Corte di Cassazione, sezione II, ordinanza 30 gennaio 2014, n. 2096. La Sezione Seconda della Suprema Corte, con l'ordinanza interlocutoria n. 2096 del 30/01/14, ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite di un ricorso involgente la questione, oggetto di contrasto, se integri un’ emendatio libelli, come tale ammissibile, o un’inammissibile mutatio, il passaggio dalla domanda di pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ. alla domanda di accertamento dichiarativo dell’effetto reale, riqualificato il negozio come contratto definitivo, anziché preliminare, di compravendita.
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REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9026/08) proposto da:
M.E. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Fabbri Paolo e Ghini Giovanni B. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Della Bella, in Roma, viale di Villa Massimo, n. 36;
– ricorrente –
contro
F.R. (C.F.: (OMISSIS)) e M. G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Francia Cesare e Radocchia Rosella ed elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda, in Roma, via Luigi Rizzo, n. 41;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 400/07 della Corte di appello di Bologna, depositata il 19 marzo 2007 (e non notificata);
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Giovanni Battista Ghini, per il ricorrente, e Rosella Radocchia, per i controricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con atto di citazione notificato nel gennaio 1997 i sigg.
F.R. e Ma.Gi. convenivano in giudizio, dinanzi all’allora Pretore di Forlì-sez. dist. di Cesena, il sig. M.E. e, sulla premessa di aver stipulato con lo stesso il 17 maggio 1981 un contratto avente ad oggetto la cessione di un appezzamento di terreno di mq. 700, da frazionare dalla particella (da suddividersi in tre parti) n. 556 del foglio 89 della partita 5776 del C.T. del Comune di Mercato Saraceno, senza che, successivamente al frazionamento, il M. si fosse presentato – malgrado la ricezione di apposita diffida – davanti all’indicato notaio per la stipula del contratto definitivo di compravendita, chiedevano che – previo accertamento della validità del suddetto contratto – venisse pronunciata sentenza ex art. 2932 c.c. con riferimento al trasferimento della menzionata proprietà fondiaria, con riserva, come concordato, di una servitù in favore dello stesso M.. Nella costituzione del convenuto (che formulava anche domanda riconvenzionale per l’avvenuto accertamento dell’acquisto della controversa particella per accessione invertita o, comunque, per usucapione), all’udienza fissata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., gli attori chiedevano, in tal senso modificando l’originaria domanda, che non venisse più emanata una sentenza costitutiva come prevista dall’art. 2932 c.c., bensì una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento del bene immobile, da ritenersi verificato per effetto dello stesso contratto, che si sarebbe dovuto intendere come definitivo.
Con sentenza n. 220 del 2001, l’adito Tribunale accoglieva la domanda attorea come riqualificata all’udienza di trattazione, ordinando i conseguenti adempimenti, rigettando le domande riconvenzionali del M. e regolando le spese processuali in base al principio della soccombenza.
Interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte del medesimo M. e nella resistenza di entrambi gli appellati, la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 400 del 2007 (depositata il 19 marzo 2007), rigettava il gravame, confermando integralmente l’impugnata sentenza, con conseguente condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava, innanzitutto, l’infondatezza della dedotta censura di ultrapetizione, dal momento che la modificazione della domanda tempestivamente richiesta dagli attori in primo grado implicava la proposizione di una mera “emendatio libelli”; nel merito, il giudice di appello riteneva corretta la riconduzione della convenzione conclusa fra le parti a quella di un contratto definitivo (cui era, peraltro, inapplicabile l’art. 1358 c.c.), con oggetto da considerarsi determinabile in relazione agli elementi identificativi del bene alienato riportati nello stesso contratto, dovendosi qualificare il riferimento alla successiva redazione del tipo di frazionamento come un richiamo ad esigenze di natura catastale.
Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata) ha proposto rituale ricorso per cassazione il M., articolato in tre motivi. Gli intimati hanno resistito in questa sede con controricorso. Entrambi i difensori hanno anche rispettivamente depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
2. Con il primo motivo dedotto il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 112 c.p.c., art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè dell’art. 2932 c.c. e art. 1350 c.c., per aver la sentenza impugnato attribuito natura di “emendatio libelli” alla successiva richiesta di una pronuncia dichiarativa sull’avvenuto trasferimento della proprietà dell’immobile oggetto di causa, nuova e diversa rispetto a quella costitutiva di citazione, indirizzata ad ottenere l’adempimento di un obbligo di trasferirne agli attori la proprietà, ai sensi dell’art. 2932 c.c..
A corredo di tale censura il ricorrente ha formulato – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 19 marzo 2007) – il seguente quesito di diritto: “dica la S.C., se con riguardo al caso di specie ed al contratto definito in citazione dagli stessi attori come promessa di vendita ed al suo contenuto, fosse ammissibile tempestiva e rituale la proposizione, con la memoria di cui all’art. 185 c.p.c., comma 5, (nella formulazione precedente alla riforma introdotta con la L. n. 80 del 2005) di una domanda “nuova” riguardante la richiesta di accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene e non più di una sentenza ex art. 2932 c.c.; o, in termini più generali, se la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ai sensi dell’art. 2932 c.c. è diversa dalla domanda di accertamento del trasferimento della proprietà per petitum e causa petendi e se, quindi, la modifica della domanda dall’una all’altra costituisce mera emendatio libelli o vera e propria mutatio libelli”.
3. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2932, 1376 e 2826 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto decisivo e controverso per il giudizio relativo alla ritenuta determinabilità dell’oggetto del contratto per cui era stata instaurata la controversia.
Risulta indicato il fatto controverso del giudizio nello stabilire se il contratto intervenuto fra le parti ed i suoi effetti reali potevano attuarsi senza che fosse stato determinato in accordo il contenuto sostanziale del tipo di frazionamento redatto un anno dopo e se un tale frazionamento avrebbe dovuto essere approvato dai contraenti per iscritto.
4. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e disapplicazione dell’art. 1350 c.c., oltre che per omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla circostanza che l’accordo contrattuale dedotto in causa imponeva la stipula di un secondo accordo, che avrebbe dovuto integrarlo e completarlo. A sostegno di tale complessiva doglianza il ricorrente ha indicato le seguenti questioni di diritto:
a) dica la S.C. se il contratto intervenuto fra le parti richiedesse di essere integrato con altro concordato fra di loro, idoneo ad identificare il bene che ne formava l’oggetto? b) dica la S. C. se tale atto avrebbe dovuto redigersi per iscritto e non fosse stata omessa dal giudice di appello una motivazione adeguata sulla mancanza dell’atto integrativo ed, altresì, se l’immobile che si attribuiva ai promissari fosse stato identificabile ed identificato con quello del loro impegno scritto ad acquistare? 3. Rileva il collegio che – in relazione alla questione processuale posta con il primo motivo (da qualificarsi ammissibile in relazione all’assolvimento del requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.) – emerge, nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte, un contrasto di orientamenti.
E’ pacifico, nella fattispecie (anche per quanto univocamente risultante “ex actis” e per come ricostruito in fatto, in modo conforme, dalla sentenza di primo grado e da quella di appello qui impugnata), che i sigg. F.R. e Ma.Gi., con l’originario atto di citazione (nel cui corpo si poneva riferimento al disposto dell’art. 2932 c.c., anche in funzione della dichiarazione della loro disponibilità ad eseguire la prestazione relativa al pagamento del prezzo residuo concordato), avevano chiesto che, previo accertamento della validità del contratto stipulato con il sig. M.E. in data 17 maggio 1981, venisse pronunciata sentenza avente ad oggetto il trasferimento della proprietà dell’appezzamento di terreno in esso indicato, con riserva di una servitù in favore dello stesso M.. E’ altrettanto incontestato che gli attori, con la memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 5, (nella versione “ratione temporis” applicabile), modificando l’impostazione adottata con la citazione, avessero invocato non più l’emissione di una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. bensì l’emanazione di una sentenza dichiarativa del trasferimento dell’immobile, da ritenersi già avvenuto per effetto del medesimo contratto, da qualificarsi come definitivo e non come preliminare di compravendita.
