Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 4 gennaio 2018, n. 82. Demansionamento se il dipendente viene spostata in settori che non richiedono la professionalità acquisita in passato

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Per contro, a giudizio della Corte distrettuale, emergeva con sufficiente chiarezza che la qualita’ professionale delle mansioni svolte presso l’ufficio acquisti, prima e dopo il settembre 2000, era piu’ elevata rispetto a quella attribuita presso il cali center di Ivrea. La stessa societa’ aveva finito per ammettere che in relazione ad acquisti di beni necessari e non predeterminati la lavoratrice “poteva svolgere una minima attivita’ di negoziazione con i fornitori, relativamente al prezzo in termini di pagamento”. Anche l’attivita’ di contatto con fornitori, cosi’ come pure sinteticamente descritta nella comparsa di parte resistente, non poteva non implicare una certa quota di discrezionalita’ e di autonomia e comunque la spendita di un consistente livello di professionalita’. Invece, presso il cali center di Ivrea la ricorrente, secondo la narrativa della stessa azienda, si limitava ad attivita’ rivolte ai clienti corporate in ordine alle abilitazioni telefoniche tramite standardizzate procedure amministrative e tecnico informatiche, ossia secondo la Corte territoriale, inserendo unicamente dati su foglio elettronico, occupandosi altresi’ di errata compilazione della modulistica e di informazioni procedurali, questioni prive di particolari connotati di complessita’. Inoltre, correttamente il primo giudicante aveva rapportato le mansioni anzidette alle declaratorie contrattuali, rilevando che al momento dell’assunzione alla lavoratrice era stato assegnato il 60 livello ex C.C.N.L. metalmeccanici industria, con mansioni riconducibili al profilo professionale di approvvigionatore, e che a far data dal marzo 2003 le era stato applicato l’equivalente 60 livello per gli esercenti servizi di telecomunicazione, mentre le mansioni assegnate dal settembre 2000 erano riconducibili al 40 livello del contratto collettivo telecomunicazioni. Contrariamente a quanto opinato al riguardo da parte convenuta, circa il riconoscimento di qualifica convenzionale, cioe’ superiore alle mansioni dedotte in contratto, la Corte distrettuale osservava altresi’ che il contratto di assunzione con (OMISSIS) aveva assegnato alla (OMISSIS) il 60 livello di inquadramento senza far cenno alcuno agli elementi addotti da (OMISSIS). Per di piu’, la documentazione prodotta dalla lavoratrice evidenziava che nelle pregresse esperienze lavorative ella aveva gia’ raggiunto una consistente quota di professionalita’, dal momento che dapprima le era stata assegnata la responsabilita’ del coordinamento di un gruppo di segretarie e successivamente era divenuta la segretaria senior del direttore generale strategie di sviluppo. Inoltre, contrariamente alle deduzioni della societa’ appellata, la consistente mole documentale prodotta dall’attrice rivelava che fin dall’anno 2002 la stessa aveva chiesto incontri con i vertici aziendali, manifestando la sua insoddisfazione per la sua collocazione lavorativa, insistendo per la ricerca di mansioni alternative, tentativi ripetuti nel corso degli anni, ma spesso elusi dai vertici aziendali, sfociati in una serrata corrispondenza negli ultimi mesi dell’anno 2007 prima della cessione del ramo di azienda.
D’altro canto, a nulla rilevava il part-time nel caso di specie, che secondo la Corte torinese non aveva determinato lo spostamento della lavoratrice, risalente al settembre 2000, mentre la trasformazione in part-time del rapporto risaliva al luglio del 1995. Peraltro, contemporaneamente al trasferimento in questione, un’altra lavoratrice operante presso l’ufficio acquisti aveva chiesto ed ottenuto il part-time e con tale regime di orario aveva continuato ad operare presso lo stesso ufficio per due anni;
che l’appello, relativo al mancato riconoscimento del danno alla professionalita’, da perdita di chance e all’immagine, risultava fondato avuto riguardo alle tipologie di pregiudizio individuate con l’atto introduttivo, ascrivibili al danno non patrimoniale quale delineato dalla sentenza n. 6572/2006 delle Sezioni Unite di questa Corte, visto che il primo giudicante -pur facendo riferimento al principio affermato dalle Sezioni Unite, condiviso altresi’ dalla Corte distrettuale, circa l’onere posto a carico del lavoratore in ordine alla prova del danno derivato dalla patita dequalificazione professionale- non aveva pero’ adeguatamente considerato i consistenti elementi presuntivi, che inducevano a ritenere tale onere nella specie assolto, tenuto conto della durata della dequalificazione, peraltro contestata dalla diretta interessata nel corso degli anni, laddove da parte datoriale era stata adottata la tecnica del temporeggiamento e del rinvio, fino alla cessione del ramo di azienda di novembre 2007, nella quale era stata coinvolta la stessa appellante, tanto piu’ poi che presso la cessionaria la (OMISSIS) aveva continuato a svolgere le stesse mansioni di operatrice di cali center, sicche’ era del tutto evidente che la pregiudizievole condizione lavorativa protrattasi per sette anni aveva comportato effetti negativi anche sul prosieguo della carriera lavorativa, successiva alla cessazione del rapporto con (OMISSIS);
che anche sotto il profilo del pregiudizio di carattere esistenziale e all’immagine, a giudizio della Corte piemontese, le risultanze di causa offrivano indici significativi (sebbene l’attrice non avesse insistito in appello sulla sussistenza di un vero e proprio stato patologico, asseritamente derivato dalla denunciata dequalificazione, tuttavia sotto il profilo del disagio esistenziale lavorativo appariva rilevante un passo della deposizione testimoniale resa da (OMISSIS), che operava presso la direzione delle risorse umane di (OMISSIS), la quale aveva testualmente dichiarato: “La ricorrente quando mi incontrava mi rappresentava sempre il suo malcontento sulle funzioni che svolgeva nel cali center; non ho visto di persona particolari situazioni, era lei che mi raccontava di non stare bene”. Sulla scorta di tali dichiarazioni, ad avviso della Corte di Appello, doveva quindi ulteriormente ritenersi che la parabola lavorativa dell’appellante ed il disagio derivatone fossero ben noti ed evidenti nell’ambiente lavorativo. In definitiva, sulla base di tutte le argomentazioni esposte, doveva ritenersi che con meccanismo presuntivo potesse ritenersi la sussistenza del danno non patrimoniale, con particolare riferimento al pregiudizio esistenziale e all’immagine. Applicando i principi equitativi, si riteneva di determinare il risarcimento nella misura di Euro 40.000 oltre accessori dalla sentenza);
che avverso l’anzidetta pronuncia (OMISSIS) N.V. ha proposto ricorso per cassazione con TRE motivi, mediante atto di cui e’ stata chiesta la notifica il 26 aprile 2012, cui ha resistito (OMISSIS) mediante controricorso in data 10 – 4 giugno 2012, poi illustrato da memoria depositata in vista dell’adunanza in camera di consiglio fissata al 18 luglio 2017, per la quale, d’altro canto, risultano comunicati regolari e tempestivi avvisi;
CONSIDERATO IN DIRITTO

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