Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 10 febbraio 2015, n. 5924

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Cagliari;
nei confronti di:
Ignoti;
avverso il decreto del 10/02/2014 del Gip presso il Tribunale di Cagliari;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. DI NICOLA Vito;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. E’ impugnato il decreto indicato in epigrafe con il quale il Gip presso il Tribunale di Cagliari ha, previa iscrizione di (OMISSIS) nel registro mod. 21 per il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, articolo 2, n. 74, indicato al pubblico Ministero gli atti di indagine specificati nella parte motiva, assegnando il termine di quattro mesi per il loro compimento.
2. Per la cassazione dell’impugnato decreto, ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Cagliari che, qualificato il decreto impugnato come atto abnorme, affida il gravame ad un unico complesso motivo con il quale premette che il Giudice per le indagini preliminari, a seguito di richiesta di archiviazione avanzata dal Pubblico Ministero e sull’opposizione della persona offesa, che sollecitava nuove indagini, ha rigettato la richiesta di archiviazione in relazione ad un procedimento aperto a seguito di denuncia di (OMISSIS) per false fatture, emesse da ignoti, formalmente riferibili alla sua ditta individuale, (OMISSIS) di (OMISSIS), per le quali aveva ricevuto dall’Agenzia delle Entrate di Nuoro un avviso di accertamento che gli contestava la mancata dichiarazione delle fatture, per complessivi 40mila euro, che egli sosteneva di non avere in realta’ mai emesso.
Il cliente, che aveva indicato le fatture nella propria dichiarazione IVA, era la societa’ (OMISSIS) s.r.l, di (OMISSIS), la cui legale rappresentante, (OMISSIS), interpellata dalla Guardia di Finanza, pur non esibendo i libri contabili dell’anno di imposta 2007 (in quanto distrutti, a suo dire, nell’alluvione di (OMISSIS) dell’ottobre 2008), confermava che la ditta del (OMISSIS) aveva eseguito lavori per gli impianti elettrici nel punto vendita di (OMISSIS), nelle circostanze e nei tempi indicati dalle fatture (luglio e settembre 2007) e che le stesse erano state pagate in contanti su richiesta dello stesso (OMISSIS).
L’Agenzia delle Entrate ha confermato l’avviso di accertamento, ritenendo le fatture emesse e quindi sottratte all’imposizione.
Pertanto, il (OMISSIS) chiedeva che si accertasse l’autore (ignoto) della emissione delle fatture a nome della sua ditta e che si procedesse nei suoi confronti: iscritto il procedimento a carico di ignoti, per i reati (Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 8 ed articolo 485 c.p., astrattamente configurabili sulla base della denuncia del (OMISSIS)) il Pubblico Ministero avanzava richiesta di archiviazione.
A seguito di opposizione della persona offesa, il Gip – pur ritenendo condivisibile l’argomento del Pubblico Ministero sulla impossibilita’ di individuare l’autore della falsificazione – ha affermato dovesse procedersi nei confronti del soggetto utilizzatore delle fatture, ovvero la (OMISSIS), per il diverso (rispetto alla richiesta di archiviazione) delitto di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 2, e quindi per l’utilizzo delle fatture per operazioni inesistenti, sul presupposto che questo reato, a differenza di quello di emissione ex articolo 8, cit., non si fosse prescritto.
Si duole il ricorrente che il Gip, in tal modo, ha adottato un provvedimento abnorme, che travalica i suoi poteri di controllo sul corretto esercizio dell’azione penale (nella sua forma negativa dell’archiviazione), in violazione del petitum e del titolo di reato per il quale si procedeva, cio’ in guanto il potere del Gip di ordinare l’iscrizione del nome di una persona nell’anzidetto registro presuppone che a questa persona sia attribuito il medesimo reato per il quale il pubblico ministero, reputandone ignoto l’autore, ha chiesto l’archiviazione (Cass. Sez. 6 , 12.11.1999, n. 3714).
