Corte di Cassazione, sezione III civile, sentenza 28 febbraio 2017, n. 5039

L’affinità tra l’attività esercitata nell’immobile locato dal conduttore uscente e quella intrapresa dal conduttore entrante, va accertata non già in base al contenuto oggettivo dei servizi o prodotti offerti al pubblico, ma in base all’astratta idoneità dell’attività a intercettare anche solo in parte la clientela dell’attività uscente

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Suprema Corte di Cassazione

sezione III civile

sentenza 28 febbraio 2017, n. 5039

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10781/2015 proposto da:

(OMISSIS) SRL, in persona del direttore generale e procuratore speciale Dott.ssa (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SNC, in persona del suo legale rappresentante pro tempore (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS) giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 6327/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/10/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 20/12/2016 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Nel 2007 la societa’ (OMISSIS) s.r.l. (d’ora innanzi, per brevita’, “la (OMISSIS)”) convenne dinanzi al Tribunale di Roma la societa’ (OMISSIS) s.n.c. (d’ora innanzi, per brevita’, ” (OMISSIS)”), deducendo:

-) di avere condotto in locazione, ad uso commerciale, un immobile di proprieta’ della (OMISSIS), sito in (OMISSIS);

-) che l’immobile era destinato alla vendita al dettaglio di abbigliamento femminile;

-) che il contratto di locazione stipulato tra la (OMISSIS) e (OMISSIS) si era risolto consensualmente, per effetto di transazione, il 30.11.2005;

-) che un mese dopo la cessazione della locazione l’immobile venne locato dalla (OMISSIS) alla societa’ (OMISSIS) s.p.a., che inizio’ ad esercitarvi una attivita’ affine a quella svolta dalla (OMISSIS), ovvero la vendita di abbigliamento femminile.

Chiese pertanto la condanna della convenuta al pagamento dell’indennita’ prevista dalla L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 34, comma 2, per l’ipotesi di adibizione dell’immobile alla medesima attivita’ svolta dal conduttore uscente.

2. (OMISSIS) si costitui’ e, per quanto qui ancora rileva, eccepi’:

-) di avere locato l’immobile di via (OMISSIS), dopo l’uscita della (OMISSIS), non alla (OMISSIS), ma alla societa’ (OMISSIS) s.r.l., che vendeva oggetti per la casa e non abbigliamento;

-) essere trascorso piu’ d’un anno tra lo scioglimento del contratto stipulato con la (OMISSIS), e l’adibizione dell’immobile alla medesima attivita’ svoltavi dal conduttore uscente;

-) in ogni caso, che il conduttore uscente e la (OMISSIS) non esercitavano attivita’ affini.

3. Con sentenza 28.4.2008 n. 6021 il Tribunale di Roma rigetto’ la domanda della (OMISSIS), sul presupposto che:

-) non vi era prova che l’immobile, dopo la cessazione della locazione con la (OMISSIS), fosse stato adibito alla stessa attivita’ svoltavi dal conduttore uscente;

-) in ogni caso non vi era prova che cio’ fosse avvenuto per volonta’ del locatore.

4. La sentenza venne appellata dalla societa’ (OMISSIS).

La Corte d’appello di Roma, con sentenza 22.10.2014 n. 6327 rigetto’ il gravame.

A fondamento della propria decisione la Corte d’appello pose le seguenti considerazioni:

(a) la L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, subordina il diritto al pagamento dell’indennita’ ivi prevista allo svolgimento, da parte del conduttore “entrante”, di una attivita’ inclusa nella medesima “tabella merceologica” nella quale era inclusa l’attivita’ svolta dal conduttore “uscente”;

(b) tale requisito tuttavia e’ venuto meno per effetto dell’abrogazione delle tabelle merceologiche, disposta dal Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114;

(c) per effetto di tale abrogazione, il presupposto del diritto al pagamento dell’indennita’ di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, va individuato nello svolgimento, da parte del conduttore “entrante”, di un’attivita’ “idonea ad intercettare la clientela del conduttore uscente”.

Cio’ premesso in iure, la Corte d’appello ha ritenuto in facto che l’attivita’ svolta dalla societa’ (OMISSIS), conduttore entrante, non fosse idonea ad “intercettare” la clientela che costituiva l’avviamento dell’attivita’ svolta dalla della societa’ (OMISSIS), conduttore uscente: e cio’ in quanto doveva ritenersi “notorio” ex articolo 115 c.p.c., che la societa’ (OMISSIS) vendesse capi di abbigliamento di tipo diverso da quelli venduti dalla (OMISSIS), e destinati ad una utenza di gusto dissimile da quella interessata all’acquisto dei capi di abbigliamento venduti dalla societa’ (OMISSIS).

5. La sentenza d’appello e’ stata impugnata per cassazione dalla (OMISSIS), con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

Ha resistito con controricorso (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Questioni preliminari.

1.1. Va esaminata preliminarmente, ai sensi dell’articolo 276 c.p.c., comma 2, l’eccezione di giudicato sollevata dalla (OMISSIS).

Ha sostenuto infatti la controricorrente che nel presente giudizio si sarebbe formato il giudicato interno sulla mancanza di prova che l’attivita’ “affine” a quella del conduttore uscente, svolta nei locali della (OMISSIS) dal conduttore entrante, sia iniziata entro l’anno dalla cessazione della locazione precedente.

1.2. L’eccezione e’ infondata.

Il Tribunale di Roma, in esito al giudizio di primo grado, ritenne in iure che il termine annuale di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, decorresse dalla cessazione di fatto dell’attivita’, e non dalla data di scioglimento del contratto.

Ha, quindi, accertato in facto che la (OMISSIS) cesso’ l’attivita’ il 30.11.2005, e che il contratto col nuovo conduttore venne stipulato il 1.12.2005 (cosi’ la sentenza di primo grado, p. 10).

Tale statuizione non e’ stata impugnata dalla (OMISSIS), e quindi se c’e’ un giudicato sulla questione del rispetto del termine annuale, esso e’ sfavorevole alla controricorrente.

2. Ordine delle questioni.

2.1. Il secondo motivo del ricorso va esaminato per primo, anche in questo caso in applicazione della regola dettata dall’articolo 276 c.p.c., comma 2.

Con questo motivo, infatti, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha interpretato la L. n. 392 del 1978, articolo 34, ritenendo che la diversita’ dello stile dei capi di vestiario venduti dal conduttore entrante, rispetto a quelli venduti dal conduttore uscente, fosse requisito di per se’ sufficiente ad escludere il diritto all’indennita’ di cui all’articolo 34, comma 2, L. cit..

Col primo motivo di ricorso, invece, la ricorrente censura la sentenza di merito nella parte in cui ha ritenuto “notorio”, ex articolo 115 c.p.c., che i capi di vestiario venduti dalla societa’ (OMISSIS) siano di tipo diverso, e si rivolgano ad un pubblico di esigenze diverse, rispetto a quelli venduti dalla societa’ (OMISSIS).

E’ infatti evidente che, se fosse erroneo il presupposto interpretativo su cui la Corte d’appello ha fondato la sua decisione, diverrebbe ultroneo stabilire se sia stata fatto corretta applicazione del concetto di “notorio”.

3. Il secondo motivo di ricorso.

3.1. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione degli articoli 12 e 15 preleggi; L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

La Corte d’appello – sostiene la ricorrente – ha ritenuto che per stabilire se il conduttore entrante eserciti o meno un’attivita’ affine a quella svolta dal conduttore uscente, dopo l’abrogazione delle tabelle merceologiche l’unico criterio richiesto dalla L. n. 392 del 1978, articolo 34, e’ quello della “affinita’”, criterio che e’ stato escluso per il solo fatto che i prodotti venduti dalle due imprese succedutesi nella locazione fossero identici per genere (abbigliamento), ma diversi per specie (foggia e taglie).

Tuttavia – prosegue la (OMISSIS) – questa interpretazione della L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, e’ erronea sotto diversi profili:

(a) sia perche’ la L. n. 392 del 1978, articolo 34, la’ dove richiama le “tabelle merceologiche” di cui all’abrogata L. 11 giugno 1971, n. 426, compie una relatio perfecta o rinvio recettizio alla norma richiamata: con la conseguenza che le successive modifiche di quest’ultima non riverberano effetti sulla norma richiamante, nel cui nucleo precettivo la norma richiamata si e’ “cristallizzata”; di conseguenza, l'”affinita’” richiesta dalla legge sussiste non solo nel caso di vendita di prodotti identici, ma anche nel caso di vendita di prodotti rientranti nella medesima tabella merceologica, come nel caso di specie;

(b) sia perche’ accordare il diritto all’indennita’ solo nel caso di vendita di prodotti della medesima foggia e stile restringerebbe l’ambito applicativo della norma sin quasi ad annullarlo, giacche’ qualsiasi esercizio commerciale vende prodotti di marchio o di gusto diversi da quelli degli altri.

3.2. Il motivo e’ fondato.

La L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 34, comma 2, attribuisce al conduttore uscente il diritto al pagamento, da parte del locatore, di una indennita’ pari a 18 mensilita’ dell’ultimo canone corrisposto, quando ricorrano due presupposti: uno indefettibile, il secondo alternativo.

Il presupposto indefettibile e’ che la nuova attivita’ sia iniziata entro l’anno dalla cessazione della precedente attivita’.

Il presupposto alternativo e’ che la nuova attivita’:

(a) o sia identica a quella gia’ esercitata dal conduttore uscente; oppure, in alternativa;

(b) sia inclusa nella medesima “tabella merceologica” in cui rientrava l’attivita’ svolta dal conduttore uscente, e sia a quella “affine”.

Quando, dunque, la nuova attivita’ non sia esattamente coincidente con quella svolta dal conduttore uscente, sono due i requisiti richiesti dalla legge perche’ sorga il diritto all’indennita’: l’inclusione nella medesima tabella merceologica delle due attivita’ (quella entrante e quella uscente), e la loro affinita’ (principio pacifico e risalente: cosi’ gia’ Sez. 3, Sentenza n. 4225 del 20/10/1989, Rv. 463902).

3.3. Nel caso di specie il gravame proposto dalla (OMISSIS) chiamava la Corte d’appello di Roma a risolvere due questioni di diritto:

(a) se il requisito della “identita’ di tabella merceologica” fosse venuto meno dopo l’abrogazione delle norme che prevedevano le suddette tabelle, ai fini della disciplina amministrativa del commercio;

(b) se potessero ritenersi “non affini” attivita’ rientranti nella medesima tabella merceologica ed aventi ad oggetto la vendita di prodotti della medesima natura, ma di foggia e gusto differente.

Ad ambedue i quesiti la Corte d’appello ha dato risposta positiva, ed ha di conseguenza concluso che l’indennita’ non spettasse, a causa della diversita’ dei prodotti venduti e della diversita’ di clientela cui essi si rivolgevano. Questa interpretazione della L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, non e’ corretta.

3.4. Non corretta, in primo luogo, e’ l’affermazione secondo cui l’abolizione delle tabelle merceologiche avrebbe apportato una modifica non testuale alla L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2.

Le “tabelle merceologiche” vennero introdotte nel nostro ordinamento dalla L. 11 giugno 1971, n. 426, articolo 37 (“Disciplina del commercio”).

Quella legge subordinava il lecito esercizio delle attivita’ commerciali all’iscrizione in un apposito registro, e stabiliva che l’autorizzazione all’esercizio del commercio fosse valida per tutte le attivita’ rientranti nella medesima categoria, prevista giustappunto dalle tabelle.

Le singole tabelle vennero approvate, in esecuzione della delega prevista dall’articolo 37 L. cit., dal Decreto Ministeriale 30 agosto 1971, (in Gazz. Uff., 6 settembre, n. 224).

Le tabelle approvate dal Decreto Ministeriale 30 agosto 1971, vennero, in seguito, abrogate dal Decreto Ministeriale 4 agosto 1988, n. 375, articolo 62, e sostituite da quelle di cui all’Allegato 5 al medesimo decreto.

Anche queste ultime, infine, sono state abrogate dal Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, articolo 26, comma 6.

3.5. La L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, come gia’ detto subordina il pagamento dell’indennita’ ivi prevista al presupposto che l’attivita’ svolta dal conduttore entrante, e quella svolta dal conduttore uscente, fossero non solo affini, ma anche “incluse nella medesima tabella merceologica”.

La L. n. 392 del 1978, articolo 34, pertanto, all’epoca in cui fu emanato conteneva un rinvio al Decreto Ministeriale 30 agosto 1971.

Il rinvio da una norma ad un’altra puo’ essere di due tipi: formale (o “mobile”, o “non recettizio”) e materiale (o “fisso”, o “recettizio”).

Sul piano degli effetti, il rinvio recettizio si distingue dal rinvio non recettizio perche’ nel primo caso la norma richiamante incorpora la norma richiamata, restando insensibile ai successivi mutamenti di questa.

Nel caso di rinvio non recettizio, invece, la norma richiamante non assorbe quella richiamata, di talche’ tutte le successive modifiche di quest’ultima, come pure la sua abrogazione, riverbereranno effetti sulla norma richiamante.

Sul piano dell’interpretazione, il rinvio recettizio si distingue da quello non recettizio perche’ il primo e’ sempre un rinvio ad una norma o ad una disposizione. Il rinvio non recettizio, invece, e’ sempre un rinvio ad un tipo di fonte (ad es., al diritto internazionale, alla consuetudine, alla legge ordinaria).

3.6. Nel nostro caso, la L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, col sintagma “tabelle merceologiche” rinvia ad una disposizione precisa ed inconfondibile, ovvero l’elenco contenuto nel Decreto Ministeriale 30 agosto 1971. Il nostro ordinamento, infatti, non contemplava all’epoca altri atti definiti “tabelle merceologiche”, se non quelle di cui al suddetto decreto.

Pertanto il rinvio a queste ultime, contenuto nella L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, va inteso come rinvio recettizio alla singola disposizione che prevedeva queste tabelle.

La disposizione richiamata, che per effetto del rinvio e’ stata recepita e cristallizzata all’interno della norma richiamante, e’ venuta in tal modo a formare parte integrante di quest’ultima, con la conseguenza che sulla portata precettiva dell’articolo 34, comma 2, L. 392/78 non hanno prodotti effetti ne’ l’approvazione delle nuove tabelle merceologiche di cui all’Allegato n. 5 al Decreto Ministeriale 4 agosto 1988, n. 375, ne’ la successiva abrogazione anche di quest’ultimo decreto.

Non la prima, perche’ anche a prescindere da qualsiasi considerazione circa la natura del rinvio (recettizio o non recettizio) contenuto nella L. n. 392 del 1978, articolo 34, le tabelle merceologiche allegate al Decreto Ministeriale n. 375 del 1998, per quanto riguarda la vendita di prodotti di abbigliamento, contenevano una previsione identica ad litteram a quella contenuta nelle previgenti tabelle del 1971 (ovvero il § IX: “articoli di vestiario confezionati di qualunque tipo e pregio, compresi quelli di maglieria esterna e di camiceria”).

Non la seconda, perche’ per quanto gia’ detto la L. n. 392 del 1978, articolo 34, contiene un rinvio recettizio alle tabelle merceologiche previste dal Decreto Ministeriale 30 agosto 1971, che lo ha reso insensibile alla successiva abrogazione di queste ultime.

