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Le massime

1. La quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto estintivo dell’obbligazione secondo la previsione dell’art. 2735 cod. civ., e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti rispettivamente autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza. Pertanto, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento (ovvero dal commissario della liquidazione coatta amministrativa) del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione, deve negarsi che il debitore possa opporre la suddetta quietanza, quale confessione stragiudiziale del pagamento, atteso che il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio di un diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo. Da tanto consegue che, nel predetto giudizio, l’indicata quietanza è priva d’effetti vincolanti ed assume soltanto il valore di un documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo

2. Quando il curatore fallimentare agisca per fare valere la simulazione della quietanza rilasciata dal fallito in bonis, per recuperare alla massa fallimentare la somma che ne è oggetto, ovvero eccepisca la simulazione della quietanza, opposta dal debitore per resistere alla pretesa di pagamento del credito vantato dal fallimento, il curatore fallimentare agisce o resiste in rappresentanza della massa dei creditori. Pertanto, la quietanza rilasciata al debitore dalla società in bonis non vale, nei confronti della massa e quindi del curatore che la rappresenta, come confessione stragiudiziale del pagamento.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III

SENTENZA 18 dicembre 2012, n.23318

RITENUTO IN FATTO

Con la decisione ora impugnata, pubblicata il 13 settembre 2005, la Corte d’Appello di Torino ha accolto l’appello proposto dal Fallimento della Finanziaria Effe s.r.l. nei confronti di M. I. e del Fallimento di C.P.C., avverso la sentenza del Tribunale di Acqui Terme del 9 dicembre 2002.
Il Tribunale era stato adito a seguito di ricorso proposto dalla M. in opposizione all’esecuzione intrapresa su un immobile di proprietà sua e del marito, poi deceduto, C.P., dal Gruppo Fin Leasing s.r.l., proseguita dalla X Factor Finance s.p.a..
A sostegno dell’opposizione aveva dedotto di avere già definito la sua posizione debitoria verso il Gruppo Fin Leasing s.p.a., come da apposita dichiarazione liberatoria dell’amministratore unico e, poi, liquidatore di detta società, che nelle more aveva modificato la sua denominazione sociale in Finanziaria Effe s.r.l..
Nel giudizio di primo grado si era costituito il Fallimento di tale ultima società ed aveva eccepito la simulazione assoluta della quietanza emessa dall’amministratore della società in bonis. Nello stesso giudizio era intervenuto volontariamente il Fallimento di C.P.C., quale erede accettante con beneficio d’inventario l’eredità di C.P., ed aveva aderito all’opposizione proposta dalla M.. Era rimasta contumace la X Factor Finance s.p.a..
1.2.- Il Tribunale accoglieva l’opposizione e condannava il Fallimento opposto al pagamento delle spese in favore dell’opponente e del Fallimento intervenuto.
2.- Proposto appello da parte del Fallimento della Finanziaria Effe s.r.l., costituiti in secondo grado la M. ed il Fallimento di C.P.C., nella contumacia della X Factor Finance s.p.a., la Corte d’Appello di Torino ha, come detto, accolto il gravame, ritenendo che la dichiarazione liberatoria resa in data 20 marzo 1993 dall’allora liquidatore della Finanziaria Effe fosse priva di efficacia confessoria nei confronti del Fallimento della stessa società e che non vi fossero riscontri probatori della sua veridicità; quindi, ha condannato l’appellata M.J. al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio in favore del Fallimento appellante; ha dichiarato integralmente compensate le spese fra la M. e le altre parti.
3.- Avverso la sentenza della Corte d’Appello, M.J., in proprio e quale erede di C.P., ed il Fallimento di C.P.C. propongono, rispettivamente, ricorso principale e ricorso incidentale, ciascuno affidato a due motivi. Il Fallimento della Finanziaria Effe s.r.l., a sua volta, propone controricorso al ricorso principale, ricorso incidentale affidato a tre motivi e ricorso incidentale condizionato affidato ad un motivo.
Il Fallimento di C.P.C. resiste con controricorso ai ricorsi, incidentale ed incidentale condizionato, dell’altro Fallimento.
Il Fallimento del La Finanziaria Effe ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente i ricorsi, principale ed incidentali, vanno riuniti.

