Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 4 gennaio 2018, n. 82. Demansionamento se il dipendente viene spostata in settori che non richiedono la professionalità acquisita in passato

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Inoltre, Cass. 3, civ. n. 1361 del 23/01/2014 ha chiarito che la categoria generale del danno non patrimoniale – che attiene alla lesione di interessi inerenti alla persona non connotati da valore di scambio – presenta natura composita, articolandosi in una serie di aspetti o voci, aventi funzione meramente descrittiva, quali il danno morale, quello biologico e quello esistenziale -costituito dallo sconvolgimento delle abitudini di vita del soggetto danneggiato-dei quali – ove essi ricorrano cumulativamente- occorre tenere conto in sede di liquidazione del danno, in ossequio al principio dell’integralita’ del risarcimento, senza che a cio’ osti il carattere unitario della liquidazione, da ritenere violato solo quando lo stesso aspetto o voce venga computato due o piu’ volte sulla base di diverse, meramente formali, denominazioni.
Dunque, secondo Cass. 3, civ. n. 10527 del 13/05/2011, in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non il “nome” assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore -“biologico”, “morale”, “esistenziale” – ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice. Si ha, pertanto, duplicazione di risarcimento solo quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi.
5. ancora Cass. 3, civ. n. 20292 del 20/11/2012, secondo cui il danno biologico – cioe’ la lesione della salute-, quello morale -ossia la sofferenza interiore- e quello dinamico-relazionale -altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, risarcibile nel caso in cui l’illecito abbia violato diritti fondamentali della persona- costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili; ne’ tale conclusione contrasta col principio di unitarieta’ del danno non patrimoniale, sancito dalla sentenza n. 26972 del 2008 delle Sezioni Unite della stessa Corte, giacche’ quel principio impone una liquidazione unitaria del danno, ma non una considerazione. atomistica dei suoi effetti);
che in tema di ricorso per cassazione una questione di violazione o di falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., non puo’ porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorche’ si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. 6 civ. – L n. 27000 del 27/12/2016. Cfr. parimenti Cass. 3, civ. n. 11892 del 10/06/2016: la violazione dell’articolo 116 c.p.c., – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale- e’ idonea ad integrare il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 4, solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime);
che, dunque, nella specie non si ravvisano gli estremi di legge per ritenere violate le disposizioni di cui ai succitati articoli 115 e 116, laddove poi quanto all’articolo 2697 c.c., tale norma disciplina l’onere della prova e non attiene alle valutazioni di merito, desunte invece dall’acquisito materiale istruttorio;
che e’ di tutta evidenza come, tanto con riguardo alle sopra indicate violazioni di legge quanto con riguardo al preteso malgoverno delle risultanze istruttorie, pur sotto un’intitolazione evocativa dei casi di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, parte ricorrente non abbia rappresentato altro che mere questioni di merito, il cui esame e’ per definizione escluso in questa sede di legittimita’;
che ogni altra censura risulta prospettata dalla ricorrente pure in difformita’ da quanto previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione risultante dalle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, come riferita ad “un fatto controverso e decisivo per il giudizio”) ossia con riferimento ad un preciso accadimento o a una precisa circostanza in senso storico naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilita’ delle censure cosi’ irritualmente formulate;
che non sono pertanto sindacabili le motivazioni in base alle quali la Corte di merito ha giudicato in buona parte fondate le pretese creditorie azionate dalla lavoratrice nei confronti della convenuta parte datoriale (cfr. del resto Cass. I civ. n. 14267 del 20/06/2006 ed altre di segno analogo, secondo cui in tema di valutazione delle risultanze probatorie in base al principio del libero convincimento del giudice, la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c., e’ apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita’);

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