Invece il Gip ha optato per “una terza via” rispetto agli epiloghi tassativamente indicati nell’articolo 415 c.p.p., che gli imponevano di disporre l’archiviazione con decreto motivato ovvero, nel caso avesse ritenuto il reato attribuibile a persona gia’ individuata, di ordinare che il nome di questa fosse iscritto nel registro delle notizie di reato.
Il giudice avrebbe quindi confuso i due piani, ritenendo che, pur non essendo possibile identificare l’autore della condotta di emissione (circostanza che di per se’ avrebbe dovuto imporre l’accoglimento della richiesta di archiviazione, formulata unicamente per tale titolo al reato) fosse attribuibile al soggetto noto il reato di utilizzo di fatture false, in tal modo dando luogo alla abnormita’ denunciata, senza neppure dichiarare ex articolo 129 c.p.p., l’estinzione del reato e, anzi, indicando al pubblico ministero di compiere, anche al cospetto di un reato estinto, ulteriori indagini e ravvisandosi in cio’ un ulteriore profilo di abnormita’ del provvedimento impugnato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono.
2. La questione sollevata con il gravame ha trovato soluzioni non univoche nella giurisprudenza di questa Corte.
Come esattamente sottolinea il ricorrente, e’ stato affermato che e’ abnorme, in quanto collocato al di fuori dell’ordinamento processuale, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari richiesto di pronunciare decreto di archiviazione a norma dell’articolo 415 c.p.p., esorbitando dal fatto-reato devolutogli con la richiesta di archiviazione, configuri ed attribuisca ad una persona altro fatto-reato, ordinando, all’esito di siffatta operazione, che il suo nome sia iscritto nel registro delle notizie di reato. Cio’ in quanto il potere del g.i.p. di ordinare l’iscrizione del nome di una persona nell’anzidetto registro, presuppone che a questa persona sia attribuito il medesimo reato per il quale il p.m., reputandone ignoto l’autore, ha chiesto l’archiviazione. (Sez. 6 , n. 3714 del 12/11/1999, P.M. in proc. ignoti, Rv. 215118).
Sul punto, le Sezioni Unite Minervini – in fattispecie non del tutto sovrapponile ma analoga, in quanto relativa ai rapporti tra pubblico ministero e giudice per le indagini preliminari in ordine al controllo sull’esercizio dell’azione penale, e la cui soluzione quindi implicava l’affermazione di principi validi anche in ordine allo scrutinio del presente ricorso – hanno chiarito che, dal complesso delle regole dettate sia a livello di carta fondamentale (articolo 112 Cost. e articolo 24 Cost., comma 2), sia a livello di codice di rito (v. articoli 335, 405, 409 segg.), e’ possibile estrapolare “una linea di indirizzo piuttosto chiara: il g.i.p. puo’ concordare con il P.M. ed allora nulla quaestio; puo’ dissentire e ritenere che il P.M. non abbia esercitato bene l’azione penale ed allora, lungi dall’esercitarla egli stesso in contrasto con il dettato costituzionale dell’articolo 112 Cost., puo’ invitarlo a compiere ulteriori indagini ed in tal caso, ove dette indagini debbano essere estese a persone non menzionate dal P.M. e/o per altri reati o per reati diversi, e’ giocoforza disporre che esse inizino secondo le regole, ossia sulla base degli adempimenti previsti dall’articolo 335 c.p.p.; solo quando tali formalita’ siano adempiute e quindi l’attivita’ di indagine sia stata rimessa nuovamente nelle mani e nelle valutazioni del P.M., il G.i.p. e’ abilitato ad emettere nuovamente i provvedimenti previsti dall’articolo 409 c.p.p.”.
Ne consegue che non e’ abnorme, e pertanto non e’ ricorribile per cassazione, l’ordinanza con la quale il Gip, all’esito dell’udienza camerale fissata sull’opposizione della persona offesa per il mancato accoglimento della richiesta di archiviazione del P.M., ordini l’iscrizione nel registro delle notizie di reato di , altri soggetti mai prima indagati (e/o per altri reati non configurati ed iscritti nel registro delle notizie di reato) per i quali il P.M. non abbia formulato alcuna richiesta, disponendo altresi’ la prosecuzione delle indagini, in quanto trattasi di decisione che rientra nei poteri di controllo a lui devoluti dalla legge sull’intera “notitia criminis” (Sez. U, n. 22909 del 31/05/2005, P.M. in proc. Minervini, Rv. 231162).
3. Tale approdo e’ stato ribadito dal recente arresto delle Sezioni Unite (Sez. U, n. 4319 del 28/11/2013, dep. 30/01/2014, P.M. in proc. L, Rv. 257786) espresso nel senso che non costituisce atto abnorme l’ordine di iscrizione della persona non sottoposta ad indagini nel registro delle notizie di reato in relazione a fatti che emergano a suo carico da quelle gia’ espletate.
Riprendendo il filo della sentenza Minervini, le Sezioni Unite hanno ricordato che l’ordine di iscrizione (non gia’ quello della formulazione coatta dell’imputazione a carico di persone non indagate e per reati diversi da quelli oggetto della richiesta di archiviazione), solo apparentemente non e’ contemplato dall’articolo 409 c.p.p., comma 4, (e quindi anche dall’articolo 415 c.p.p.) in quanto esso e’ compreso nel potere del giudice di ordinare nuove indagini: attivita’ che presuppone necessariamente l’iscrizione, dovendosi osservare in materia le regole di legalita’ formale imposte dall’articolo 335 c.p.p., al cui rispetto e’ in ogni caso obbligato l’organo inquirente.
E’ superfluo rammentare in proposito che, in base all’articolo 415 c.p.p., comma 3, tutte le disposizioni del titolo 8 del codice (in materia di “chiusura delle indagini preliminari” e dunque in materia di archiviazione della notizia di reato) devono essere osservate, in quanto applicabili, nel procedimento contro ignoti.
Il contenuto del potere di intervento del g.i.p. sull’esercizio dell’azione penale e’ stato piu’ volte sottoposto allo scrutino della Corte Costituzionale, che, dichiarando infondate le questioni sottoposte al suo esame, ha sempre affermato che i confini tracciati dal legislatore sui poteri dei due organi, che si occupano delle indagini preliminari, sono ben definiti e conformi ai principi costituzionali dell’obbligatorieta’ dell’azione penale e della attribuzione della titolarita’ del suo esercizio in capo all’organo inquirente/requirente.
In particolare, il Giudice delle leggi ha affermato che il principio dell’obbligatorieta’ dell’azione penale esige che nulla sia sottratto al controllo di legalita’ del giudice, e cio’ comporta una serie di controlli, tra cui quello esterno affidato al giudice e che si estrinseca nel richiedere al pubblico ministero l’espletamento di ulteriori indagini o la restituzione degli atti per la formulazione dell’imputazione (Corte cost. sent. n. 88 del 1991, Rv. 0016997).
Quanto alle finalita’ e all’ampiezza di siffatto controllo di legalita’, che il giudice e’ chiamato ad esercitare in sede di archiviazione, la Corte costituzionale ha chiarito che esso non ammette differenze “qualitative” a seconda dei casi di archiviazione che il codice enumera, e che il controllo del giudice e’ rivolto a verificare se, alla stregua del materiale raccolto nel corso delle indagini, la rilevata “inazione” del pubblico ministero sia conforme a legalita’, con la conseguenza che il sindacato dovra’ necessariamente riguardare la integrante dell’indagine, restando dunque escluso che un simile apprezzamento resti circoscritto all’interno dei confini tracciati dalla “notitia criminis” delibata dal pubblico ministero (Corte cost., sent. n. 478 del 1993, Rv. 0020226).
In tale ambito, tuttavia, l’azione del giudice non contrasta con i principi del sistema accusatorio, essendo demandato a esso solo l’atto di impulso, che non esorbita dalla funzione di controllo, mentre il concreto promovimento dell’azione penale, che si esplica nella formulazione dell’imputazione, resta di esclusiva competenza del pubblico ministero.
Sotto tale specifico aspetto, La Corte costituzionale – nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 112 Cost., dell’articolo 409 c.p.p., censurato in quanto, ad avviso del giudice a quo, non avrebbe previsto che il giudice per le indagini preliminari possa ordinare al pubblico ministero, quando il pubblico ministero non vi abbia gia’ provveduto, di iscrivere nel registro di cui all’articolo 335 c.p.p., il nome della persona da considerarsi indiziata – ha ribadito come non possa in alcun modo revocarsi in dubbio che, a prescindere dal “tipo” di archiviazione richiesta dal pubblico ministero, spetti in ogni caso al giudice il potere – ove nel procedimento non figurino persone formalmente sottoposte alle indagini – di disporre, nella ipotesi in cui non ritenga di poter accogliere la richiesta di archiviazione, l’iscrizione, nel registro delle notizie di reato, del nominativo del soggetto cui il reato sia a quel momento da attribuire (Corte cost. ordinanza n. 176 del 1999, Rv. 0024704).
Conclusivamente la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimita’, nella sua massima espressione, hanno ben chiarito i rapporti che intercorrano tra giudice e pubblico ministero quanto al controllo di legalita’ che il primo deve operare sul secondo in ordine all’esercizio dell’azione penale: il giudice non puo’ sostituirsi al pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale, nel senso che non puo’ ordinare la formulazione dell’imputazione nei confronti di soggetti mai iscritti nel registro delle notizie di reato o, se iscritti, non puo’ ordinare l’imputazione coatta in ordine a reati diversi da quelli iscritti nel registro ex articolo 335 c.p.p., perche’ significherebbe esautorare il pubblico ministero dai suoi compiti istituzionali (esercizio obbligatorio dell’azione penale), costringendolo a sostenere un’accusa senza che il titolare dell’azione abbia compiuto alcun atto di indagine per verificarne la fondatezza e senza che la parte attinta dall’imputazione abbia potuto esercitare i diritti che conseguono all’iscrizione della persona nel registro delle notizie di reato; il giudice invece puo’ e deve compiere atti di impulso in modo che il controllo di legalita’ sull’esercizio dell’azione penale si svolga in conformita’ al principio dell’obbligatorieta’ che la regge (articolo 112 Cost.), senza essere vincolato dalle differenze qualitative sottese ai diversi tipi di archiviazione e senza essere vincolato ne’ dal petitum ne’ dalla causa petendi, potendo esercitare i poteri di impulso con riferimento all’indagine nella sua integrante, cosi’ come risulta dal fascicolo del pubblico ministero, potendo richiedere l’espletamento di ulteriori indagini non solo con riferimento ai soggetti iscritti nel registro ex articolo 335 c.p.p., e non soltanto in ordine ai reati per i quali si procede, pure essi iscritti, ma anche con riferimento ad altri soggetti ed altre notizie di reato, desumibili ex actis e previa iscrizione delle persone e delle notitiae criminis nel registro previsto dall’articolo 335 c.p.p..
Ne consegue che non e’ abnorme il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, richiesto dal pubblico ministero dell’archiviazione della notitia criminis iscritta contro persone ignote, ordini al pubblico ministero l’espletamento di ulteriori indagini nei confronti di soggetti noti e per notizie di reato diverse da quelle iscritte contro ignoti, previa annotazione del nome delle persone note e delle notizie di reato ad esse attribuite nel registro previsto dall’articolo 335 c.p.p., trattandosi di decisione che rientra nei poteri di controllo a lui devoluti dalla legge sull’intera “notitia criminis”.
Ne’ rileva che il giudice per le indagini preliminari abbia contestualmente omesso di pronunciare decreto di archiviazione per essere ignoti gli autori del reato o per essere comunque l’azione penale per i reati Decreto Legislativo n. 74 del 2000, ex articolo 8 e articolo 485 c.p., non esercitabile per estinzione del reato per intervenuta prescrizione, potendo il pubblico ministero reiterare la richiesta e potendo il giudice provvedere contestualmente all’esito delle indagini commissionate.
Il ricorso va pertanto rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero

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