Ancor oggi, pertanto, l’indennita’ di cui alla L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, resta dovuta se:

(a) il conduttore uscente e quello entrante hanno esercitato nell’immobile locato attivita’ che, pur non essendo identiche, rientrano nella medesima tabella merceologica;

(b) l’attivita’ iniziata dal conduttore entrante e’ “affine” a quella precedentemente svolta nel medesimo immobile dal conduttore uscente, costituendo l’appartenenza alla medesima tabella merceologica il “perimetro” entro il quale va ricondotta la valutazione dell'”affinita’”.

Il requisito sub (a), nel nostro caso, era soddisfatto, in quanto la (OMISSIS) e la (OMISSIS) vendevano nell’immobile di via (OMISSIS) capi di vestiario, rientranti nel paragrafo IX della Tabella allegata al Decreto Ministeriale 30 agosto 1971, il quale riuniva nel medesimo gruppo gli “articoli di vestiario confezionati di qualunque tipo e pregio”.

3.6. Il secondo requisito richiesto dalla L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, perche’ il conduttore uscente acquisti il diritto all’indennita’ ivi prevista, e’ che l’attivita’ da lui svolta nell’immobile locato, oltre a rientrare nella medesima tabella merceologica, fosse stata anche “affine” a quella ivi intrapresa dal conduttore entrante.

Il concetto di “affinita’” richiesto dalla L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, ovviamente non puo’ coincidere con quello di “identita’”, altrimenti la norma sarebbe inutile: che l’indennita’ spetti nel caso di identita’ tra l’attivita’ svolta dal conduttore uscente quella svolta dal conduttore entrante e’ infatti gia’ previsto dal primo periodo dell’articolo 34, comma 2, L. cit..

Per spiegare il concetto di “affinita’” tra le attivita’ svolte nel medesimo immobile da due conduttori successivi occorre prendere le mosse dalla genesi e dalla ratio dell’articolo 34 L. cit., come correttamente intuito dalla Corte d’appello, sebbene sia poi pervenuta a conclusioni non condivisibili.

3.6.1. Il diritto del conduttore d’un immobile ad uso commerciale ad una indennita’ allo scadere della locazione fu introdotto nel nostro ordinamento in limiti assai ristretti dalla L. 23 maggio 1950, n. 253, articolo 4, comma 1, n. 1. Tale norma prevedeva il diritto del conduttore ad un “congruo compenso” solo se l’immobile, dopo la scadenza della locazione, fosse stato adibito dal locatore allo svolgimento della propria attivita’ professionale, identica a quella gia’ esercitata dal conduttore. La legge soggiungeva che tale “congruo compenso” fosse dovuto solo se il conduttore avesse provato che il locatore si era avvantaggiato dell’avviamento creato dall’opera del conduttore.

Tali ristretti limiti furono in seguito allargati dalla L. 27 gennaio 1963, n. 19, articolo 4: tale norma attribui’ al conduttore uscente il “diritto di essere compensato dal locatore per la perdita dell’avviamento che l’azienda subisca in conseguenza di tale cessazione nella misura dell’utilita’ che ne puo’ derivare al locatore, e comunque nel limite massimo di trenta mensilita’ del canone di affitto che l’immobile puo’ rendere secondo i prezzi correnti di mercato per i locali aventi le stesse caratteristiche”.

Un ulteriore ampliamento della tutela del conduttore, infine, fu realizzato dalla L. n. 392 del 1978, articolo 34, il quale ha introdotto due diversi tipi di indennita’ del conduttore: l’indennita’ “normale” e quella “ulteriore”.

L’indennita’ “normale” e’ prevista dall’articolo 34, comma 1: e’ una indennita’ dovuta sempre e comunque, volta ad indennizzare la perdita dell’avviamento del conduttore, che l’ordinamento presume juris et de jure (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 11245 del 21/11/1990, Rv. 469851).