Il giudice di primo grado riteneva ammissibile l’intervenuta modificazione della domanda, essendo riconducibile ad una “mera emendatio libelli” ed il giudice di appello confermava tale ricostruzione (aggiungendo che tale “emendatio” sarebbe stata consentita anche in sede di gravame), precisando (v. pag. 7 della sentenza qui impugnata), ad ulteriore supporto di tale convincimento, che, nel caso di specie, trattavasi di semplice specificazione della pretesa originaria restando il “thema decidendum” circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento di proprietà e rimanendo così identico nella sostanza il bene effettivamente richiesto ed identica la “causa petendi”, costituita dal contratto del quale veniva prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica.
A conforto della decisione adottata, la Corte di secondo grado ha richiamato i precedenti giurisprudenziali di questa Corte costituiti dalle seguenti sentenze; la n. 11840 del 6 novembre 1991 (della 2 sezione); la n. 14643 del 29 dicembre 1999 (della 2 sezione) e la n. 7383 del 30 maggio 2001 (sempre della 2 sezione).
Alla stregua di tale indirizzo giurisprudenziale si è ritenuto che, “ove l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., fondata sull’esistenza di una scrittura privata da lui erroneamente qualificata come preliminare di vendita immobiliare, costituisce mera “emendatio libelli”, consentita anche in appello, la richiesta di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile, oggetto del contratto qualificato come contratto definitivo di compravendita, trattandosi di semplice specificazione della pretesa originaria e restando in tal caso il “thema decidendum” circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento di proprietà, sicchè resta immutato nella sostanza il bene effettivamente richiesto ed identica la “causa petendi”, costituita dal contratto del quale viene prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica”.
Senonchè, nella sentenza impugnata in questa sede, è stata del tutto obliterata l’esistenza di un contrapposto (ed invero predominante) orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ad avviso del quale, invece, “costituisce domanda nuova quella del creditore che, dopo aver invocato l’esecuzione coattiva di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, ponendo a base dell’atto introduttivo la richiesta di pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ., sostituisce nell’atto di riassunzione a seguito di interruzione o nelle conclusioni del giudizio di primo grado, ovvero nell’atto di appello, la predetta domanda con una successiva, con la quale chieda una sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo, qualificando il rapporto pattizio non più come preliminare, ma come vendita per scrittura privata. Si tratta, infatti, di domande diverse sotto il profilo del “petitum” e della causa “petendi”, atteso che nella prima ipotesi l’attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell’immobile;
nella seconda un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato”. In tal senso, anche se con riguardo al regime processuale previgente, si erano già pronunciate le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 1731 del 5 marzo 1996, a cui hanno fatto seguito – anche in ordine alla disciplina processuale successivamente novellata – le seguenti sentenze: – la n. 15541 del 7 dicembre 2000 (della 2 sezione); – la n.1740 del 25 gennaio 2008 (della 1 sezione); – la n. 23708 del 9 novembre 2009 (della 2 sezione); – la n. 12039 del 17 maggio 2010 (della 2 sezione).
In particolare, con quest’ultima pronuncia (la cui massima – con richiami di contorno che evidenziano, in modo palese, il contrasto tra i precedenti sulla questione – è riportata, in Italgiureweb, come conforme a quella della citata Cass. n. 23708 del 2009), è stato ribadito che secondo l’orientamento di questa Corte (qualificato, addirittura, in detta sentenza, come “consolidato”) deve ritenersi che costituisce domanda nuova quella del creditore che, dopo aver invocato l’esecuzione coattiva di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, ponendo a base dell’atto introduttivo la richiesta di pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., sostituisce nelle conclusioni del giudizio di primo grado, ovvero nell’atto di appello, la predetta domanda con una successiva, con la quale chieda una sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo, qualificando il rapporto pattizio non più come preliminare, ma come vendita per scrittura privata, poichè trattasi di domande diverse sotto il profilo del “petitum” e della causa petendi, atteso che – come già evidenziato – nella prima ipotesi l’attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell’immobile; nella seconda un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato.
