Le distanze tra le costruzioni - II^ edizione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 2 febbraio 2016, n. 1989

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere

Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11874/2011 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti e c/ricorrenti all’incidentale –

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);

– c/ricorrente ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 637/2010 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 16/03/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 24/11/2015 dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;

udito l’Avvocato (OMISSIS), con delega dell’Avvocato (OMISSIS) difensore dei ricorrenti, che ha chiesto l’accoglimento delle difese in atti;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del Signor (OMISSIS), che ha chiesto l’accoglimento delle difese in atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso principale e per l’accoglimento del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 27.1.1997 (OMISSIS), proprietario di un immobile nel fabbricato in via (OMISSIS), convenne davanti al Tribunale i condomini (OMISSIS) e (OMISSIS) per sentirli condannare alla riduzione in pristino e al risarcimento dei danni in relazione ad una serie di interventi lesivi dei sui diritti e il Tribunale di Padova, per quanto ancora interessa in questa sede, li condanno’ ad arretrare alcune tubazioni installate a distanza illegale dal confine delle rispettive proprieta’ rigettando invece la domanda di risarcimento danni.

La Corte d’Appello di Venezia, dopo aver disposto un supplemento di consulenza tecnica, con sentenza 22.12.2009 -16.3.2010 respinse sia l’appello principale proposto dai (OMISSIS), sia quello incidentale proposto dall’erede del (OMISSIS), (OMISSIS), osservando:

– che il supplemento di consulenza aveva permesso di accertare l’esistenza di una serie di tubazioni idriche a distanza inferiore ad un metro rispetto alla confinante proprieta’ dell’appellato;

– che, come evidenziato dal primo giudice, si trattava di muri interni e non di muri comuni, per cui non trovava applicazione la regola della inoperativita’ nel condominio della normativa sulle distanze legali, applicabile invece con riferimento alle opere eseguite sulle parti comuni;

– che sulla scorta della giurisprudenza in materia, attesi i risultati della CTU, non poteva condividersi la tesi degli appellanti secondo cui occorreva “prendere atto della inevitabilita’ dell’attuale stato di cose”;

– che gli appellanti avrebbero potuto nella ristrutturazione del loro immobile mettere a norma l’impiantistica rispettando le distanze di cui all’articolo 889 codice civile, non essendo rilevante l’onerosita’ della rimessione in pristino perche’, secondo quanto emerso dalla consulenza tecnica, i lavori avrebbero potuto essere eseguiti diversamente contemperando i reciproci interessi tra i condomini in modo tale da garantire i diritti dell’appellato, seppur non assicurando l’integrale rispetto delle distanze;

– che andava rigettato l’appello incidentale sull’omesso accoglimento della pretesa risarcitoria, perche’ la valutazione equitativa da parte del giudice presuppone comunque la prova dell’esistenza di un danno, nel caso di specie non fornita;

che comunque il danno subito viene risarcito con l’eliminazione dell’illecito tramite la disposta riduzione in pristino (peraltro anche particolarmente onerosa).

Avverso la predetta sentenza, i (OMISSIS) hanno proposto ricorso per Cassazione denunziando quattro motivi.

(OMISSIS) resiste con controricorso, proponendo, altresi’, ricorso incidentale.

I (OMISSIS) replicano con controricorso.

Le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 codice procedura civile.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1 Evidenti ragioni di priorita’ logica rendono opportuno partire dall’esame dell’eccezione di inammissibilita’ del ricorso sollevata dalla difesa del (OMISSIS) sul presupposto che l’atto di impugnazione non contiene alcuna indicazione, ne’ nell’epigrafe ne’ nel contesto dell’atto, della parte contro cui il ricorso e’ promosso.

L’eccezione e’ priva di fondamento perche’, secondo un principio piu’ volte affermato in giurisprudenza – che oggi si intende senz’altro ribadire – ai sensi dell’articolo 366 codice procedura civile, n. 1, il ricorso per cassazione e’ inammissibile solo quando ricorra un’incertezza assoluta sull’identificazione della parte ricorrente o di quella contro cui l’impugnazione e’ diretta (v. Sez. 3, Sentenza n. 19312 del 03/10/2005 Rv. 585841; Sez. 2, Sentenza n. 15793 del 11/11/2002 Rv. 558384; Sez. 1, Sentenza n. 1389 del 11/02/1994 Rv. 485285). In particolare, il requisito dell’indicazione delle parti, richiesto dall’articolo 366 codice procedura civile, n. 1, a pena di inammissibilita’ del ricorso per cassazione, deve intendersi nel senso proprio della norma generale dettata dall’articolo 163, n. 2, stesso codice, per l’atto di citazione e, pertanto, l’errore inficiante l’indicazione della parte contro cui l’impugnazione e’ rivolta non incide sulla validita’ del ricorso, quando dal contesto di questo e dal riferimento agli atti dei precedenti giudizi sia agevole identificare con certezza tale parte (cosi’ Sez. 2, Sentenza n. 15793/2002 e; Sez. 1, Sentenza n. 1389/1994 citt.).

Nel caso che ci occupa, l’ipotesi estrema che da luogo alla nullita’ dell’atto non ricorre perche’ gia’ nella prima pagina del ricorso vi e’ il riferimento alla distanza dal confine con la proprieta’ di (OMISSIS) e dal contesto dell’intero atto si evince senza alcun dubbio che solo il (OMISSIS) e’ il destinatario dell’impugnazione della sentenza (v. ad. esempio, pag. 4 ove si fa riferimento alla proposizione della domanda giudiziale da parte di costui e alla statuizione di arretramento dei tubi rispetto alla proprieta’ (OMISSIS); ancora, v. pag. 5 ove si fa riferimento all’appello proposto dai convenuti e alla costituzione dell’appellato e, ancora, alle conclusioni riportate a pag. 6; ma anche l’ulteriore contenuto dell’impugnazione non lascia adito a dubbio di sorta sull’individuazione della controparte, il che rende priva di giuridico rilievo la formalistica interpretazione del controricorrente.

1.2 Cio’ chiarito, puo’ passarsi all’esame del primo motivo del ricorso principale con cui i (OMISSIS)- (OMISSIS) lamentano violazione o falsa applicazione dell’articolo 889 codice civile, in relazione all’articolo 360 codice procedura civile, n. 3: premessa una elencazione di massime giurisprudenziali in tema di applicazione della normativa in esame nei rapporti condominiali, i ricorrenti richiamano il concetto di “indispensabilita’ ” degli impianti rimproverando alla Corte d’Appello di Venezia di essere giunta a risultati del tutto opposti rispetto ai principi richiamati; respingono l’affermazione della Corte veneta sul comportamento “poco rispettoso” della proprieta’ altrui ed osservano che i criteri per la sussistenza della deroga all’applicazione dell’articolo 889 cc debbono essere oggettivi, a prescindere al comportamento soggettivo del condominio.

Il motivo e’ infondato.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, che qui si intende ribadire, in materia condominiale, le norme relative ai rapporti di vicinato, tra cui quella dell’articolo 889 codice civile, trovano applicazione rispetto alle singole unita’ immobiliari soltanto in quanto compatibili con la concreta struttura dell’edificio e con la particolare natura dei diritti e delle facolta’ dei singoli proprietari; pertanto, qualora esse siano invocate in un giudizio tra condomini, il giudice di merito e’ tenuto ad accertare se la loro rigorosa osservanza non sia nel caso irragionevole, considerando che la coesistenza di piu’ appartamenti in un unico edificio implica di per se’ il contemperamento dei vari interessi al fine dell’ordinato svolgersi di quella convivenza che e’ propria dei rapporti condominiali (tra le varie, Sez. 2, Sentenza n. 12520 del 21/05/2010 Rv. 613141; Sez. 2, Sentenza n. 16958 del 25/07/2006 Rv. 591489; Sez. 2, Sentenza n. 139 del 19/01/1985 Rv. 438337).

Nell’affermare tale principio, questa Corte ha altresi’ precisato che, anche con riferimento ai tubi dell’impianto di riscaldamento di edifici condominiali, l’applicabilita’ dell’articolo 889 codice civile, e’ derogabile solo per incompatibilita’ dell’osservanza della distanza ivi indicata con la struttura stessa di tali edifici: v. Sez. 2, Sentenza n. 13852 del 09/11/2001 Rv. 550113).

Ebbene, nel caso di specie la Corte d’Appello ha affermato che e’ possibile una diversa collocazione delle tubazioni nel rispetto dell’articolo 889 codice civile, anche se, come affermato dal CTU, cio’ comporta il rifacimento dell’impiantistica ed ha osservato in proposito che il CTU aveva prospettato alcune ipotesi certamente fattibili, indicate a pagg. 7 e 8 del supplemento (v. pag. 7 sentenza impugnata). La Corte d’Appello ha quindi rilevato che in sede di ristrutturazione dell’immobile gli appellanti avrebbero potuto mettere a norma l’impiantistica rispettando sostanzialmente le distanze di cui all’articolo 889 codice civile, (pagg. 10 e 11).

Una tale affermazione, frutto di un tipico accertamento in fatto da parte del giudice di merito, appare del tutto in linea col predetto principio, perche’ spiega adeguatamente le ragioni per cui non e’ possibile derogare alla regola generale del rispetto delle distanze anche nei rapporti tra condomini (ragioni fondate sulla ritenuta compatibilita’ dell’obbligo di rispettare le distanze con la struttura dell’edificio, e sulla irrilevanza dell’onerosita’ dell’intervento).

La critica dei ricorrenti al ragionamento della Corte territoriale si risolve in un diverso apprezzamento delle suddette circostanze di fatto e sollecita al giudice di legittimita’ una valutazione che esula dai limiti del giudizio di cassazione.

2 Con il secondo motivo del ricorso principale i ricorrenti lamentano contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 codice procedura civile, n. 5. Osservano che la sentenza da una parte condivide l’impianto ermeneutico delineato dagli stessi con riferimento all’articolo 889 codice civile, ma poi, pur non contestando “l’inevitabilita’ dell’attuale stato di cose”, non fa applicazione dei concetti prima esposti, con cio’ cadendo in una evidente aporia logico-giuridica. Secondo i ricorrenti, il ritenere ad es. indispensabili ai fini delle esigenze del moderno vivere alcuni tipi di impianti doveva portare, anche in presenza di una “inevitabilita’ ” a motivare ritenendo che quella giurisprudenza era applicabile al caso di specie, pena l’evidente contraddizione tra la premessa maggiore e la premessa minore del sillogismo, con conseguente erroneita’ della tesi.

La censura e’ inammissibile.

Il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l’individuazione della ratio decidendi, e cioe’ l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione adottata (v. Cass. 9547 del 7-22-4-2010, non massimata; Cass. 3 agosto 2007, n. 17076). Contemporaneamente, sempre alla luce di quanto non controverso in giurisprudenza, si osserva che il ricorso per cassazione – per il principio di autosufficienza (cfr. articolo 366 codice procedura civile) – deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. 17 luglio 2007, n. 15952; Cass. 13 giugno 2007, n. 13845).

Non controversi i principi che precedono, e’ palese che qualora si deduca – come nella specie – la censurabilita’ della sentenza sotto il profilo di cui all’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, per essere sorretta da una contraddittoria motivazione e’ onere del ricorrente, a pena di inammissibilita’, trascrivere, nel ricorso, le espressioni tra loro contraddittorie ossia inconciliabili contenute nella parte motiva della sentenza impugnata che si elidono a vicenda e non permettono, di conseguenza, di comprendere quale sia la ratio decidendi che sorregge la pronunzia stessa (v. Sez. 3, Sentenza n. 3248 del 02/03/2012 Rv. 622018; Sez. 3, Sentenza n. 5043 del 03/03/2009 Rv. 607648).

Ora, poiche’ nella specie parte ricorrente pur denunziando nella intestazione del motivo in esame “contraddittorieta’ della motivazione su un punto decisivo per il giudizio” si e’ astenuta nella successiva parte espositiva – dal trascrivere le proposizioni ritenute contraddittorie “rispetto all’impianto ermeneutico delineato” e’ evidente che il motivo deve essere dichiarato inammissibile.

3 Con il terzo motivo si lamenta insufficienza della motivazione su un punto decisivo per il giudizio, in relazione all’articolo 360 codice procedura civile, n. 5. Ad avviso dei ricorrenti, la Corte d’Appello, sulla scorta dei principi di diritto da essa richiamati, era tenuta ad effettuare sia la valutazione di “compatibilita’ ” sia la valutazione di “ragionevolezza” ricordate nel ricorso a pag. 12 punti c1 e c2: di tale obbligatoria motivazione non c’e’ traccia.

Anche tale censura e’ inammissibile, posto che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione denunciabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5, si configura solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire la identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Detti vizi non possono, peraltro, consistere nella difformita’ dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, perche’ spetta solo a quel giudice individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilita’ e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (Cass. 21 aprile 2006, n. 9368; Cass., 20 aprile 2006, n. 9234; Cass., 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass., 20 ottobre 2005, n. 20322). L’articolo 360, n. 5 infatti – contrariamente a quanto suppone l’attuale ricorrente – non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensi’ solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui e’ riservato l’apprezzamento dei fatti. Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si puo’ giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente e illogico, non gia’ quando il giudice abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore e un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte.

Cio’ chiarito, i ricorrenti, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, si limitano – per quanto e’ dato comprendere – a sollecitare una diversa lettura delle risultanze di causa, nel senso di una valutazione di incompatibilita’ della normativa sulle distanze e di irragionevolezza della applicazione della stessa ai rapporti tra condomini, attivita’ come gia’ esposto nella trattazione del primo motivo, preclusa in questa sede di legittimita’.

4 Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti lamentano violazione o falsa applicazione dell’articolo 2909 cc e del principio generale dell’obbligo di rispetto del giudicato anche esterno richiamando la sentenza n. 285/2007 che ha risolto inter partes lo stesso punto di diritto in senso completamente opposto a quello della sentenza qui impugnata.

Il motivo e’ infondato.

Il giudicato esterno e’ rilevabile in sede di legittimita’ a condizione che risulti da atti che siano stati acquisiti nel corso del giudizio di merito, non essendo ammissibile la loro produzione per la prima volta in cassazione, data la preclusione posta dall’articolo 372 codice procedura civile (Sez. 1, Sentenza n. 1760 del 27/01/2006 Rv. 589743). Come precisato dalle sezioni unite, il principio della rilevabilita’ in sede di legittimita’ del giudicato esterno, sempre che questo risulti dagli atti comunque prodotti nel giudizio di merito, deve essere coordinato con l’onere di completezza e autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve indicare il momento e le circostanze processuali in cui i predetti atti siano stati prodotti. (Sez. U, Sentenza n. 1416 del 27/01/2004 Rv. 569717).

Ebbene, la sentenza che oggi si invoca a sostegno dell’eccezione di giudicato, e’ stata emessa ben otto anni orsono e non e’ stata mai prodotta nei giudizi di merito. Ne’ i ricorrenti hanno fornito plausibili giustificazioni in ordine alla perdurante inerzia nell’acquisizione del provvedimento di cui essi ben dovevano essere a conoscenza (non essendo ovviamente sufficiente affermare che si e’ avuta “contezza dell’esistenza della sentenza del Tribunale di Padova n. 285/2007….solo all’atto di licenziare il ricorso per cassazione” (v. penultima pagina della memoria ex articolo 378, ove peraltro ci si rende conto dello “scarno” contenuto del motivo).

In ogni caso – e tale rilievo tronca definitivamente ogni ulteriore discussione sull’argomento – la decisione sulle tubazioni sarebbe stata emessa nei confronti di un altro soggetto, tale (OMISSIS), come si evince dallo stesso ricorso (v. pag. 2 e ss) e dunque appare del tutto fuori luogo il richiamo all’articolo 2909 codice civile, che estende il giudicato unicamente alle parti e ai loro eredi o aventi causa.

5 Resta, infine, da esaminare il ricorso incidentale, con cui il (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1223 e 2043 codice civile, in relazione all’articolo 360 codice procedura civile, nn. 3 e 5. Si rimprovera ai giudici di merito di avere aderito ad una concezione di danno risarcibile non solo irragionevolmente rigida, ma anche poco rispettosa delle tendenze evolutive della giurisprudenza piu’ accorta. Si richiama la nozione di risarcimento inteso come rappresentazione monetaria di una situazione illecita sfavorevole e lesiva (e percio’ dannosa) per colui che la subisce. Si invoca la giurisprudenza di legittimita’ che ha ravvisato nella violazione delle distanze l’esistenza di un danno in re ipsa e si conclude osservando che, se la Corte d’Appello avesse operato correttamente tali regole, avrebbe dovuto riconoscere l’effetto pregiudizievole del’altrui violazione e procedere alla quantificazione secondo il criterio di cui all’articolo 1226 codice civile.

La censura – incentrata essenzialmente sotto il profilo della violazione di norme di diritto – e’ fondata.

Secondo il piu’ recente orientamento di questa Corte, in tema di violazione delle distanze tra costruzioni previste dal codice civile e dalle norme integrative dello stesso, quali i regolamenti edilizi comunali, al proprietario confinante che lamenti tale violazione compete sia la tutela in forma specifica, finalizzata al ripristino della situazione antecedente al verificarsi dell’illecito, sia quella risarcitoria, ed il danno che egli subisce (danno conseguenza e non danno evento), essendo l’effetto, certo ed indiscutibile, dell’abusiva imposizione di una servitu’ nel proprio fondo e, quindi, della limitazione del relativo godimento, che si traduce in una diminuzione temporanea del valore della proprieta’ medesima, deve ritenersi in re ipsa, senza necessita’ di una specifica attivita’ probatoria (Sez. 2, Sentenza n. 16916 del 22.4-19.8.2015, non massimata; Sez. 2, Sentenza n. 7752 del 27/03/2013 Rv. 625902; Cass. n. 25475/2010).

Cio’ posto sull’an debeatur, va osservato che la lesione temporanea del diritto reale si presta alla liquidazione equitativa del danno non meno di ogni altra fattispecie in cui – secondo l’apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile al di fuori dei limiti dell’articolo 360 codice procedura civile, n. 5 – sia se non impossibile oltre modo problematica un’esatta quantificazione del pregiudizio sofferto dal soggetto danneggiato (v. Sez. 2, Sentenza n. 16916/2015 cit.).

Si rivela dunque giuridicamente non corretta la decisione della Corte d’Appello che, sulla scorta di una giurisprudenza riguardante la tutela risarcitoria in tutt’altra materia (danni derivanti da trasmissione di documenti), ha invece ritenuto necessaria, prima di una valutazione equitativa del danno derivante dalla violazione di distanze, la prova rigorosa della sua sussistenza da parte del danneggiato.

Come si vede, contrariamente a quanto ritenuto dai ricorrenti principali non si e’ affatto in presenza di un accertamento di merito, ma di una violazione di legge (articolo 360 codice civile, n. 3, in relazione agli articoli 1223 e 2043 codice civile) e pertanto la sentenza va cassata in relazione al ricorso incidentale con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia che riesaminera’ il tema della prova e della liquidazione del danno in materia di violazione di distanze legali attenendosi al citato principio e provvedendo anche sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso principale e, in accoglimento di quello incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta, con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Venezia che provvedera’ anche sulle spese.

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