cassazione 8

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 20 febbraio 2015, n. 3384

Ritenuto in fatto

La Regione Campania proponeva appello avverso la sentenza del 30 ottobre 2009 con la quale il Giudice di pace di Benevento, accogliendo la domanda proposta da S. O. e volta ad ottenere il risarcimento dei danni subiti dalla propria autovettura a causa dell’improvviso attraversamento della sede stradale da parte di un cinghiale, avvenuto nel 2007 sulla S.P. 42, al Km 16 in Chianche San Paolina, ed aveva condannato detta Regione al pagamento, in favore dell’attore, di euro 800,00 nonché alle spese di lite.
A fondamento del proposto gravame la Regione eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva per essere legittimata la Provincia di Avellino e contestava la sentenza impugnata perché errata, iniqua e non correttamente motivata.
Si costituivano, contestando il gravame proposto, S. O. e la Provincia di Avellino; quest’ultima proponeva pure appello incidentale condizionato.
Il Tribunale di Benevento, con sentenza del 6 giugno 2012 accoglieva l’appello principale e, in riforma dell’impugnata sentenza, dichiarava il difetto di legittimazione passiva della Regione Campania, condannava l’Amministrazione provinciale di Avellino al pagamento, in favore del S., della somma di euro 1314,10, oltre interessi dalla domanda al soddisfo nonché al pagamento delle spese del doppio grado e compensava le spese di lite fra la Provincia di Avellino e la Regione Campania.
Avverso tale sentenza la Provincia da Avellino ha proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi.
Resistono con distinti controricorsi il S. e la Regione Campania. La Provincia di Avellino e la Regione Campania hanno depositato memorie

Motivi della decisione

Con il primo motivo si deduce ‘Violazione e falsa applicazione art. 26 legge regionale Campania n. 8/1996 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. – Errata applicazione dei principi informatori della materia – Mancata applicazione dell’art. 2043 c.c. – Difetto di legittimazione passiva della Provincia di Avellino – Errores in indicando’.

Lamenta la ricorrente che il Tribunale di Benevento avrebbe applicato la predetta legge regionale non conferente alla fattispecie all’esame, disciplinata, invece, dall’art. 2043 c.c., evidenziando che nella sentenza impugnata si afferma erroneamente che ‘la parte attrice invoca non la generale responsabilità aquiliana per i danni subiti a causa dell’introduzione, nel suo fondo di animali selvatici, ma il diritto all’indennizzo che la legge regionale Campania 10.4.96 n. 8, art. 26, riconosce … in favore del proprietario o conduttore del fondo per far fronte ai danni altrimenti non risarcibili causati alla produzione agricola dalla fauna selvatica, in particolare quella protetta, e dall’attività venatoria’. Ad avviso dell Amministrazione ricorrente, il Tribunale, nell’operare non correttamente l’inquadramento normativo della fattispecie posta al suo esame, avrebbe errato nell’attribuire la legittimazione passiva alla Provincia di Avellino, spettante, invece, alla Regione Campania e a sostegno della sua tesi richiama numerose decisioni dei giudici di legittimità.

Con il secondo motivo si lamenta ‘Violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 e 4 c.p.c. – Errores in indicando’.

Rappresenta la Provincia di Avellino che il S., con l’atto introduttivo del giudizio, non ha chiesto l’indennizzo di cui alla legge regionale Campania n. 8/96 per danni al fondo agricolo, bensì il risarcimento del danno alla propria autovettura ex art. 2043 c.c., il che comporterebbe altresì la violazione da parte del Giudice del gravame del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c.

I motivi che precedono, che per connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono entrambi fondati.

Va anzitutto rilevato che nella stessa sentenza impugnata, a p. 2, si evidenzia che il S. ha chiesto il risarcimento dei danni causati alla sua autovettura da animali selvatici (cinghiali), come peraltro deduce lo stesso anche in questa sede (v. controricorso), salvo ad affermarsi, del tutto contraddittoriamente, a p. 3 della predetta sentenza, che l’attore ha invocato il diritto all’indennizzo riconosciuto dalla legge regionale Campania n. 26 del 1996 in favore del proprietario o conduttore del fondo per far fronte ai danni non altrimenti risarcibili causati alla produzione agricola dalla fauna selvatica e salvo a riferirsi la motivazione del Tribunale (v. p. 3 e sgg.) a tale indennizzo, cui, invece non risulta abbia, nell’atto di citazione, fatto riferimento l’attore, il quale neppure ha lamentato danni alla produzione agricola di un suo eventuale fondo.

Sussiste, pertanto, nella fattispecie all’esame, la lamentata violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si osserva poi che, secondo il principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, la Regione, in quanto obbligata ad adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi, è responsabile ex art. 2043 cod. civ. dei danni cagionati da un animale selvatico a persone o cose il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme (Cass., 24 ottobre 2003, n. 16008; Cass., 24.9.2002, n. 13907; Cass. 26 febbraio 2013, n. 4806).

Questa Corte ha già avuto modo in particolare di rilevare che – sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato e sia tutelata nell’interesse della comunità nazionale ed internazionale – la legge 11 febbraio 1992, n. 157, che detta la disciplina in materia di protezione della fauna selvatica omeoterma e di prelievo venatorio, attribuisce alle Regioni a statuto ordinario l’emanazione di norme relative al controllo e alla protezione di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3), affidando alle stesse i connessi, necessari poteri gestori, mentre riserva alle Province le funzioni amministrative ad esse delegate ai sensi del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267 (e, in precedenza, ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142).