Deve, inoltre, segnalarsi che la giurisprudenza – assolutamente prevalente – di questa Corte (cfr. Cass., 2 sez., 12 novembre 2002, n. 15859; Cass., 2 sez., 12 settembre 2003, n. 13420 e, da ultimo, Cass., 2 sez., 8 febbraio 2010, n. 2723) ha seguito l’indirizzo da ultimo riportato anche nell’eventualità processuale della modificazione in senso inverso delle due domande in esame, risultando stabilito che “costituisce domanda nuova – come tale vietata e, perciò, inammissibile sia in primo grado che in appello – quella conseguente al sopravvenuto mutamento della pretesa di accertamento del contratto di compravendita del diritto di proprietà in quella di esecuzione coattiva di un contratto preliminare ai sensi dell’art. 2932 c.c., essendo le due domande diverse per “petitum” e “causa petendi”: infatti, mentre la prima è diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa, fondata su un negozio con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà per effetto del consenso legittimamente manifestato, la seconda mira ad una pronuncia costitutiva, fondata su un contratto con effetti meramente obbligatori come il preliminare, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata”.
Recentemente, però, la 6 Sezione (sottosezione 3) – con l’ordinanza n. 20177 del 3 settembre 2013 (rv. 627632), richiamata anche dal P.G. di udienza nel corso delle sue conclusioni – ha inteso riprendere l’indirizzo minoritario (e maggiormente risalente nel tempo), riaffermando il principio di diritto secondo cui, nel caso in cui l’attore, dopo aver domandato con l’atto introduttivo del giudizio una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. sulla base di un contratto da lui qualificato come preliminare di vendita immobiliare, formuli – rispettando le decadenze processuali previste – la richiesta di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile oggetto del contratto, qualificato come contratto definitivo di compravendita, è configurabile non una “mutatio”, ma una semplice “emendatio libelli”, poichè il “thema decidendum” resta / circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento della proprietà, restando così identico nella sostanza il bene effettivamente chiesto e identica la “causa petendi” costituita dal contratto, del quale viene prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica. Quale argomentazione di contorno, con la pronuncia appena richiamata, è stato, altresì, evidenziato che al giudice incomberebbe l’obbligo di motivare specificamente – nel dichiarare una domanda inammissibile perchè nuova – quali fatti nuovi od estranei alla materia oggetto del contraddittorio fra le parti, essa richieda di esaminare, rispetto a quelli inizialmente prospettati e discussi nel corso del giudizio.
E’ appena il caso, peraltro, di segnalare che – con riferimento alla pronuncia in esame -nella relazione preventiva predisposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., lo stesso consigliere relatore designato aveva proposto, se del caso, “la previa rimessione della questione alla Sezioni unite”, esprimendo, perciò, la consapevolezza del contrasto sulla stessa esistente.
4. In definitiva, il collegio ritiene che la questione di diritto posta con il primo motivo del ricorso (nei sensi precedentemente specificati) debba essere rimessa al Sig. Primo Presidente di questa Corte affinchè – ritenuti sussistenti i presupposti indicati dall’art. 374 c.p.c., comma 2, essendo essa già stata risolta in senso difforme dalle Sezioni semplici -voglia sottoporla all’esame ed alla conseguente decisione delle Sezioni unite.
P.Q.M.
Il collegio rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso – e, segnatamente, per la decisione del primo motivo del ricorso stesso – alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2013.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
Ordinanza 30 gennaio 2014, n. 2096
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Presidente –
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. ABETE Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso (iscritto al N.R.G. 9026/08) proposto da:
M.E. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al ricorso, dagli Avv.ti Fabbri Paolo e Ghini Giovanni B. ed elettivamente domiciliati presso lo studio dell’Avv. Della Bella, in Roma, viale di Villa Massimo, n. 36;
– ricorrente –
contro
F.R. (C.F.: (OMISSIS)) e M. G. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv.ti Francia Cesare e Radocchia Rosella ed elettivamente domiciliati presso lo studio della seconda, in Roma, via Luigi Rizzo, n. 41;
– controricorrenti –
Avverso la sentenza n. 400/07 della Corte di appello di Bologna, depositata il 19 marzo 2007 (e non notificata);
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 13 dicembre 2013 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
uditi gli Avv.ti Giovanni Battista Ghini, per il ricorrente, e Rosella Radocchia, per i controricorrenti;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