Sempre in via preliminare, va dato atto dell’irrilevanza della dichiarazione resa dal procuratore di M.J. dell’avvenuto decesso di quest’ultima dopo la presentazione del ricorso per cassazione, attesa l’inapplicabilità in cassazione dell’istituto dell’interruzione del processo per il decesso della parte (cfr., da ultimo, Cass. n. 22624/11). Ancora, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto da M.J., quale erede di C. P., dal momento che la medesima non risulta essersi costituita in tale qualità nel giudizio di appello e che la legittimazione a proporre ricorso per cassazione spetta soltanto ai soggetti che abbiano formalmente assunto e mantenuto la veste di parte nei precedenti gradi di merito (cfr., da ultimo, Cass. n. 520/12).

1.- Con l’unico articolato motivo del ricorso principale, proposto da M.J., in proprio, si denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto (artt. 1199, 1732, 1418, 1345, 2732, 2733, 2735, 2726 e 2729 cod. civ.) e contraddittorietà della motivazione, al fine di sostenere che la dichiarazione di cui alla scrittura del 20 marzo 1993 a firma del Dott. F.P., a titolo personale e nella sua qualità di liquidatore della Finanziaria Effe s.r.l., integrerebbe una quietanza, avente natura di confessione stragiudiziale, che fa piena prova contro colui che l’ha resa (quindi, contro la società rappresentata dal F.) e può essere contestata soltanto mediante la prova dell’errore di fatto o della violenza. Dato ciò, secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel considerare, nel caso di specie, la quietanza come mero indizio, un inizio di prova che avrebbe dovuto essere suffragata da altri e più convincenti elementi di prova forniti dagli opponenti; inoltre, la Corte d’Appello avrebbe sbagliato nel ritenere la quietanza non opponibile al curatore del fallimento della detta società, poichè questo avrebbe dovuto essere considerato non come terzo, ma come soggetto nella stessa posizione del fallito non solo in senso sostanziale, ma anche in senso processuale.

2.- Col primo motivo del ricorso incidentale del Fallimento di C.P.C., si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 324 e 312 c.p.c. e contraddittorietà della motivazione, al fine di sostenere che con l’atto di appello il Fallimento della Finanziaria Effe avrebbe eccepito soltanto l’estrinseca inefficacia, per simulazione assoluta, della quietanza – dichiarazione liberatoria del 20 marzo 2003, senza contestarne l’efficacia intrinseca, cioè quella confessoria, che, invece, avrebbe costituto il presupposto della pronuncia di primo grado. Dato ciò, sarebbe viziata da contraddittorietà e da extrapetizione la sentenza di appello che avrebbe fondato la propria decisione sull’inefficacia intrinseca del documento; inoltre, secondo il ricorrente incidentale, la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato per la parte attinente a tale ritenuta efficacia intrinseca, poichè non impugnata sul punto.

2.1.- Col secondo motivo dello stesso ricorso incidentale si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1199, 1414, 1417, 1988, 2720, 2722, 2726, 2729, 2730, 2732 e 2735 cod. civ., nonchè contraddittorietà della motivazione e si formulano censure sostanzialmente analoghe a quelle di cui al ricorso principale, riportate al precedente punto n. 1. Il Fallimento ricorrente incidentale aggiunge che, anche a voler escludere l’efficacia confessoria della quietanza nei confronti del Fallimento, la simulazione avrebbe potuto essere accertata e dichiarata solo in presenza di una controdichiarazione, e non sulla base di prove testimoniali e/o presuntive, e comunque che non costituirebbero controdichiarazioni i documenti prodotti dalla curatela del Fallimento della Finanziaria Effe, nè gli stessi documenti costituirebbero principio di prova scritta, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2724 cod. civ..

3.- I motivi, che sono in parte coincidenti e in parte connessi, vanno trattati congiuntamente, essendo peraltro tutti infondati, per le ragioni di cui appresso.

La Corte d’Appello di Torino ha riformato la sentenza di primo grado di accoglimento dell’opposizione all’esecuzione proposta dall’esecutata M.J., nella quale era intervenuto il Fallimento di C.P.C., quale erede beneficiario dell’eredità dismessa dall’altro esecutato C.P. (deceduto nelle more); il Tribunale di Acqui Terme aveva, infatti, ritenuto che la dichiarazione liberatoria in data 20 marzo 1993 proveniente dall’allora liquidatore della Finanziaria Effe (società procedente in sede esecutiva, e fallita) fosse opponibile al Fallimento della stessa società e costituisse valida prova dell’adempimento del debito (dell’importo di lire 403.856.654, portato dal decreto ingiuntivo in data 29 gennaio 1992), per la soddisfazione del quale era stata intrapresa la procedura esecutiva immobiliare sui beni di proprietà M.- C..

