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Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 25 febbraio 2015, n. 8352

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. RAMACCI Luca – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/03/2014 della Corte di appello di Lecce;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Aceto;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. La sig.ra (OMISSIS) ricorre per la cassazione della sentenza del 05/03/2014 con la quale la Corte d’appello di Lecce ha confermato la condanna alla pena di quattro mesi di reclusione inflitta il 20/02/2013 dal Tribunale di Brindisi che l’aveva riconosciuta responsabile del delitto di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 10 ter, perche’, quale legale rappresentante della ” (OMISSIS) S.r.l.”, aveva omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale presentata per l’anno di imposta 2005, per l’importo di euro 874.514,81.
1.1. Con il primo eccepisce erronea applicazione della norma di legge incriminatrice, ritenuta inapplicabile perche’ relativa a periodo di imposta antecedente la sua entrata in vigore.
1.2. Con il secondo lamenta la mancata assunzione di una prova decisiva al fine di provare la crisi di impresa che non le aveva consentito di far fronte al pagamento del dovuto.
1.3. Con il terzo motivo eccepisce mancanza, contraddittorieta’ o comunque manifesta illogicita’ della motivazione in ordine alla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.
2. I temi articolati con gli originari motivi di ricorso sono stati ulteriormente articolati (soprattutto il secondo ed il terzo), con note difensive tempestivamente depositate il 9 giugno 2014.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso e’ infondato.
4. Occorre premettere che la ricorrente non contesta la sussistenza materiale del fatto a fondamento del quale i giudici di merito hanno riconosciuto la sua responsabilita’.
Altri, infatti, sono i profili di doglianza.
4.1. Quanto al primo, il Collegio condivide il principio reso da questa Suprema Corte con la nota sentenza Sez. U., n. 37424 del 28/03/2013, Romano, Rv. 255758, secondo la quale “il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, e’ applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che cio’ comporti violazione del principio di irretroattivita’ della norma penale”.
4.2.La sentenza e’ stata richiamata ed utilizzata anche dalla Corte territoriale per superare le censure mosse avverso la sentenza di primo grado con l’atto di appello che, espressamente ponendo la questione dell’applicabilita’ della norma incriminatrice de qua anche all’anno di imposta 2005, non aveva pero’ potuto tener conto del contenuto della citata sentenza di questa Suprema Corte perche’ depositata il 12/09/2013.
4.3. In questa sede, tuttavia, il ricorrente introduce il tema della conoscibilita’ ex ante del precetto penale che, afferma, deve essere noto sin dal momento della condotta (che egli identifica nel momento del mancato accantonamento delle somme percepite a titolo di imposta sul valore aggiunto), ben sapendo che da essa possono derivare conseguenze penali, non solo amministrative.
4.4.Eccepisce, quindi, la violazione dell’articolo 7, Convenzione E.D.U., articoli 25 e 27 Cost., con la conseguente necessita’ di una interpretazione costituzionalmente adeguata della norma incriminatrice o, in alternativa, di sollevare la questione di legittimita’ costituzionale della norma stessa.
4.5. L’eccezione e’ palesemente infondata.
4.6. Essa presuppone implicitamente l’attrazione nella condotta penalmente rilevante anche degli omessi versamenti periodici, comunque dovuti nel termine di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 1988, n. 100, articolo 1, amministrativamente ed autonomamente sanzionati a norma del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 13.
4.7. Si tratta di impostazione dogmaticamente errata perche’, sul piano della condotta, gli omessi versamenti periodici non appartengono alla fattispecie incriminata (che resta istantanea ed unisussistente) e non ne costituiscono altrettante frazioni anticipate, ne’ hanno rilevanza ai fini del dolo che, avuto riguardo anche a quanto di qui ad un momento si dira’, e’ integrato dalla volonta’ dell’omesso versamento che deve sussistere al momento della scadenza del termine c.d. lungo, non in momenti ad esso antecedenti.
5. Gli ultimi due motivi di ricorso, poiche’ intrinsecamente connessi, devono essere esaminati congiuntamente.
5.1. Il giudice di prime cure aveva affermato che la dedotta crisi di liquidita’ dell’impresa non aveva sicuri agganci probatori e che in ogni caso essa non integrava la forza maggiore che, secondo la tesi difensiva, avrebbe incolpevolmente impedito il versamento dell’IVA.
5.2. La decisione del Tribunale si fondava su una precisa ricostruzione fattuale che traeva a sua volta alimento dall’esame delle lettere raccomandate con cui l’imputata aveva sollecitato il pagamento di fatture per prestazioni rese nell’anno 2005 rimaste insolute.
5.3. Il Giudice di prime cure ne aveva tratto le seguenti conclusioni: a) l’importo totale delle fatture asseritamente non pagate ammontava ad euro 220.762,09, a fronte del piu’ ampio ammontare dell’IVA non versata pari ad euro 874.514,81; b) l’invio delle raccomandate non provava la mancata riscossione dei crediti ne’ che la societa’ avesse agito per il recupero delle somme dovute, come invece risultava avesse fatto per il mancato pagamento delle fatture emesse nel 2007.
5.4. La richiesta parziale di rinnovazione del dibattimento (volta a introdurre nel processo la prova della rateizzazione degli obblighi tributari e ad acquisire il libro dei lavoratori degli anni 2005, 2006, 2007, nonche’ l’estratto conto del c/c aziendale del 2006) e’ stata correttamente disattesa dalla Corte territoriale sul rilievo che comunque l’integrazione probatoria era volta soltanto a dimostrare la condizione di illiquidita’ dell’impresa, non anche che l’imputato avesse intrapreso per tempo ogni iniziativa volta a recuperare il credito o comunque a ricorrere al prestito bancario o ad altre forme di finanziamento per poter versare la somma dovuta.
5.5. La ricorrente censura la decisione e deduce, al riguardo, che la rinnovazione parziale del dibattimento era intesa proprio a dimostrare l’assenza di consapevolezza dell’esistenza della sanzione penale unitamente allo stato di crisi in cui versava l’azienda al momento della condotta che le avevano reso impossibile l’adempimento fiscale pena il licenziamento delle maestranze, il fermo della produzione e la chiusura dell’azienda.
5.6. Osserva il Collegio come la tesi difensiva si discosti non poco dai precisi limiti nei quali il giudice di primo grado aveva inquadrato la questione. La difesa dell’imputata e’ andata infatti progressivamente allargandosi fino a ricomprendervi temi generali ed astratti, del tutto avulsi da quelli specificamente affrontati in primo grado dal Giudice che si era limitato a evidenziare lo scollamento tra la tesi difensiva e le prove idonee a dimostrarla. Tanto piu’ se si considera che e’ rimasto totalmente fuori dal thema probandum la differenza di importi tra le fatture in sofferenza e l’IVA da versare.
5.7. In ogni caso, la tesi della ricorrente e’ infondata, sia perche’ volta a introdurre argomenti di prova (l’inconsapevolezza della esistenza della sanzione penale) irrilevanti alla luce delle considerazioni sopra svolte, sia perche’ insuscettibili di escludere, di per se’, la forza maggiore provocata dalla dedotta crisi di liquidita’ dell’impresa.
5.8. Sviluppando e riprendendo questo tema, accennato nella citata sentenza delle Sezioni Unite, questa Corte ha ulteriormente precisato che e’ necessario che siano assolti, sul punto, precisi oneri di allegazione che devono investire non solo l’aspetto della non imputabilita’ al contribuente della crisi economica che improvvisamente avrebbe investito l’azienda, ma anche la circostanza che detta crisi non potesse essere adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
5.9. Occorre cioe’ la prova che non sia stato altrimenti possibile per il contribuente reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un’improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e ad egli non imputabili (Sez. 3, 9 ottobre 2013, n. 5905/2014; Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n. 5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055).