Costituisce, infatti, principio generale del nostro ordinamento che le Regioni, laddove non vi si oppongano esigenze di carattere unitario, organizzano l’esercizio dei compiti amministrativi a livello locale attraverso i Comuni e le Province (art. 118 Cost.; D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 4).

Ne consegue che la Regione, anche in caso di delega di funzioni alle Province, è responsabile, ai sensi dell’art. 2043 cod. civ., dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme, a meno che la delega non attribuisca alle Province un’autonomia decisionale ed operativa sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni (Cass. 8 gennaio 2010, n. 80; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4202; Cass. 6 dicembre 2011, n. 26197; Cass. 26 febbraio 2013, n. 4806). In particolare, esaminando, con la pronuncia da ultimo richiamata, una fattispecie analoga a quella all’esame, pure verificatasi in Campania, questa Corte ha precisato che la legge regionale Campania n. 8 del 1996, (abrogata dalla legge regionale Campania 9 agosto 2012, n. 26, art. 42, comma 4, ma applicabile ratione temporis anche nel caso di cui si discute nella presente causa) stabilisce che la Regione Campania provvede, conformemente a quanto disciplinato, in via generale, dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, alla tutela delle specie faunistiche viventi anche temporaneamente sul territorio regionale (art. 1) nell’interesse della comunità regionale, nazionale ed internazionale (art. 2, comma 1), prevedendo che siano delegate alle Province le funzioni amministrative in materia di caccia, salvo quelle espressamente riservate dalla stessa legge e dalla legge 11 febbraio 1992, n. 157, alla Regione (art. 9), riservando in particolare alla Giunta regionale il coordinamento dei piani faunistici provinciali, nonché, in caso di inadempienza, l’esercizio di poteri sostitutivi di cui al comma 10 dell’art. 10, della già citata legge 11 febbraio 1992, n. 157 (art. 11) ed ha, altresì, affermato che costituisce corretta applicazione della regola di cui all’art. 2043 c.c. l’individuazione nella stessa Regione del soggetto correlativamente gravato dell’obbligo di adottare tutte le misure idonee ad evitare che la fauna selvatica arrechi danni a terzi.

A quanto precede va aggiunto che il riferimento, operato dal Tribunale nella sentenza impugnata all’art. 26 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, che dispone che sia costituito un apposito fondo regionale per il risarcimento dei c.d. danni non altrimenti risarcibili (e all’analogo art. 26 della legge regionale Campania n. 8 del 1996), é inconferente ai fini della decisione, riguardando tale norma i danni arrecati dagli animali alle coltivazioni ed ai fondi agricoli che non siano imputabili a colpa di alcuno, il rischio del cui verificarsi sia inevitabilmente collegato alla stessa esistenza della fauna selvatica, mentre, nel caso di specie, il soggetto passivamente legittimato va individuato alla stregua dei generali principi della responsabilità aquiliana (v. anche sul punto Cass. 4806/13 più volte richiamata).

Dall’orientamento sopra riportato non vi è motivo di discostarsi e, pertanto, ritiene il Collegio che il Tribunale non abbia fatto corretta applicazione del principio secondo cui ‘Sebbene la fauna selvatica rientri nel patrimonio indisponibile dello Stato, la legge 11 febbraio 1992, n. 157 attribuisce alle Regioni a statuto ordinario il potere di emanare norme relative alla gestione ed alla tutela di tutte le specie della fauna selvatica (art. 1, comma 3) ed affida alle medesime i poteri di gestione, tutela e controllo, riservando invece alle Province le relative funzioni amministrative ad esse delegate ai sensi della legge 8 giugno 1990, n. 142 (art. 9, comma 1). Ne consegue che la Regione, anche in caso di delega di funzioni alle Province, è responsabile, ai sensi dell’art. 2043 c. c., dei danni provocati da animali selvatici a persone o a cose, il cui risarcimento non sia previsto da specifiche norme, a meno che la delega non attribuisca alle Province un’autonomia decisionale ed operativa sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter efficientemente amministrare i rischi di danni a terzi e da poter adottare le misure normalmente idonee a prevenire, evitare o limitare tali danni’.

L’accoglimento dei primi due motivi di ricorso assorbe l’esame del terzo motivo, rubricato ‘Omessa pronuncia – Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. – Errores in indicando’, con cui la ricorrente lamenta che il Tribunale di Benevento abbia omesso ogni pronuncia sull’appello incidentale condizionato da essa proposto nei confronti della sentenza di primo grado, con riferimento ai capi relativi all’an e al quantum debeatur.

Va dichiarata inammissibile l’istanza di correzione della motivazione della sentenza impugnata ex art. 384 c.p.c. proposta dalla Regione Campania che, a sostegno della stessa, ha dedotto che ‘effettivamente il Tribunale di Benevento é incorso, nella fattispecie all’esame, in un error in iudicando avendo inquadrato il caso posto al suo vaglio alla stregua di risarcimento danni provocati a fondo agricolo da animali selvatici’, richiamando e applicando, pertanto, la norma prevista dall’art. 26 della L.R. Campania 10 aprile 1996, n. 8. Invero, la controversia de qua verte in tema di ‘risarcimento del danno provocato all’autovettura di proprietà del sig. S. O. a seguito di impatto con animale selvatico’.

Non ricorrono, infatti, nella specie, i presupposti per procedere alla correzione della motivazione della sentenza impugnata e di cui alla norma invocata dalla Regione.

Alla luce di quanto precede vanno accolti i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; l’impugnata sentenza va cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio – anche per le spese del presente giudizio di cassazione – al Tribunale di Benevento, in persona di diverso magistrato, che si atterrà al sopra riportato principio di diritto.

P.Q.M.

La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, al Tribunale di Benevento, in persona di diverso magistrato

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