Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 17 settembre 2015, n. 37666
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIANDANESE Franco – Presidente
Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere
Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere
Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere
Dott. RECCHIONE Sandra – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 9976/2012 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del 16/05/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/06/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Galli Massimo che ha concluso per l’inammissibilita’.
RITENUTO IN FATTO
1. Al (OMISSIS) i venivano contestati una serie di fatti di appropriazione indebita consumati mentre svolgeva la funzione di amministratore condominiale, nei confronti dei condomini amministrati. La Corte di appello di Bologna confermava la condanna dell’imputato alla pena di anni uno mesi quattro di reclusione ed euro 800 di multa e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, subordinava la concessione del beneficio della sospensione condizionale al pagamento a favore delle parti civili della provvisionale.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione direttamente l’imputato deducendo:
2.1. mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione in ordine all’elemento psicologico. Si deduceva che l’elemento psicologico del reato non poteva indursi dalle modalita’ della condotta, che doveva essere inquadrata come una mala gestio della amministrazione condominiale e non come appropriazione indebita. Si rimarcava che sebbene il denaro di spettanza condominiale risultasse trasferito sui conti personali dell’imputato e della moglie, andava considerato che alcuni debiti condominiali erano stati pagati proprio con le somme prelevate dal conto corrente dell’imputato.
2.2. Mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione con riferimento alla ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 7.
Si deduceva che la rilevanza del danno era stata illegittimamente valutata facendo riferimento all’ammontare complessivo delle somme di cui si contestava l’appropriazione, ma non al singolo condominio, ne’ tantomeno al singolo condomino. Si rilevava che il danno cagionato a ciascun condomino poteva essere stimato nell’ordine dei 400/ 500 euro.
2.3. Mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al giudizio di equivalenza tra le circostanze. Si deduceva che non era stato adeguatamente valutato il comportamento dell’imputato ed il fatto che le condotte illecite risultavano consumate in un periodo temporale circoscritto. Si rimarcava che la applicazione della pena concordata per fatti analoghi richiamata in motivazione per giustificare il bilanciamento in equivalenza non faceva riferimento a fatti protrattisi fino al dicembre 2009 (dunque due anni dopo i fatti per cui e’ giudizio), ma a fatti contestuali a quelli per cui si procede, accertati fino al dicembre 2009.
2.4.Mancanza o manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla misura della pena inflitta in continuazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ manifestamente infondato.
1.1. Il motivo di ricorso relativo alla illogicita’ della motivazione in ordine all’esistenza dell’elemento soggettivo e’ manifestamente infondato.
La motivazione offerta dalla Corte territoriale sul punto evidenzia la incompatibilita’ dei fatti emersi (trasferimento del denaro di spettanza condominiale sui conti personali) con la assenza del dolo specifico richiesto dalla norma.
Si tratta di una motivazione che esalta la potenzialita’ dimostrativa della condotta non solo in ordine alla consumazione del fatto sotto il profilo oggettivo, ma anche con riguardo alla dimensione soggettiva del reato. Alcune condotte sono infatti univocamente inquadrabili nella fattispecie delittuosa poiche’ l’elemento oggettivo e’ connotato da una tale evidenza da essere incompatibile con ogni riconduzione a condotte alternative lecite. In tali casi, anche la connotazione finalistica del dolo specifico puo’ dedursi dalle condotte, nella misura in cui siano autoevidenti. La motivazione sull’elemento soggettivo puo’ in tali casi essere limitata alla rilevazione della incompatibilita’ delle condotte contestate con ipotesi alternative lecite.
Nel caso di specie la Corte territoriale, in coerenza con le linee ermeneutiche indicate, offriva una motivazione priva di fratture logiche e coerente con le emergenze processuali, che deduceva l’esistenza dell’elemento soggettivo proprio dalle caratteristiche della condotta accertata dotate di evidente efficacia dimostrativa.