5.10. Nel caso di specie, come visto, le allegazioni della ricorrente sono sempre state generiche ed evasive rispetto alle specifiche argomentazioni sviluppate nella sentenza di primo grado, essendo volte piuttosto a spostare il tema dell’indagine dal piano concreto in cui il giudice di primo grado le aveva collocate ad uno piu’ astratto e generico.
5.11. Occorre in ogni caso sgombrare il campo da un equivoco di fondo che alimenta la tesi difensiva e rischia di alterare la corretta impostazione dogmatica del problema: per la sussistenza del reato in questione non e’ richiesto il fine di evasione, tantomeno l’intima adesione del soggetto alla volonta’ di violare il precetto.
5.12. Quando il legislatore ha voluto attribuire all’elemento soggettivo del reato il compito di concorrere a tipizzare la condotta e/o quello di individuare il bene/valore/interesse con essa leso o messo in pericolo, lo ha fatto in modo espresso, escludendo, per esempio, dall’area della penale rilevanza le condotte solo eventualmente (e dunque non intenzionalmente) volte a cagionare l’evento (articolo 323 c.p., articoli 2621, 2622 e 2634 c.c., Decreto Legislativo 27 gennaio 2010, n. 39. articolo 27, comma 1), incriminando, invece, quelle ispirate da un’intenzione che va oltre la condotta tipizzata (i reati a dolo specifico), attribuendo rilevanza allo scopo immediatamente soddisfatto con la condotta incriminata (per es., articolo 424 c.p.), assegnando al momento finalistico della condotta stessa il compito di individuare il bene offeso (articoli 393 e 629 c.p., articoli 416, 270, 270 bis e 305 c.p., articolo 289 bis, 630 e 605 c.p.).
5.13.11 dolo del reato in questione e’ integrato dalla condotta omissiva posta in essere nella consapevolezza della sua illiceita’, non richiedendo la norma, quale ulteriore requisito, un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato.
5.14. Gli argomenti utilizzati dalla ricorrente a sostegno della fondatezza della oggettiva impossibilita’ di adempiere appaiono, alla luce della considerazioni che precedono, frutto di un’operazione dogmaticamente errata che tende ad attrarre nell’orbita del dolo generico requisiti che, per definizione, non gli appartengono e che si collocano piuttosto nell’ambito dei motivi a delinquere o che ne misurano l’intensita’ (articolo 133 c.p.).
5.15. La scelta di non pagare prova il dolo; i motivi della scelta non lo escludono.
5.16. L’oggettiva impossibilita’ di adempiere puo’ avere rilevanza solo se dovuta a causa di forza maggiore che, come noto, esclude la suitas della condotta.
5.17. Secondo l’impostazione tradizionale, e’ la “vis cui resisti non potest”, a causa della quale l’uomo “non agit sed agitur” (Sez. 1, n. 900 del 26/10/1965, Sacca, Rv. 100042; Sez. 2, n. 3205 del 20/1271972, Pilla, Rv. 123904; Sez. 4, n. 8826 del 21/0471980, Ruggieri, Rv. 145855).
5.18. Per questa ragione, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell’evento, mai quale causa concorrente di esso (Sez. 4, n. 1492 del 23/11/1982, Chessa, Rv. 157495; Sez. 4, n. 1966 del 06/12/1966, Incerti, Rv. 104018; Sez. 4 n. 2138 del 05/12/1980, Biagini, Rv. 148018); essa sussiste solo e in tutti quei casi in cui la realizzazione dell’evento stesso o la consumazione della condotta antigiuridica e’ dovuta all’assoluta ed incolpevole impossibilita’ dell’agente di uniformarsi al comando, mai quando egli si trovi gia’ in condizioni di illegittimita’ (Sez 4, n. 8089 del 13/0571982, Galasso, Rv. 155131; Sez. 5, n. 5313 del 26/03/1979, Geiser, Rv. 142213; Sez. 4, n. 1621 del 19/01/1981, Sodano, Rv. 147858; Sez. 4 n. 284 del 18/02/1964, Acchiardi, Rv. 099191).
