Corte di Cassazione, sezione III penale, sentenza 1 agosto 2017, n. 38204

Rientrano nella fattispecie penale prevista dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, articolo 171-ter, comma 1, lettera f bis), tutti i congegni principalmente finalizzati a rendere possibile l’elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali od opere protette dal diritto d’autore, precisando ulteriormente che la norma incriminatrice non richiede la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati. Nell’occasione, si specifico’ che la consolle, pur essendo una mera componente hardware, costituiva il supporto necessario per far “girare” software originali e che il meccanismo di protezione operasse in via intercambiabile, nel senso che la indicazione apposta direttamente sul software dialogasse con l’altra misura apposta sull’hardware e le due, agendo in modo complementare tra loro, accertavano la conformita’ dell’originale, consentendone la lettura (dispositivo c.d. chiave-serratura) nel senso che una parte della protezione sta nelle informazioni inserite nel supporto – videogioco originale, mentre l’altra parte e’ inglobata nella consolle

Sentenza 1 agosto 2017, n. 38204
Data udienza 27 aprile 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAVALLO Aldo – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. DI STASI Antonella – Consigliere

Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

(OMISSIS), nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 08.10.2015 della Corte di Appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. GAI Emanuela;

udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore Generale Dr. ANGELILLIS Ciro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ dei ricorsi;

udita per la parte civile l’avv. (OMISSIS), in sost. avv. (OMISSIS) che ha depositato conclusioni scritte e nota spese;

Udito per gli imputati, gli avv.ti (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 ottobre 2015, la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Firenze, dichiarava non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171-ter, contestato nel procedimento riunito n. 6762/11 R.G., perche’ estinto per prescrizione, e rideterminava la pena inflitta a questi in anni uno e mesi due di reclusione e Euro 4000 di multa; nel resto confermava la sentenza del Tribunale di Firenze con la quale (OMISSIS) e (OMISSIS) erano stati condannati per i reati di cui alla L. n. 633 del 1941, articolo 171-ter, comma 1, lettera f) bis, per avere posto in commercio al dettaglio e distribuito ad altri rivenditori esistenti sul territorio, tramite il rispettivo esercizio commerciale e tramite sito internet, dispositivi hardware di varia natura destinati all’elusione di efficaci misure tecnologiche destinate ad impedire o limitare atti non autorizzati sulle consolle per videogames delle societa’ (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (capo A per (OMISSIS) e capo B per (OMISSIS)) e, il solo (OMISSIS), del reato continuato di cui all’articolo 81 c.p., comma 2, L. n. 633 del 1941, articolo 171-ter, comma 1, lettera f) bis, in relazione all’articolo 102 quater delle medesima legge, perche’ quale legale rappresentanti della (OMISSIS) srl e (OMISSIS) srl., pubblicizzava e commercializzava al dettaglio attraverso il sito internet (OMISSIS), dispositivi attraverso i quali e’ possibile utilizzare su consolle Nintendo DS, Xbox Microsoft, Palystation, videogiochi non originali frutto di illecita attivita’ di duplicazione e comunque illegittimamente scaricati da internet, offrendo altresi’ servizi necessari a modificare le medesime apparecchiature e/o provvedendole a modificarle direttamente (reati contestati nell’ambito di piu’ procedimenti riuniti).

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorsi per cassazione, (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo del difensore, e ne hanno chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi (comuni ad entrambi), enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione come disposto dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Con il primo motivo si chiede la rimessione della decisione alle Sezioni Unite, ex articolo 618 c.p.p. Sostengono i ricorrenti che la questione di diritto sottesa alla decisione ha gia’ dato luogo a contrasti nella giurisprudenza, in particolare tra la giurisprudenza di legittimita’ e di merito, sicche’ si imporrebbe un intervento chiarificatore della portata della norma incriminatrice violata, tenuto conto che il risalente precedente di questa Corte del 2007, sarebbe fondato su dati di fatto tecnicamente erronei e superati dall’evoluzione della tecnica. In particolare, l’intervento della giurisprudenza nella sua massima espressione, dovrebbe chiarire piu’ profili inerenti all’applicazione della norma e, segnatamente, se il software a contenuto videoludico, ovvero i videogiochi, possano ancora considerarsi sequenze di immagini in movimento ovvero opere multimediali complesse con conseguente applicabilita’ della L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter, oppure non debbano essere ricondotti tout court al concetto di programma per elaboratore tutelati della citata Legge, articolo 171 bis; la portata della norma incriminatrice alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 23 gennaio 2014 C-355/12; la valutazione della legittimita’ costituzionale, anche alla luce delle considerazioni della Corte di Giustizia, del combinato disposto di cui all’articolo 102 quater e articolo 171-ter lettera f) bis cit..

Infine, chiarire la rilevanza penale o meno dell’uso di dispositivi e/o software che abbiano la finalita’ di consentire l’uso su consolle di programmi di libero uso come in cosiddetti homebrew, programmi indipendenti.

In conclusione la rimessione della decisione alle Sezioni Unite si imporrebbe per scongiurare il pericolo del perpetuarsi di decisioni nelle quali il diritto non stia al passo con l’evoluzione tecnologica.

2.2. Con il secondo motivo deducono la violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) in relazione all’articolo 125 c.p.p., comma 3 e articolo 546 c.p.p., comma 1, nonche’ il vizio di motivazione sotto il profilo della mancanza.

Argomentano i ricorrenti che la Corte d’appello avrebbe confermato la sentenza del Tribunale con motivazione meramente apparente, senza rispondere alle censure devolute nei motivi di appello. La corte territoriale si sarebbe limitata alla mera condivisione del precedente giurisprudenziale di questa Corte del 2007, senza considerare le critiche mosse alla stessa dalla difesa. Il giudice dell’impugnazione, aderendo immotivatamente all’orientamento della Suprema Corte di Cassazione, non avrebbe tenuto conto della dottrina maggioritaria che da tempo aveva escluso la possibilita’ di parlare di misure tecnologiche di protezione a fronte di misure applicate non sulle opere o sugli altri materiale protetti, come imporrebbe l’articolo 102-quater della medesima legge, bensi’ anche sull’hardware.

Da cui la mancanza di motivazione censurabile ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).

2.3. Con il terzo motivo deducono la violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione all’articolo 603 c.p.p., nonche’ la mancanza, illogicita’ manifesta della motivazione in relazione al diniego di rinnovazione parziale del dibattimento. Sostengono i ricorrenti la corte territoriale non avrebbe motivato adeguatamente sulla richiesta formulata ex articolo 507 c.p.p. di disporre una perizia volta ad accertare se le misure implementate sui sistemi Nintendo, Sony e Microsoft fossero rispettose dei principi di proporzionalita’ e adeguatezza, come affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza citata, onde verificare, come indicato dalla stessa Corte, se altre misure o misure non installate sulle consolle, potessero causare minori interferenze con le attivita’ di terzi o minori limitazioni di tali attivita’, pur fornendo una protezione analoga per il diritto del titolare. Tale perizia non era ritenuta necessaria ad acquisire una nuova prova, bensi’ di verificare, dal punto di vista tecnico, la possibilita’ di applicare la norma incriminatrice secondo quanto affermato dalla sentenza della Corte di Giustizia.

2.4. Con il quarto motivo denunciano la violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione alla L. n. 633 del 1941, articolo 102-quater e articolo 171-ter, lettera f) bis, nonche’ il vizio di motivazione in relazione alla mancanza e illogicita’ della motivazione, chiedono sollevarsi la questione di legittimita’ costituzionale della L. n. 633 del 1941, articolo 102-quater e articolo 171-ter, lettera f) bis, per contrasto con l’articolo 25 Cost., comma 2 e articoli 3 e 27 Cost..