L’indennita’ “ulteriore” e’ prevista dall’articolo 34, comma 2. Essa non ha una funzione indennitaria, ma compensatrice. Non vuole indennizzare un danno (presunto), ma evitare un ingiustificato arricchimento (temuto). Il legislatore ha infatti ritenuto che, secondo l’id quod plerumque accidit, la prosecuzione nello stesso locale d’una attivita’ identica a quella precedentemente esercitata, ovvero a quella affine e rientrante nella medesima tabella merceologica, fosse di per se’ idonea a determinare a vantaggio del nuovo esercente il subentro in un avviamento in atto, mediante l’acquisizione della clientela che al locale affluiva (principio pacifico: ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 11378 del 16/05/2006, Rv. 589810; Sez. 3, Sentenza n. 3779 del 25/08/1989, Rv. 463685; nello stesso senso Corte cost., 30/01/2002 n. 2, ove si afferma che l’indennita’ in questione “mira a riequilibrare il rapporto in considerazione dell’effettivo arricchimento del locatore per la destinazione dell’immobile alla stessa attivita’ o ad attivita’ analoga a quella dismessa dal conduttore”).

3.6.2. La breve disamina che precede dimostra che:

(a) l’evoluzione del quadro normativo in tema di locazioni commerciali e’ caratterizzata da un progressivo rafforzamento della tutela del conduttore, sicche’ sarebbe contraria al canone ermeneutico dell’interpretazione storica una scelta che interpretativa che, invece, indebolisse tale posizione;

(b) il legislatore e’ passato da un sistema nel quale era il conduttore uscente a dover provare di avere patito un pregiudizio all’avviamento commerciale, ad un sistema nel quale tale pregiudizio e’ presunto in via generale ed astratta, e senza possibilita’ di prova contraria;

(c) alla prova del pregiudizio patito dal conduttore uscente il legislatore ha sostituito la diversa prova della affinita’ delle attivita’ rientranti nella medesima tabella merceologica, succedutesi all’interno dell’immobile locato: data tale prova, l’arricchimento del locatore e’ presunto juris et de jure.

Se dunque son questi i presupposti della L. n. 392 del 1978, articolo 34, comma 2, per i fini in esso previsti l'”affinita’” tra due attivita’ commerciali deve ritenersi sussistente in tutti i casi in cui l’attivita’ esercitata dal conduttore entrante possa teoricamente avvantaggiarsi dell’avviamento sviluppato dal conduttore uscente.

Il giudizio di “affinita’” non postula affatto una “sovrapponibilita’” delle clientele, come opinato la Corte territoriale; pertanto va formulato, nell’ambito di attivita’ facenti riferimento alla medesima tabella merceologica, non in base al contenuto oggettivo dell’attivita’ svolta, ma in base all’idoneita’ della nuova attivita’ a sottrarre clientela – anche solo in parte alla vecchia, se posa ritenersi che questa preferira’ frequentare il nuovo esercizio, piuttosto che inseguire il vecchio nella sua nuova collocazione. Cosi’, ad esempio, una orologeria non vende gioielli, ma puo’ intercettare una porzione della clientela di una preesistente gioielleria esercitata nel medesimo locale; e parimenti una pizzeria non vende hamburger, ma puo’ intercettare una porzione della clientela di un preesistente “pub”.

3.7. La Corte d’appello di Roma non ha osservato questi principi.

Essa ha infatti ritenuto che il conduttore entrante e quello uscente non svolgessero attivita’ “affini”, sul presupposto che il primo vendesse abbigliamento femminile “giovane e moderno poco adatto alle taglie forti”, mentre il secondo offriva abbigliamento femminile “di tendenza ma di nicchia, perche’ si rivolge a donne che (…) indossano taglie comode”. Da cio’ ha tratto la conclusione che la clientela dell’uno e dell’altro commerciante non fossero sovrapponibili.

Cosi’ decidendo, pero’, la Corte d’appello ha errato non gia’ nell’accertare in facto se le attivita’ svolte dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) fossero affini (il che costituisce un giudizio di merito non sindacabile in questa sede), ma ha errato nell’individuare in iure i criteri con cui compiere il giudizio di affinita’. Dire, infatti, che se gli abiti offerti in vendita da due attivita’ commerciali sono diversi per foggia o taglia, quelle attivita’ hanno necessariamente clientele diverse, significa far dipendere l'”affinita’” tra le attivita’ svolte dal conduttore entrante e da quello uscente dal loro contenuto oggettivo, falsamente applicando l’articolo 34, comma 2, L. cit..

Il criterio di valutazione dell’affinita’ doveva essere invece invertito: non gia’ partire dalla diversita’ dei beni offerti per supporre che anche le clientele dei due esercizi commerciali lo fossero; ma al contrario accertare in concreto se esistesse un rischio di confondibilita’ anche solo parziale delle clientele (e quindi se una signora acquirente di abiti “Alfa” possa teoricamente decidere un giorno di provare anche gli abiti “Beta”), rispetto al quale la foggia o la taglia degli abiti offerti in vendita non possono essere altro che meri indizi.

4. Il primo motivo di ricorso.

4.1. Col primo motivo di ricorso la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata sarebbe affetta sia da un vizio di violazione di legge, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, (si lamenta, in particolare, la violazione dell’articolo 115 c.p.c.); sia dal vizio di omesso esame d’un fatto decisivo e controverso, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, (nel testo modificato dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, convertito nella L. 7 agosto 2012, n. 134).

Deduce che la Corte d’appello ha ritenuto che l’attivita’ svolta dalla (OMISSIS) e quella svolta dalla (OMISSIS) nel negozio di via del corso non fossero “affini”, e l’ha fatto ritenendo “notorio” ex articolo 115 c.p.c., che i capi di vestiario commercializzati dalle due firme si rivolgessero a clientele di gusti differenti. In questo modo – prosegue la ricorrente – la Corte d’appello ha tuttavia violato l’articolo 115 c.p.c., perche’ non puo’ ritenersi “fatto notorio” quali siano i bacini di utenza di due firme della moda, ne’ i gusti del pubblico.

4.2. Il motivo resta assorbito dall’accoglimento del primo motivo di ricorso.

5. I principi di diritto.

5.1. La sentenza va dunque cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, la quale nel riesaminare la controversia si atterra’ ai seguenti principi di diritto:

(A) Il rinvio alle “tabelle merceologiche”, contenuto nella L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 34, comma 2, e’ un rinvio recettizio alla tabella di cui al Decreto Ministeriale 30 agosto 1971, la quale e’ pertanto divenuta parte integrante della suddetta L. n. 392 del 1978, articolo 34. Ne consegue che ne’ la novazione della fonte normativa (le suddette tabelle vennero infatti abrogate e riproposte, con contenuto identico, dal Decreto Ministeriale 4 agosto 1988, n. 375), ne’ la sua successiva abrogazione disposta dal Decreto Legislativo 31 marzo 1998, n. 114, hanno avuto effetti sulla disciplina dell’indennita’ dovuta al conduttore uscente ai sensi dell’articolo 34, comma 2, L. cit..

(B) La “affinita’” tra l’attivita’ esercitata nell’immobile locato dal conduttore uscente, e quella intrapresavi dal conduttore entrante, va accertata non gia’ in base al contenuto oggettivo dei servizi o prodotti offerti al pubblico, ma in base alla astratta idoneita’ dell’attivita’ entrante ad intercettare anche solo in parte la clientela dell’attivita’ uscente. Viola, pertanto, la L. 27 luglio 1978, n. 392, articolo 34, comma 2, il giudice che escluda la suddetta affinita’ per il solo fatto che il conduttore uscente e quello entrante vendano beni della stessa natura, ma di foggia, stile o marchio diversi.

6. Le spese.

Le spese del presente grado di giudizio saranno liquidate dal giudice del rinvio.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) accoglie il secondo motivo di ricorso; dichiara assorbito il primo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese

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