5.19. Poiche’ la forza maggiore postula la individuazione di un fatto imponderabile, imprevisto ed imprevedibile, che esula del tutto dalla condotta dell’agente, si’ da rendere ineluttabile il verificarsi dell’evento, non potendo ricollegarsi in alcun modo ad un’azione od omissione cosciente e volontaria dell’agente, questa Suprema Corte ha sempre escluso, quando la specifica questione e’ stata posta, che le difficolta’ economiche in cui versa il soggetto agente possano integrare la forza maggiore penalmente rilevante. (Sez. 3, n. 4529 del 04/12/2007, Cairone, Rv. 238986; Sez. 1, n. 18402 del 05/04/2013, Giro, Rv. 255880; Sez 3, n. 24410 del 05/04/2011, Bolognini, Rv. 250805; Sez. 3, n. 9041 del 18/09/1997, Chiappa, Rv. 209232; Sez. 3, n. 643 del 22/10/1984, Bottura, Rv. 167495; Sez. 3, n. 7779 del 07/05/1984, Anderi, Rv. 165822).
5.20.Costituisce corollario di queste affermazioni il fatto che nei reati omissivi integra la causa di forza maggiore l’assoluta impossibilita’, non la semplice difficolta’ di porre in essere il comportamento omesso (Sez. 6, n. 10116 del 23/03/1990, Iannone, Rv. 184856).
5.21. Ne consegue che: a) il margine di scelta esclude sempre la forza maggiore perche’ non esclude la suitas della condotta; b) la mancanza di provvista necessaria all’adempimento dell’obbligazione tributaria penalmente rilevante non puo’ pertanto essere addotta a sostegno della forza maggiore quando sia comunque il frutto di una scelta/politica imprenditoriale volta a fronteggiare una crisi di liquidita’; c) non si puo’ invocare la forza maggiore quando l’inadempimento penalmente sanzionato sia stato con-causato dal mancato pagamento alla singole scadenze mensili e dunque da una situazione di illegittimita’; d) l’inadempimento tributario penalmente rilevante puo’ essere attribuito a forza maggiore solo quando derivi da fatti non imputabili all’imprenditore che non ha potuto tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volonta’ e che sfuggono al suo dominio finalistico.
5.22. Le considerazioni che precedono si saldano a quelle gia’ esposte in relazione al primo motivo di ricorso.
5.23. La ricorrente, infatti, rivendica con chiarezza di aver optato per il mancato versamento periodico dell’IVA in base ad una scelta imprenditoriale che gli appartiene, ammettendo, cosi’, la suitas della condotta e di versare in una delle condizioni che la giurisprudenza di questa Corte ha sempre ritenuto inidonea a integrare la causa di forza maggiore.
5.24.La politica della sistematica perpetrazione dell’illecito amministrativo-tributario, quale strumento di gestione della crisi di liquidita’, non puo’ giustificare la forza maggiore che s’invoca al momento della scadenza del termine c.d. lungo, come se tale forza maggiore non affondasse le sue radici in una situazione di persistente illegittimita’ voluta dal contribuente.
5.25. Nel caso in esame, come visto, la ricorrente ha sempre eluso la questione principale posta dal primo giudice a fondamento della propria decisione maturata proprio in risposta alle allegazioni difensive: la prova, cioe’, del tempestivo, ancorche’ infruttuoso, esercizio dei crediti, della contestuale inesistenza di altre legittime fonti di finanziamento o comunque di iniziative volte a reperire fondi per fronteggiare la crisi di liquidita’ (tanto piu’ alla luce del notevole scostamento tra l’ammontare dei crediti rimasti insoluti e l’ammontare del debito tributario).
5.26. Tutto cio’ rende improponibile ogni paragone con la diversa situazione oggetto della sentenza di questa sezione, n. 20777 del 06/03/2014, citata dalla ricorrente a sostegno della propria tesi.
5.27. Il ricorso deve conclusivamente essere respinto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

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