In sintesi i ricorrenti argomentano che l’obbligo del giudice di interpretare il diritto nazionale conformemente al contenuto delle decisioni quadro adottate nell’ambito del titolo 6 del Trattato sull’Unione europea, non puo’ legittimare l’integrazione della norma penale interna quanto una simile operazione si traduca in una interpretazione in “malam partem”. Cio’ posto, oggetto materiale del reato di cui alla citata Legge, articolo 171-ter, lettera f) bis non sono tutte le misure tecnologiche di protezione, ma soltanto quelle di cui all’articolo 102-quater delle medesima legge, norma extrapenale integratrice della fattispecie penale, risultando il precetto penale il combinato disposto dell’articolo 171-ter, lettera f) bis e dell’articolo 102-quater cit. In questo contesto, l’articolo 102-quater cit si riferirebbe alle misure tecnologiche di protezione a fronte di misure applicate solo sulle opere o sugli altri materiali protetti con esclusione di quelle imposte sull’hardware, mentre diversamente interpretando l’ambito della norma integratrice del precetto penale (secondo l’arresto della Corte di Giustizia), secondo cui le misure di cui all’articolo 102-quater cit, dovrebbero intendersi anche quelle applicate sull’hardware, si perverrebbe ad un’interpretazione che presenterebbe profili di illegittimita’ costituzionale per contrasto con l’articolo 25 Cost., comma 2, comportando la violazione del principio di tassativita’ e determinatezza della norma integratrice della norma penale e dunque della norma penale stessa. L’allargamento dell’ambito di operativita’ dell’articolo 102-quater alla misure di protezione imposte anche sull’hardware, comporterebbe, dunque, un ampliamento in malam parte della fattispecie penale. Da qui la non manifesta infondatezza della questione di legittimita’ prospettata.

2.5. Con il quinto motivo deducono la violazione della legge penale in relazione all’articolo 43 c.p. e il vizio di motivazione. La corte territoriale avrebbe erroneamente escluso l’errore scusabile in capo ai ricorrenti, errore scusabile sussistente alla luce del diverso atteggiamento interpretativo degli organi giudiziari, essendo intervenute sul tema numerose pronunce, anche della Corte di cassazione con opposte conclusioni.

3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto l’inammissibilita’ dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. I ricorsi sono inammissibili per la proposizione di motivi manifestamente infondati.

5. Quanto alla richiesta di rimessione della questione alle Sezioni Unite, occorre rilevare che quest’ultima e’ attualmente disciplinata dall’articolo 610 c.p.p., comma 2 e dall’articolo 618 c.p.p..

Non e’ richiamabile nel caso in scrutinio l’articolo 610 c.p.p., disposizione normativa che fa inequivocabilmente riferimento ai poteri del Presidente della Corte di Cassazione nella fase di assegnazione dei procedimenti. Residua, pertanto, il disposto dell’articolo 618 c.p.p. che regola l’attivita’ delle Sezioni.

Quest’ultima norma, tuttavia, a differenza della prima, prevede la rimessione alle Sezioni Unite unicamente delle questioni che abbiano o possano dar luogo a un contrasto giurisprudenziale e nella specie, come si dira’ oltre, non vi sono ragioni di contrasto con l’orientamento in precedenza affermato che, anzi, va, in questa occasione, ribadito anche alla luce della sentenza della Corte di Giustizia del 23 gennaio 2014 C- 355/12, sicche’ alcun contrasto giurisprudenziale, anche potenziale, e’ ravvisabile.

Conclusivamente non ritiene il Collegio che vi siano i presupposti per la rimessione della decisione alle Sezioni Unite.

6. Passando all’esame delle questioni di merito sollevate dai ricorrenti e come da loro prospettate, e’ bene premettere un breve cenno alla disciplina applicabile non essendovi dubbi, attese le contestazioni risalenti all’anno 2009-2010, in ordine all’applicazione ai ricorrenti della disciplina della L. n. 633 del 1941, articolo 171-ter lettera f) bis, introdotta dalla Decreto Legislativo n. 68 del 2003, articolo 26.

La norma in questione punisce, se il fatto e’ commesso per uso non personale, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da Euro 2.582 a Euro 15.493, chiunque a fini di lucro: fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio, o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalita’ o l’uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all’articolo 102-quater ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalita’ di rendere possibile o facilitare l’elusione di predette misure. Fra le misure tecnologiche sono comprese quelle applicate, o che residuano, a seguito della rimozione delle misure medesime conseguentemente a iniziativa volontaria dei titolari dei diritti o ad accordi tra questi ultimi e i beneficiari di eccezioni, ovvero a seguito di esecuzione di provvedimenti dell’autorita’ amministrativa o giurisdizionale.

L’articolo 102-quater della medesima legge, introdotto con il Decreto Legislativo n. 68 del 2003, prevede in via generale che: 1. I titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi… possono apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendano tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono desinati a limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti.

2. Le misure tecnologiche di protezione sono considerate efficaci nel caso in cui l’uso dell’opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l’applicazione di un dispositivo antiaccesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell’opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l’obiettivo di protezione. 3. Resta salva l’applicazione delle disposizioni relative ai programmi per elaboratore di cui al capo 4, sezione 6, titolo 1.

6.1. Questa Corte di legittimita’, sin dalle prime pronunce all’indomani della modifica legislativa, (cfr. Sez. 3, n. 28912 del 07/04/2004, Campana, Rv. 229417), ha chiarito che non vi e’ dubbio che l’articolo articolo 171-ter lettera f) bis punisca le alterazioni apportare agli apparati al fine di accedere alla fruibilita’ di prodotti protetti, precisando, affermazione ripresa e condivisa dalla successiva sentenza del 2007 richiamata nei ricorsi (Sez. 3, n. 33768 del 25.5.2007, P.M. in proc. Dalvit., Rv. 237516), che i “videogiochi” utilizzati sui “personal computer” o sulle consolle non costituiscono meri “programmi per elaboratore”, ovvero un software in senso proprio, bensi’, in quanto opere complesse e “multimediali”, un prodotto diverso, riconducibile alla categoria dei supporti contenenti sequenze di immagini in movimento di cui alla L. n. 633 del 1941, cosi’ che gli stessi non rientrano nella sfera applicativa dell’articolo 171 bis della medesima legge. Al contempo, si e’ condivisibilmente rilevato che l’articolo 171-ter, lettera f) bis, ha intesto introdurre un elemento di chiarezza rispetto ad una formulazione che poteva prestarsi ad una lettura non piu’ al passo con l’evoluzione tecnologica e dei diritti “digitali”, ma non ha affatto introdotto una fattispecie incriminatrice del tutto nuova.

Con la citata sentenza n. 33768/07 si e’ puntualizzato, tra l’altro, che le “misure tecnologiche di protezione” (o MTP) si sono, infatti, aggiornate ed evolute seguendo le possibilita’, ed i rischi, conseguenti allo sviluppo della tecnologia di comunicazione, ed in particolare della tecnologia che opera sulla rete, precisando che una parte significativa degli strumenti di difesa del diritto d’autore sono stati orientati ad operare in modo coordinato sulla copia del prodotto d’autore e sull’apparato destinato ad utilizzare quel supporto. Tale affermazione, e’ bene ricordare sin da subito, ha trovato conferma nella pronuncia della Corte di Giustizia del 23 gennaio 2014 C- 355/12 (vedi infra).

6.2. Nel solco delle pronunce citate si pongono, anche, le successive pronunce del giudice di legittimita’ e segnatamente la sentenza Sez. 3, n. 21621 del 15/04/2015, Frazzano, Rv. 263667 e la sentenza intervenuta nella procedura incidentale in questo processo (Sez. 3, n. 23765 dell’11.5.2010, Campa, Rv. 247793) che ha ribadito che rientrano nella fattispecie penale prevista dalla L. 22 aprile 1941, n. 633, articolo 171-ter, comma 1, lettera f bis), tutti i congegni principalmente finalizzati a rendere possibile l’elusione delle misure tecnologiche di protezione apposte su materiali od opere protette dal diritto d’autore, precisando ulteriormente che la norma incriminatrice non richiede la loro diretta apposizione sulle opere o sui materiali tutelati. Nell’occasione, si specifico’ che la consolle, pur essendo una mera componente hardware, costituiva il supporto necessario per far “girare” software originali e che il meccanismo di protezione operasse in via intercambiabile, nel senso che la indicazione apposta direttamente sul software dialogasse con l’altra misura apposta sull’hardware e le due, agendo in modo complementare tra loro, accertavano la conformita’ dell’originale, consentendone la lettura (dispositivo c.d. chiave-serratura) nel senso che una parte della protezione sta nelle informazioni inserite nel supporto – videogioco originale, mentre l’altra parte e’ inglobata nella consolle.

