, n. 20463 del 2014, n. 2691 del 2010, n. 8136 del 2011).

Anche nell’interpretazione delle norme processuali, come ribadito anche di recente da Cass. S.U. n. 11021 del 2013, occorre infatti tenere conto dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, sicche’ non si puo’ colpire con la sanzione di nullita’ il vizio che si e’ verificato, che costituisce un mero frutto di dimenticanza, privo di effetti concreti sul processo.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’articolo 348 c.p.c.. Rileva che in assenza dell’appellante la causa era stata decisa nel merito senza applicare l’articolo 348 c.p.c..

Il motivo e’ fondato.

La disciplina dell’inattivita’ delle parti dettata dal codice di procedura civile, con riguardo sia al giudizio di primo grado che a quello di appello, si applica anche alle controversie individuali di lavoro, non ostandovi la specialita’ del rito, ne’ i principi cui esso si ispira. Ne consegue che, ai sensi dell’articolo 348 c.p.c., comma 1, anche in tali controversie, la mancata comparizione dell’appellante all’udienza di cui all’articolo 437 cod. proc. civ. non consente la decisione della causa nel merito, ma impone la fissazione di nuova udienza, da comunicare nei modi previsti, nella quale il ripetersi di tale difetto di comparizione comporta la dichiarazione di improcedibilita’ dell’appello. In tal senso si e’ gia’ espressa piu’ volte questa Corte (cfr Cass n 2816/2015, n 5238/2011, 5643/2009, n 7837/2003, n 12358/2003) e non sussistono ragioni per discostarsi da questo indirizzo consolidato.

Con il terzo motivo il (OMISSIS) denuncia violazione degli articoli 1362 c.c. e segg. in ordine all’interpretazione dei contratti intercorsi tra le parti e con il quarto motivo denuncia violazione degli articoli 1439 e 1427 c.c., vizio di motivazione. Entrambi detti motivi restano assorbiti dall’accoglimento del secondo motivo.

Per le considerazioni che precedono in accoglimento del secondo motivo la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, assorbiti il terzo ed il quarto; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

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