La Corte d’Appello ha accolto il gravame proposto dal Fallimento della Finanziaria Effe, qualificando in termini di quietanza detta dichiarazione, ma applicando il principio per il quale essa ha natura di confessione stragiudiziale soltanto nel giudizio in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti autore e destinatario della dichiarazione di scienza; ha quindi reputato che, come affermato in diversi precedenti di legittimità, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione il debitore non possa opporre la detta quietanza, quale confessione stragiudiziale del pagamento, essendo il curatore una parte processuale diversa dal fallite – con la conseguenza che, in tale giudizio, la quietanza è priva di effetti vincolanti ed assume soltanto il valore di documento probatorio dell’avvenuto pagamento apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi prova desumibile dal processo. Nel dare seguito a tali principi nel caso di specie, la Corte territoriale ha escluso l’efficacia confessoria della dichiarazione rilasciata dal liquidatore della Finanziaria Effe s.r.l. in bonis ed ha reputato che non fosse suffragata da elementi, intrinseci al documento, o estrinseci ad esso, che ne costituissero conferma; ha perciò ritenuta infondata la dedotta eccezione di estinzione dell’obbligazione portata dal titolo esecutivo ed ha rigettato l’opposizione all’esecuzione.

4.- L’unico motivo del ricorso principale ed il secondo dell’incidentale non tengono conto dell’orientamento giurisprudenziale di legittimità fatto proprio dal giudice a quo, dal quale il Collegio non ritiene vi siano ragioni per discostarsi.

Esso è compendiato oltre che nella massima, riportata nella sentenza della Corte d’Appello di Torino, di cui al precedente di legittimità n. 4288/05 (‘La quietanza, rilasciata dal creditore al debitore all’atto del pagamento, ha natura di confessione stragiudiziale su questo fatto estintivo dell’obbligazione secondo la previsione dell’art. 2735 cod. civ., e, come tale, solleva il debitore dal relativo onere probatorio, vincolando il giudice circa la verità del fatto stesso, se e nei limiti in cui sia fatta valere nella controversia in cui siano parti, anche in senso processuale, gli stessi soggetti rispettivamente autore e destinatario di quella dichiarazione di scienza. Pertanto, nel giudizio promosso dal curatore del fallimento (ovvero, come nel caso di specie, dal commissario della liquidazione coatta amministrativa) del creditore per ottenere l’adempimento dell’obbligazione, deve negarsi che il debitore possa opporre la suddetta quietanza, quale confessione stragiudiziale del pagamento, atteso che il curatore, pur ponendosi, nell’esercizio di un diritto del fallito, nella stessa posizione di quest’ultimo, è una parte processuale diversa dal fallito medesimo. Da tanto consegue che, nel predetto giudizio, l’indicata quietanza è priva d’effetti vincolanti ed assume soltanto il valore di un documento probatorio dell’avvenuto pagamento, apprezzabile dal giudice al pari di qualsiasi altra prova desumibile dal processo’), anche in quella di Cass. n. 14481/05 (‘In tema di valore probatorio della quietanza nei confronti della curatela fallimentare, dalla anteriorità, con atto di data certa, della quietanza al fallimento non può ricavarsi anche la certezza della effettività del pagamento quietanzato, giacchè solo dalla certezza dell’avvenuto pagamento, mediante strumenti finanziari incontestabili (anche alla luce della legislazione antiriciclaggio, che impone cautele e formalità particolari ove vengano trasferiti valori superiori ad un certo importo), -, può trarsi la prova del pagamento del prezzo pattuito nell’atto di autonomia privata, idoneo al trasferimento del bene’) ed in altre successive (cfr. Cass. n. 11144/09).

I precedenti menzionati dai ricorrenti, principale ed incidentale, a sostegno dei rispettivi ricorsi (ed, in specie, Cass. n. 11904/98) non affermano affatto principi opposti a quelli sopra richiamati quanto alla posizione processuale e sostanziale del curatore fallimentare, ma, in coerenza con quanto sopra, si limitano a differenziarne la posizione a seconda che il curatore rappresenti gli interessi della collettività dei creditori ovvero eserciti diritti di spettanza del fallito nei confronti dei terzi: soltanto in tale seconda eventualità egli subentra nella medesima posizione, sostanziale e processuale, del fallito; non anche nella prima.