6.3. Tale opzione ermeneutica conserva tutt’oggi validita’ e ad essa va data continuita’, trovando conferma nella citata sentenza della Corte di Giustizia che, pronunciandosi su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Milano, ha affermato il principio secondo cui “la direttiva 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 maggio 2001, sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nelle societa’ dell’informazione, deve essere interpretata nel senso che la nozione di “efficace misura tecnologica”, ai sensi dell’articolo 6 par. 3 di tale direttiva, puo’ comprendere misure tecnologiche dirette prevalentemente ad equipaggiare con un dispositivo di riconoscimento non solo il supporto che contiene l’opera protetta, come gioco, al fine di proteggerla da atti non autorizzati dal titolare di un diritto d’autore, ma altresi’ le apparecchiature portatili, le consolle destinate a garantire l’accesso a tali giochi e la loro utilizzazione”.

6.4. Da qui l’insussistenza dei presupposti per rimettere la decisione alle Sezioni Unite, in assenza di contrasto giurisprudenziale, e in presenza di interpretazione conforme del diritto interno, da parte del giudice nazionale, alle norme dei trattati, come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di giustizia, e in particolare secondo l’interpretazione data dalla Corte di cassazione alla norma – L. n. 633 del 1941, articolo 171-ter, comma 1, lettera f) bis, di cui si controverte l’applicazione nel caso concreto.

7. Quanto al primo motivo di ricorso con cui i ricorrenti deducono il vizio di motivazione per essere la motivazione meramente apparente/assente, esso appare manifestamente infondato.

Deve rammentarsi che, quanto alla nozione di motivazione apparente la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato il principio che essa e’ ravvisabile “soltanto quando sia del tutto avulsa dalle risultanze processuali o si avvalga di argomentazioni di puro genere o di asserzioni apodittiche o di proposizioni prive di efficacia dimostrativa, cioe’, in tutti i casi in cui il ragionamento espresso dal giudice a sostegno della decisione adottata sia soltanto fittizio e percio’ sostanzialmente inesistente”. (cosi’ di recente Sez. 5, n. 9677 del 14.7.2014, P.G. in proc. Vassallo, Rv. 263100; idem n. 24862 del 19.5.2010, Mastrogiovanni, Rv. 247682). Rientra, quindi, nei poteri del giudice di legittimita’, come affermato dal condivisibile orientamento della giurisprudenza di questa Corte, la verifica che la motivazione della pronuncia sia “effettiva” in quanto realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata (v. tra le tante Sez. 1, n. 10.7.2007 n. 34974).

Peraltro, deve, altresi’, rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicche’ e’ possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).

Il principio va riaffermato e condiviso, con la precisazione che l’integrazione delle motivazioni e’ ammissibile, nel caso in esame, per avere la Corte d’appello ripercorso (pag. 1-2-), sulla base dell’appello, l’iter motivazionale per verificarne la coerenza e la tenuta con il compendio probatorio (Sez. 2, n. 30838 del 10/03/2013, Rv 257056) ed aver esaminato le censure svolte.

Cio’ premesso, la censura si appalesa del tutto infondata avendo la corte territoriale affrontato tutte le questioni poste dai ricorrenti nell’atto di appello (pag. 6 e ss.), disattendendole puntualmente secondo un ragionamento logico idoneo a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata e verificare la tenuta logica della motivazione stessa. La censura e’, in definitiva, manifestamente infondata.

8. La doglianza sollevata nel terzo motivo di ricorso e’, parimenti, manifestamente infondata. L’insussistenza dei presupposti per la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, per l’effettuazione di una perizia, e’ congruamente motivata con richiamo per relationem alla sentenza del Tribunale che aveva escluso la necessita’ dell’espletamento dell’accertamento tecnico (pag. 5) sul rilievo che, nel caso in esame, gli apparati sono progettati, costruiti e messi in commercio con finalita’ diretta e prevalente di eludere le misure di protezione, sicche’ l’indagine sulla proporzionalita’ della misure, indagine richiesta dalla sentenza della Corte di Giustizia, doveva ritenersi “inattuabile” nel caso concreto alla luce della finalita’ per la quale erano progettati e messi in commercio di apparecchi in questione. La valutazione del giudice di appello sulla non indispensabilita’ della perizia in quanto logicamente e congruamente motivata, e’ incensurabile in cassazione, in quanto costituente giudizio di fatto (Sez. 2, n. 36630 del 15/05/2013, Bommarito, Rv. 257062).

9. Anche la censura sollevata nel quarto motivo di ricorso e’ manifestamente infondata poiche’ meramente ripetitiva delle stesse questioni gia’ devolute in appello e da quei giudici correttamente disattese.

Quanto al dubbio di legittimita’ costituzionale dell’articolo 171-ter, lettera f) bis e dell’articolo 102-quater cit., quale norma integratrice della legge penale, pacifica la rilevanza della questione nel caso in scrutinio, atteso il carattere incidentale del giudizio di legittimita’ costituzionale per cui il giudice a quo deve in primo luogo verificare che il giudizio alla sua attenzione “non possa essere definito indipendentemente dalla risoluzione della questione di legittimita’ costituzionale” (c.d. “rilevanza”), rileva il Collegio la manifesta infondatezza. E cio’ sul rilievo che il disposto di cui all’articolo 102-quater cit. prevede che “I titolari di diritti d’autore e di diritti connessi nonche’ del diritto di cui all’articolo 102-bis, comma 3, possono apporre sulle opere o sui materiali protetti misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti” e dunque, consente esso stesso che il dispositivo di protezione sia posto anche su dispositivi, componenti e dunque anche sull’hardware, sicche’ l’interpretazione del diritto interno in modo conforme alle norme dei trattati, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia, non costituisce una estensione in malam partem della fattispecie incriminatrice e non viola l’articolo 25 Cost., comma 2.

10. Infine, anche l’ultimo motivo di ricorso e’ manifestamente infondato. I giudici del merito hanno congruamente disatteso la doglianza devoluta nei motivi di appello sulla ricorrenza della buona fede in capo ai ricorrenti, con motivazione congrua e immune da profili di illogicita’, sul rilievo che i ricorrenti avevano subito nel corso degli anni numerose perquisizioni e sequestri, sicche’ non era invocabile la buona fede, e poi ricordato la circostanza che dalle schede stampate dal sito internet della societa’ del (OMISSIS), al punto riguardante la modalita’ di spedizione della consolle “viene raccomandato di imballare l’apparecchio per la modifica nella scatola originale e di coprirla con della carta da pacchi in modo da non far trasparire il contenuto”, situazione all’evidenza dimostrativa della consapevolezza e dunque dell’elemento soggettivo.

11. Va ricordato che, nella consolidata interpretazione di questa Corte, un ricorso per cassazione inammissibile, per manifesta infondatezza dei motivi o per altra ragione, “non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilita’ di rilevare e dichiarare le cause di non punibilita’ a norma dell’articolo 129 c.p.p.” (Sez. 2, n. 28848 del 08/05/2013, Ciaffoni, Rv. 256463, Sez. U, n. 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv 217266; Sez. 4, n. 18641 del 20/01/2004, Tricomi) cosicche’ e’ preclusa la dichiarazione di prescrizione del reato maturata, dopo la pronuncia della sentenza (da ultimo Sez. 5, n. 15599 del 19/11/2014, Zagarella, Rv. 263119).

12. I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili e i ricorrenti devono essere condannati al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p.. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

13. I ricorrenti devono, inoltre, essere condannati alla rifusione delle spese del grado in favore delle costituite parti civili (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute: dalla parte civile (OMISSIS) che liquida in Euro 3.300,00 oltre spese generali e accessori come per legge, dalle parti civili (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) che liquida in complessivi Euro 5.280,00 oltre spese generali e accessori come per legge, (OMISSIS) che liquida in Euro 3.300,00 oltre spese generali e accessori come per legge.

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