Cassazione 15

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 24 marzo 2016, n. 5889

Ritenuto in fatto

La Cassa di risparmio di Bologna (d’ora in poi CARISBO) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Bologna, i coniugi M.M. e P.M.F. per sentirli condannare al pagamento della somma di Euro 2.500.003,50, oltre accessori, e per vedersi accogliere la domanda di revocatoria dell’atto col quale i convenuti avevano costituito in fondo patrimoniale, ciascuno nella quota di metà, il diritto di usufrutto ai medesimi spettante su un insieme di immobili e terreni.
Si costituirono in giudizio i convenuti, eccependo in rito l’intervenuta prescrizione dell’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2903 cod. civ. e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda per mancanza del consilium fraudis e dell’eventus damni.
Il Tribunale accolse la domanda, condannò il solo M. al pagamento della somma richiesta, dichiarò l’inefficacia dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale e compensò le spese di giudizio.
2. La pronuncia è stata impugnata dal solo M. e la Corte d’appello di Bologna, con sentenza del 16 ottobre 2012, ha respinto l’appello ed ha condannato l’appellante al pagamento delle spese del grado.
Ha osservato la Corte territoriale che la sentenza di primo grado non era stata impugnata quanto alla statuizione di condanna del M. al pagamento della somma suindicata.
Quanto alla revocatoria del fondo patrimoniale, la Corte d’appello ha rilevato che la tesi dell’appellante non poteva essere accolta. Ed invero l’atto in questione, benché stipulato davanti al notaio in data 20 aprile 1999, era divenuto effettivamente opponibile ai terzi – fra i quali la Banca creditrice – soltanto con l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, avvenuta il successivo 1 ottobre 2003. Poiché il credito della CARISBO era sorto in data 22 settembre 2003 – momento in cui il M. si era accollato i debiti della s.p.a. Virtus Pallacanestro – la costituzione del fondo patrimoniale era da ritenere successiva rispetto al sorgere del credito, in quanto solo con l’assunzione del debito suddetto l’atto era divenuto opponibile ai terzi. Era pertanto da ritenere irrilevante, secondo la Corte bolognese, il fatto che nel momento di costituzione del fondo patrimoniale il M. fosse “in ottime condizioni economiche”, perché di fatto tale costituzione gli aveva consentito di “sottrarre parte dei suoi beni che dovevano garantire il creditore dall’adempimento dell’accollo perfezionatosi”. La sussistenza di un “intento distrattivo” era poi dimostrata, oltre che dalla menzionata tempistica degli eventi, anche dal fatto che “una serie di atti successivi alla costituzione del fondo” rendevano evidente sia l’intento di sottrarre i beni alla garanzia dei creditori sia il conseguente pregiudizio scaturito in danno della CARISBO.
Ha poi aggiunto la Corte d’appello che “le pur pregevoli argomentazioni dell’appellante” apparivano non idonee a superare l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il termine di prescrizione dell’azione di cui all’art. 2903 cod. civ. decorre dal giorno in cui l’atto è opponibile ai terzi, perché solo da quel momento il diritto può essere fatto valere.
3. Contro la sentenza della Corte d’appello di Bologna propongono ricorso i coniugi M.M. e P.M.F. con unico atto affidato a due motivi.
Resiste la CARISBO con controricorso

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 2901 cod. civ., con riferimento a quella parte della sentenza che ha rapportato la verifica del consilium fraudis alla data di annotazione dell’atto di costituzione del fondo patrimoniale anziché a quella della sua effettiva stipulazione.

I ricorrenti – dopo aver rammentato una serie di circostanze di fatto che dimostrerebbero la loro assoluta solidità patrimoniale ed aver aggiunto che il ritardo nell’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale era da ricondurre a responsabilità del notaio rogante – osservano che soltanto nel 2003 si manifestarono le difficoltà economiche del gruppo. Ciò premesso, i ricorrenti aggiungono che la giurisprudenza e la dottrina hanno sempre riconosciuto che l’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale a margine dell’atto di matrimonio assume rilievo solo ai fini dell’opponibilità dell’atto, sicché sarebbe errato voler collegare a tale momento anche la valutazione del consilium fraudis di cui all’art. 2901 del codice civile. Nel caso, il ritardo nell’annotazione non era imputabile ai coniugi ma, appunto, al notaio; e comunque l’atto era stato regolarmente trascritto nei pubblici registri immobiliari, per cui la Banca creditrice ne era perfettamente al corrente, il che varrebbe ad escludere in radice ogni possibile intento di macchinazione in danno dei creditori. L’atto in questione, quindi, dovrebbe essere ritenuto anteriore al sorgere del credito, con conseguente onere della prova, a carico della CARISBO, di dimostrare che l’atto fosse frutto della dolosa preordinazione volta a pregiudicare il soddisfacimento del credito.

1.1. Il motivo non è fondato.

Rileva il Collegio, innanzitutto, che le vicende in fatto prospettate nel ricorso – in particolare quanto alla solidità patrimoniale del M. anche dopo la costituzione del fondo patrimoniale, nonché alla presunta inerzia del notaio rogante in ordine all’annotazione dell’atto costitutivo a margine dell’atto di matrimonio – sono del tutto ininfluenti in questa sede; nella quale, viceversa, la Corte è chiamata a stabilire se la Corte d’appello abbia correttamente fissato come data rilevante, ai fini della valutazione delle condizioni per l’esercizio dell’azione revocatoria, quella in cui l’atto di costituzione del fondo patrimoniale è stato annotato a margine dell’atto di matrimonio.