Orbene, quando il curatore fallimentare agisca per fare valere la simulazione della quietanza rilasciata dal fallito in bonis, per recuperare alla massa fallimentare la somma che ne è oggetto, ovvero eccepisca la simulazione della quietanza, opposta dal debitore per resistere alla pretesa di pagamento del credito vantato dal fallimento, il curatore fallimentare agisce o resiste in rappresentanza della massa dei creditori. Pertanto, la quietanza rilasciata al debitore dalla società in bonis non vale, nei confronti della massa e quindi del curatore che la rappresenta, come confessione stragiudiziale del pagamento.

4.1.- Quanto al primo motivo del ricorso incidentale, è sufficiente rilevare che, nel caso di specie, il Fallimento della Finanziaria Effe non ha agito, ma ha resistito all’opposizione all’esecuzione che la controparte ha fondato sulla quietanza rilasciata dal liquidatore della società in bonis; pertanto, una volta riconosciuta dal Tribunale l’idoneità probatoria di quest’ultima, il gravame proposto dal Fallimento della Finanziaria Effe, soccombente in primo grado, per fare valere la simulazione assoluta della quietanza medesima, è idoneo a devolvere al giudice di secondo grado l’intero thema decidendum della controversia, in questo compresa la questione della (impossibilità di) qualificazione della quietanza in termini di confessione stragiudiziale opponibile al curatore fallimentare, che costituisce un minus rispetto alla sua simulazione, così come prospettata dallo stesso curatore.

In conclusione, il ricorso principale ed il ricorso incidentale del Fallimento di C.P.C. vanno rigettati.

Questo rigetto comporta l’assorbimento del ricorso incidentale condizionato proposto dal Fallimento della Finanziaria Effe.

5.- Quest’ultimo Fallimento ha proposto, altresì, ricorso incidentale autonomo nei soli confronti del Fallimento di C. P.C., basato sulle seguenti tre censure: – violazione e falsa applicazione di principi normativi in materia di interpretazione della domanda e della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato – art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4;

– violazione e falsa applicazione di principi normativi in materia di soccombenza e di liquidazione delle spese legali, onere delle spese processuali, condanna alle spese, compensazione – artt. 90, 91, 92 e 336 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3;

– omessa motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Il ricorrente incidentale deduce che il Fallimento di C.P. C. è intervenuto in via autonoma e principale, ex art. 105 cod. proc. civ., nel giudizio di primo grado ed ha concluso chiedendo l’accoglimento dell’opposizione proposta sia dalla M. che da esso stesso concludente; che, avendo il primo giudice accolto le opposizioni, il Fallimento della Finanziaria Effe è stato condannato a pagare le spese del primo grado di giudizio non solo nei confronti della M., ma anche nei confronti del Fallimento di C. P.C.; che, nel proporre l’appello, il Fallimento della Finanziaria Effe ha chiesto il rigetto delle opposizioni e la condanna di entrambi gli opponenti al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in suo favore ed ha in tale senso precisato le conclusioni; che la Corte d’appello ha accolto l’appello, ha rigettato l’opposizione ex art. 615 cod. proc. civ., ma ha condannato soltanto M.J. al pagamento in favore dell’appellante delle spese dei due gradi di giudizio. In conclusione, secondo il Fallimento della Finanziaria Effe, la sentenza di secondo grado avrebbe del tutto dimenticato di decidere in punto di spese in ordine al rapporto processuale tra lo stesso Fallimento della Finanziaria Effe ed il Fallimento di C.P. C..

Osserva la ricorrente incidentale che, così decidendo, la Corte territoriale sarebbe incorsa nel vizio di omessa pronuncia (sulla condanna al pagamento delle spese legali da parte del Fallimento di C.P.C.); non avrebbe tenuto conto della soccombenza di quest’ultimo Fallimento (oltre che dell’originaria opponente M. J.); avrebbe violato il disposto dell’art. 336 c.p.c., comma 1, perchè, essendo rimasto caducato il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese, non avrebbe però proceduto d’ufficio ad un nuovo regolamento di tali spese, alla stregua dell’esito finale della lite.