1.2. Manifestamente infondato e’ anche il motivo di ricorso che deduce l’inesistenza della aggravante prevista dall’articolo 61 c.p., n. 7 in relazione alla scarsa incidenza della attivita’ delittuosa sul patrimonio dei singoli condomini. In realta’ come evidenziato dalla Corte territoriale il danno deve esser valutato nella sua interezza e non parcellizzato in relazione alla “quota-danno” incidente sui singoli condomini. Il fatto che il condominio sia un ente di gestione privo di personalita’ giuridica distinta da quella dei singoli condomini (Cass. civ. Sez. 6 – 2, ord. n. 177 dell’11/01/2012 Rv. 620729; Cass. SS.UU. civ n. 9148/08), i quali sono rappresentati dall’amministratore, non comporta la parcellizzazione invocata dalla difesa, essendo, di contro, rilevante il danno complessivo che il rappresentante degli interessi dei condomini ha causato svolgendo la sua funzione di amministratore dell’ente-condominio.
In aderenza con tali indicazioni ermeneutiche la Corte territoriale ha ritenuto ingente il danno complessivamente causato con valutazione che si colloca tra quelle di puro merito le quali, se risultano aderenti alle emergenze processuali e prive di manifeste fratture logiche, si sottraggono al sindacato di legittimita’.
1.3. Anche le doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio si presentano manifestamente infondate. La motivazione in ordine al giudizio di equivalenza tra aggravanti ed attenuanti si presenta approfondita e priva di fratture logiche e resistente anche al dedotto errore circa il tempo del commesso reato della sentenza di patteggiamento richiamata (fatti accertati sino al 2009 e non consumati fino al 2009).
Il collegio, in punto di valutazione dei parametri che conducono alla definizione del trattamento sanzionatorio, condivide la giurisprudenza di legittimita’ secondo cui la specifica e dettagliata motivazione in ordine alla quantita’ di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o aumenti per circostanze, e’ necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’articolo 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravita’ del reato o alla capacita’ a delinquere (Cass. sez, 2, n. 36245 del 26/06/2009, Rv. 245596). Peraltro la determinazione in concreto del trattamento sanzionatorio e’ frutto di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimita’. Al riguardo si condivide la giurisprudenza secondo cui la graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalita’ del giudice di merito, che la esercita, cosi’ come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articoli 132 e 133 cod. pen.; ne discende che e’ inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruita’ della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).
La determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicche’ l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Cio’ dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’articolo 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n. 117242).
1.4. Anche le censure sull’aumento in continuazione considerate eccessivo ed immotivato devono essere respinte. Il collegio condivide l’orientamento espresso dalla Corte di legittimita’ secondo cui, in tema di determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena effettuati ai sensi dell’articolo 81 cod. pen., valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena – base (Cass. sez. 5, n. 27382 del 28/04/2011, Rv. 250465; Cass. sez. 5, n. 11945 del 22/09/1999, Rv. 214857). La Corte non ignora diverso orientamento che ha indicato la necessita’ di offrire una motivazione specifica in relazione agli aumenti per la continuazione nel caso in cui tali aumenti si presentino differenziati in relazione a reati satelliti omogenei (Cass. sez. 6, n. 7777 del 29/01/2013, Rv. 255052). Nel caso di specie, tuttavia, la Corte territoriale applicava un unico aumento per la continuazione che deve ritenersi giustificato, nella dimensione, dalle ragioni offerte per la quantificazione della pena base. Il consolidamento della progressione criminosa che viene effettuato con il riconoscimento del vincolo della continuazione consente infatti di ritenere giustificati gli aumenti per i reati satellite con i parametri indicati per la determinazione del reato principale (Cass. sez. 2, n. 4707 del 21/11/2014, dep. 2015, Rv. 262313).
1.5. L’imputato deve essere condannato alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore delle parti civili rappresentate dal procuratore speciale avv. (OMISSIS) che, tenuto conto dei parametri vigenti in relazione alla attivita’ professionale svolta, liquida in complessivi euro 3500 oltre spese generali Iva e Cpa come per legge.
2. Alla dichiarata inammissibilita’ del ricorso consegue, per il disposto dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che si determina equitativamente in euro 1000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000.00 alla cassa delle ammende, nonche’ alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore delle parti civili rappresentate dal procuratore speciale avv. (OMISSIS) che liquida in complessivi euro 3500 oltre spese generali Iva e Cpa come per legge.
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