In proposito, pacifico essendo che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale è a titolo gratuito, occorre rilevare che la giurisprudenza di questa Corte è stata chiamata più volte ad affrontare il problema del rapporto esistente, in relazione alla pubblicità delle convenzioni matrimoniali, tra la trascrizione nei registri immobiliari e l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio.

A tale problema hanno dato risposta anche le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza 13 ottobre 2009, n. 21658, la quale, dopo aver confermato che anche il fondo patrimoniale è una delle convenzioni matrimoniali, sulla scia di una consolidata giurisprudenza ha ribadito che la costituzione di tale fondo è soggetta alle disposizioni dell’art. 162 cod. civ., ivi inclusa quella del quarto comma, che ne condiziona l’opponibilità ai terzi all’annotazione del relativo contratto a margine dell’atto di matrimonio; mentre la trascrizione del vincolo per gli immobili, ai sensi dell’art. 2647 cod. civ., resta degradata a mera pubblicità-notizia e non sopperisce al difetto di annotazione nei registri dello stato civile, che non ammette deroghe o equipollenti, restando irrilevante la conoscenza che i terzi abbiano acquisito altrimenti della costituzione del fondo (il principio è stato ulteriormente ribadito dalla più recente sentenza 12 dicembre 2013, n. 27854).

Questa Corte, inoltre, ha anche affermato il principio, del tutto coerente, per cui il notaio che, dopo avere costituito un fondo patrimoniale, ometta di curare la relativa annotazione in margine all’atto di matrimonio, risponde nei confronti dei proprietari dei beni conferiti nel fondo del danno da essi patito in conseguenza dell’inopponibilità del vincolo di destinazione ai creditori, a nulla rilevando che sia stata comunque eseguita la trascrizione dell’atto, giacché quest’ultima non rende la costituzione del fondo patrimoniale opponibile ai terzi quando sia mancata la suddetta annotazione, nemmeno nel caso in cui i terzi stessi ne avessero conoscenza (sentenza 27 novembre 2012, n. 20995).

Discende da tali principi che la decisione della Corte d’appello è corretta ed immune dalle lamentate censure, avendo ritenuto che l’atto di costituzione oggetto del presente giudizio, siccome annotato a margine dell’atto di matrimonio soltanto in data 1 ottobre 2003, fosse da ritenere successivo al sorgere del credito, avvenuto con l’accollo dei debiti da parte dell’odierno ricorrente il 22 settembre 2003 (data della missiva inviata dal M. , accettata nello stesso giorno dalla banca).

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 167 e 2903 cod. civ., in relazione al capo di sentenza che ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione.

Osservano i ricorrenti che l’art. 2903 cod. civ. stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni decorrenti dalla data dell’atto. Richiamato quanto già detto circa la rilevanza dell’annotazione dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale ai soli fini dell’opponibilità ai terzi, il motivo nota che il rischio della mancata conoscenza da parte dei terzi è stato, nella specie, eliminato dall’avvenuta trascrizione dell’atto nei registri immobiliari. Quanto alla sentenza citata dalla Corte d’appello – ossia la n. 1210 del 2007 di questa Corte – i ricorrenti rilevano che quel precedente non può avere un peso decisivo nella sede odierna, perché la vicenda di quel giudizio era differente.

2.1. Il motivo non è fondato.

Ferme restando le considerazioni già svolte a proposito del primo motivo, osserva il Collegio che non vi sono motivi per discostarsi dal precedente, correttamente richiamato dalla Corte bolognese, costituito dalla sentenza 19 gennaio 2007, n. 1210, di questa Corte, secondo cui l’art. 2903 cod. civ., laddove stabilisce che l’azione revocatoria si prescrive in cinque anni dalla data dell’atto, deve essere interpretato (attraverso il coordinamento con la disposizione generale in tema di prescrizione, di cui all’art. 2935 cod. civ.) nel senso che la prescrizione decorre dal giorno in cui dell’atto è stata data pubblicità ai terzi, in quanto solo da quel momento il diritto può esser fatto valere e l’inerzia del titolare protratta nel tempo assume effetto estintivo; e tale momento va individuato, in relazione alla costituzione del fondo patrimoniale, in quello nel quale avviene l’annotazione a margine dell’atto di matrimonio, che è il giorno nel quale l’atto diviene opponibile ai terzi.

È appena il caso di rilevare che detta giurisprudenza è in armonia con quella relativa alla prescrizione dell’azione revocatoria fallimentare, riguardo alla quale si è detto che la prescrizione decorre dalla data della dichiarazione di fallimento e non da quella del compimento dell’atto da revocare (sentenze 5 novembre 1999, n. 12317, e 5 dicembre 2003, n. 18607).

In conclusione, il ricorso è rigettato.

A tale pronuncia segue la condanna dei ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali.

Sussistono inoltre le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 200,00, per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *