Corte di Cassazione, sezione lavoro, ordinanza 14 novembre 2017, n. 26867. Non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento la condotta del lavoratore che denunci all’autorità giudiziaria fatti di reato o illeciti amministrativi

[….segue pagina antecedente]

2. con il secondo motivo, formulato ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, si censura la sentenza impugnata per violazione degli articoli 2106 e 2119 c.c.; evidenzia il ricorrente che la Corte territoriale avrebbe dovuto valutare che dalla denuncia nessun pregiudizio era stato arrecato alla attivita’ aziendale e che la sanzione espulsiva era del tutto sproporzionata rispetto agli addebiti contestati;
3. deve innanzitutto ritenersi infondata l’eccezione di inammissibilita’ del ricorso sollevata dalla difesa della (OMISSIS) s.p.a., che ha invocato il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54 convertito con modificazioni nella L. 7 agosto 2012, n. 134, nella parte in cui esclude che possa essere denunciato in Cassazione il vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5 per le sentenze di appello che abbiano confermato la decisione di primo grado; la disposizione non e’ applicabile alla fattispecie in quanto viene qui in rilievo, in relazione ad entrambi i motivi di ricorso, l’ipotesi prevista dall’articolo 360 c.p.c., n. 3;
4. va quindi considerato che le censure – ammissibili per quanto sinora detto, ed il cui esame congiunto e’ consentito dalla connessione che le connota – sono fondate nei termini di seguito esposti;
il collegio intende dare continuita’ all’indirizzo espresso da questa Corte in fattispecie sovrapponibile a quella oggetto di scrutinio nella presente sede, non sussistendo motivi per discostarsene (vedi da ultimo Cass. 16/2/2017 n. 4125);
in estrema sintesi e’ stato argomentato che la fattispecie in esame presuppone che venga accertato se possa assumere rilievo disciplinare, ed eventualmente a quali condizioni e in quali limiti, la condotta del lavoratore che denunci all’autorita’ giudiziaria o all’autorita’ amministrativa fatti commessi dal datore, in violazione delle norme penali o delle disposizioni che, nel disciplinare il rapporto di lavoro, impongono regole di comportamento soggette a sanzione;
5. e’ stato, quindi, al riguardo escluso che la denuncia di fatti di potenziale rilievo penale accaduti nell’azienda possa integrare giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento, a condizione che non emerga il carattere calunnioso della denuncia medesima, che richiede la consapevolezza da parte del lavoratore della non veridicita’ di quanto denunciato e, quindi, la volonta’ di accusare il datore di lavoro di fatti mai accaduti o dallo stesso non commessi (in tal senso vedi Cass. 14/3/2013 n. 6501, Cass. 8/7/2015 n. 14249, Cass. 17/1/2017 n.996);
6. si e’ ritenuto che l’obbligo di fedelta’ di cui all’articolo 2105 c.c., cosi’ come interpretato da questa Corte in correlazione con i canoni generali di correttezza e buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c. (fra le piu’ recenti vedi Cass. 9/1/2015 n.144), non possa essere esteso sino a imporre al lavoratore di astenersi dalla denuncia di fatti illeciti che egli ritenga essere stati consumati all’interno dell’azienda, giacche’ in tal caso “si correrebbe il rischio di scivolare verso – non voluti, ma impliciti – riconoscimenti di una sorta di “dovere di omerta’” (ben diverso da quello di fedelta’ di cui all’articolo 2105 c.c.) che, ovviamente, non puo’ trovare la benche’ minima cittadinanza nel nostro ordinamento” (Cass. cit. n. 6501/2013);
la presenza e la valorizzazione di interessi pubblici superiori nel nostro ordinamento porta ad escludere che nell’ambito del rapporto di lavoro la sola denuncia all’autorita’ giudiziaria di fatti astrattamente integranti ipotesi di reato, possa essere fonte di responsabilita’ disciplinare e giustificare il licenziamento per giusta causa, fatta eccezione per l’ipotesi in cui l’iniziativa sia stata strumentalmente presa nella consapevolezza della insussistenza del fatto o della assenza di responsabilita’ del datore;
perche’ possa sorgere la responsabilita’ disciplinare non basta, quindi, che la denuncia si riveli infondata e il procedimento penale venga definito con la archiviazione della notizia criminis o con la sentenza di assoluzione, trattandosi di circostanze non sufficienti a dimostrare il carattere calunnioso della denuncia stessa;
7. la sentenza impugnata – che ha ritenuto violati gli obblighi di fedelta’ e diligenza, principalmente per il fatto che le accuse “oltre a configurare qualcosa di piu’ di quanto era fino ad allora emerso dai dibattiti politici e sindacali” senza che cio’ corrispondesse a verita’, non fossero state adeguatamente ponderate prima della presentazione delle denunce – va, pertanto, cassata con rinvio alla Corte di Appello designata in dispositivo la quale, statuendo anche in ordine alle spese del presente giudizio, procedera’ ad un nuovo scrutinio della fattispecie attenendosi al principio di diritto secondo cui non integra giusta causa o giustificato motivo soggettivo di licenziamento la condotta del lavoratore che denunci all’autorita’ giudiziaria o all’autorita’ amministrativa competente fatti di reato o illeciti amministrativi commessi dal datore di lavoro, a meno che non risulti il carattere calunnioso della denuncia o la consapevolezza della insussistenza dell’illecito, e sempre che il lavoratore si sia astenuto da iniziative volte a dare pubblicita’ a quanto portato a conoscenza delle autorita’ competenti.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *