Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 23 settembre 2015, n. 18812

Svolgimento del processo

G. C., conduttore di un immobile ad uso commerciale sito in Borgo Udine di Palmanova, non si oppose alla convalida dello sfratto per finita locazione intimatagli dai locatori, ma richiese la corresponsione dell’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, deducendo che nell’immobile era stata svolta attività di vendita al pubblico di articoli di pelletteria da parte di L. M., cui il C. aveva affittato la propria azienda commerciale (senza però cedere il contratto di locazione o sublocare l’immobile).
Il Tribunale accolse la domanda del C. e condannò i locatori al pagamento dell’indennità.
La Corte di Appello di Venezia ha riformato la sentenza sul rilevo che difettavano prove univoche che il locale fosse ancora aperto al pubblico alla data della scadenza della locazione: ha pertanto rigettato la domanda del conduttore e lo ha condannato al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.
Ricorre per cassazione il C. affidandosi a quattro motivi; resiste, a mezzo di controricorso, A. C., mentre gli altri intimati non svolgono attività difensiva.

Motivi della decisione

l. La Corte territoriale ha affermato che non sembrava “risultare affatto univocamente” che all’epoca della scadenza contrattuale (31.10.2003) il locale fosse aperto al pubblico; ha richiamato, in proposito, le dichiarazioni di tre testi e le risultanze di una certificazione della Camera di Commercio di Udine (da cui risultava che la ditta individuale M. era cessata il 31.12.2002 ed era stata cancellata il 24.3.2003, a seguito di domanda del 30.1.2003) e ha concluso che, essendo già cessata l’attività, non risultava “in atto” alcun avviamento, tale da comportare il riconoscimento dell’indennità.
2. Col primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione dell’art. 35 1. n. 392/78 e/o dell’art. 2697 c.c.” e “omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo”), il C. censura la sentenza per avere impostato erroneamente la questione del riparto dell’onere della prova e per avere dato una “lettura errata e lacunosa delle risultanze istruttorie”: assume che, essendo pacifico che nell’immobile era stata svolta attività di vendita al pubblico, “la prova del mutamento delle modalità di utilizzazione dell’immobile … incombeva sui locatori e non già sul conduttore”, cosicché “l’asserita non certezza … affermata dalla Corte d’Appello avrebbe dovuto risolversi necessariamente a sfavore della posizione dei locatori”.
3. Col secondo motivo (“violazione e/o errata applicazione dell’art. 34 1. n. 392/78″), il ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia considerato che -a tutto concedere- la cessazione dell’attività comportante contatti diretti col pubblico dei consumatori era stata certamente successiva all’invio della disdetta da parte dei locatori (risalente al 6.6.2002) ed assume che non poteva dunque escludersi il diritto del conduttore a percepire l’indennità giacché, avendo determinato la cessazione del contratto e la necessità del conduttore di reperire altri locali”, i locatori non potevano “trarre da ciò addirittura il vantaggio di non essere nemmeno tenuti al pagamento dell’indennità”.
4. Il terzo motivo censura la sentenza (per “violazione e/o errata applicazione dell’art. 35 l. n. 392/78” e per ogni possibile vizio motivazionale) per avere ritenuto decisiva la circostanza che, dal certificato della Camera di Commercio, la ditta M. risultasse cessata in data anteriore alla scadenza del contratto.
5. L’ultimo motivo (che prospetta “violazione e/o errata applicazione dell’art. 80 della l. n. 392/78” e ogni possibile vizio motivazionale) censura la Corte per avere escluso che nel caso potesse trovare applicazione la disposizione dell’art. 80 della l. n. 392/78 (che, secondo l’assunto del ricorrente, comporterebbe l’ininfluenza dell’eventuale mutamento di regime del bene locato in difetto della prova dell’avvenuta conoscenza e della tacita accettazione di esso da parte del locatore).
6. Il ricorso è fondato, per quanto di ragione.
Va considerato, infatti, che esiste un consolidato orientamento di legittimità -cui il Collegio intende dare continuità- secondo cui l’indennità per la perdita dell’avviamento “compete al conduttore per il solo fatto che il locatore abbia assunto l’iniziativa di non proseguire la locazione” (Cass. n. 2485/1998) e che “l’intervenuta disdetta … inviata dal locatore è idonea a far sorgere ipso facto, ove ne ricorrano gli altri presupposti, il diritto del conduttore all’indennità di avviamento” (Cass. n. 454/2009), mentre risulta del tutto irrilevante la circostanza che “il conduttore, successivamente alla disdetta o al recesso, abbia cessato di svolgere la sua attività” (Cass. n. 17698/2013), ancorché “prima della cessazione del rapporto”
(Cass. n. 12279/2000), o che, “a seguito della comunicazione del locatore di non voler proseguire la locazione, … abbia trasferito altrove la propria attività” (Cass. n. 4432/1996).
Da ciò consegue che erroneamente la Corte di merito ha considerato la situazione esistente al momento della scadenza contrattuale (31.10.2003) – e ciò nel valutare sia le dichiarazioni dei testi che il certificato della Camera di Commercio anziché la situazione di effettivo utilizzo del bene (e quindi l’eventuale esistenza dei contatti col pubblico dei consumatori) al momento in cui i locatori manifestarono la volontà di far cessare la locazione (ossia nel giugno 2002), ‘essendo – come detto- irrilevante la cessazione dell’attività o il mutamento di essa in un momento successivo.
La sentenza va dunque cassata, con rinvio alla Corte di merito che dovrà rivalutare la vicenda alla luce dei principi sopra richiamati.
7. La Corte di rinvio provvederà anche sulle spese di lite.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassa e rinvia, anche per le spese di lite, alla Corte di Appello di Trieste, in diversa composizione.

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