6.- Il ricorso incidentale è fondato e va accolto. In effetti, la sentenza impugnata nulla ha statuito quanto alla regolamentazione delle spese nei rapporti tra i due Fallimenti. In particolare, con riguardo a detta regolamentazione, si è limitata a motivare quanto segue: ‘Le spese del doppio grado, di merito, liquidate come in dispositivo, vanno poste a carico della parte opponente nel solo rapporto processuale con il fallimento della Finanziaria effe s.r.l., mentre vanno integralmente compensate fra la M. e le restanti parti’; nel dispositivo si legge quanto segue: ‘…2) condanna M.J. al pagamento in favore del fallimento della Finanziaria effe s.r.l. delle spese del doppio grado di giudizio, che liquida in complessivi Euro 16.000,00, di cui 14.000,00 per diritti e onorari e il resto per spese vive e spese generali di studio; 3) dichiara integralmente compensate le spese fra la M. e le altre parti’.

6.1.- Contrariamente a quanto sostenuto nel controricorso del Fallimento di C.P.C., la statuizione appena riportata non è affatto frutto di refuso emendabile dallo stesso giudice di merito, come se la Corte d’appello avesse inteso compensare le spese tra il Fallimento della Finanziaria Effe e le altre parti; piuttosto, per come è reso evidente dalla lettura combinata di motivazione e dispositivo, quest’ultimo è esattamente conseguente alla motivazione ed entrambi danno conto della decisione della Corte territoriale volta, per un verso, a condannare la M., opponente originaria, a rifondere le spese dei due gradi al Fallimento (della Finanziaria Effe), convenuto opposto; per altro verso, a compensare le spese tra la stessa M. e le altre parti, in specie il Fallimento di C.P.C..

Orbene, a prescindere dalla congruenza di siffatta compensazione delle spese processuali, rispetto alle posizioni delle parti tra le quali si è fatta operare (tra loro coincidenti), è evidente che, statuendo come sopra, la Corte d’appello ha omesso di decidere sulla domanda avanzata dal Fallimento della Finanziaria Effe di condanna del Fallimento di C.P.C. al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

6.2.- Giova aggiungere che siffatta conclusione non trova smentita nel richiamo alla norma del D.M. 8 aprile 2004, n. 127, art. 5, comma 4, contenuto nel controricorso, dal momento che non risulta impugnata la determinazione di quanto complessivamente spettante, per diritti ed onorari, allo stesso difensore che abbia assistito più parti, ma risulta impugnata l’omessa pronuncia di condanna, in favore della stessa parte assistita da un unico difensore, di entrambe le parti soccombenti piuttosto che di una soltanto. La norma di riferimento è quella dell’art. 97 cod. proc. civ..

6.3.- In conclusione, la sentenza è viziata da omessa pronuncia e va cassata per quanto di ragione.

Poichè non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte decide nel merito, tenendo conto del citato art. 97 c.p.c., comma 1, parte prima, delle note spese e dell’attività processuale, quale risulta dagli atti, ed applicando le tariffe vigenti alla data in cui tale attività processuale è stata svolta, vale a dire quelle di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Ritiene, infatti, il Collegio che, dovendo decidere nel merito, ora per allora, vale a dire con riferimento ad un’attività difensiva interamente svolta e completata, rispettivamente dinanzi ai giudici di primo e di secondo grado, prima dell’entrata in vigore del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito in L. 24 marzo 2012, n. 27, non siano applicabili i nuovi parametri dettati dal D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali (cfr.

Cass. S.U. n. 17405/12).

Il Fallimento di C.P.C. va perciò condannato in favore del Fallimento della Finanziaria Effe al pagamento della spese del primo grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro 6.200,00, di cui Euro 2.040,00 per diritti ed Euro 4.160,00 per onorari, nonchè delle spese del secondo grado di giudizio, che si liquidano complessivamente in Euro 8.115,00, di cui Euro 2.000,00 per diritti ed Euro 6.115,00 per onorari, così complessivamente nell’importo di Euro 14.315,00, oltre accessori come per legge.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo, ai sensi del menzionato D.M. n. 140 del 2012, art. 41.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale del Fallimento di C.P.C.; dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato del Fallimento della Finanziaria Effe. Accoglie il ricorso incidentale di quest’ultimo, cassa sul punto la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Fallimento di C.P.C. al pagamento, in favore del Fallimento della Finanziaria Effe, delle spese del primo grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 6.200,00, e delle spese del secondo grado di giudizio, che liquida complessivamente in Euro 8.115,00, così in totale in e 14.315,00, oltre accessori come per legge. Condanna la ricorrente principale M.J. ed il Fallimento di C.P.C. al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in favore del Fallimento della Finanziaria Effe, che liquida, a carico della prima, nella somma complessiva di Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, ed, a carico del secondo, nella somma complessiva di Euro 7.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge per entrambi.

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