1. Con atto di citazione notificato nel gennaio 1997 i sigg.
F.R. e Ma.Gi. convenivano in giudizio, dinanzi all’allora Pretore di Forlì-sez. dist. di Cesena, il sig. M.E. e, sulla premessa di aver stipulato con lo stesso il 17 maggio 1981 un contratto avente ad oggetto la cessione di un appezzamento di terreno di mq. 700, da frazionare dalla particella (da suddividersi in tre parti) n. 556 del foglio 89 della partita 5776 del C.T. del Comune di Mercato Saraceno, senza che, successivamente al frazionamento, il M. si fosse presentato – malgrado la ricezione di apposita diffida – davanti all’indicato notaio per la stipula del contratto definitivo di compravendita, chiedevano che – previo accertamento della validità del suddetto contratto – venisse pronunciata sentenza ex art. 2932 c.c. con riferimento al trasferimento della menzionata proprietà fondiaria, con riserva, come concordato, di una servitù in favore dello stesso M.. Nella costituzione del convenuto (che formulava anche domanda riconvenzionale per l’avvenuto accertamento dell’acquisto della controversa particella per accessione invertita o, comunque, per usucapione), all’udienza fissata ai sensi dell’art. 183 c.p.c., gli attori chiedevano, in tal senso modificando l’originaria domanda, che non venisse più emanata una sentenza costitutiva come prevista dall’art. 2932 c.c., bensì una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento del bene immobile, da ritenersi verificato per effetto dello stesso contratto, che si sarebbe dovuto intendere come definitivo.
Con sentenza n. 220 del 2001, l’adito Tribunale accoglieva la domanda attorea come riqualificata all’udienza di trattazione, ordinando i conseguenti adempimenti, rigettando le domande riconvenzionali del M. e regolando le spese processuali in base al principio della soccombenza.
Interposto appello avverso la suddetta sentenza da parte del medesimo M. e nella resistenza di entrambi gli appellati, la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 400 del 2007 (depositata il 19 marzo 2007), rigettava il gravame, confermando integralmente l’impugnata sentenza, con conseguente condanna dell’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava, innanzitutto, l’infondatezza della dedotta censura di ultrapetizione, dal momento che la modificazione della domanda tempestivamente richiesta dagli attori in primo grado implicava la proposizione di una mera “emendatio libelli”; nel merito, il giudice di appello riteneva corretta la riconduzione della convenzione conclusa fra le parti a quella di un contratto definitivo (cui era, peraltro, inapplicabile l’art. 1358 c.c.), con oggetto da considerarsi determinabile in relazione agli elementi identificativi del bene alienato riportati nello stesso contratto, dovendosi qualificare il riferimento alla successiva redazione del tipo di frazionamento come un richiamo ad esigenze di natura catastale.
Avverso la suddetta sentenza di appello (non notificata) ha proposto rituale ricorso per cassazione il M., articolato in tre motivi. Gli intimati hanno resistito in questa sede con controricorso. Entrambi i difensori hanno anche rispettivamente depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
2. Con il primo motivo dedotto il ricorrente ha denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – la violazione e falsa applicazione degli artt. 102 e 112 c.p.c., art. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè dell’art. 2932 c.c. e art. 1350 c.c., per aver la sentenza impugnato attribuito natura di “emendatio libelli” alla successiva richiesta di una pronuncia dichiarativa sull’avvenuto trasferimento della proprietà dell’immobile oggetto di causa, nuova e diversa rispetto a quella costitutiva di citazione, indirizzata ad ottenere l’adempimento di un obbligo di trasferirne agli attori la proprietà, ai sensi dell’art. 2932 c.c..
A corredo di tale censura il ricorrente ha formulato – ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (“ratione temporis” applicabile, risultando la sentenza impugnata pubblicata il 19 marzo 2007) – il seguente quesito di diritto: “dica la S.C., se con riguardo al caso di specie ed al contratto definito in citazione dagli stessi attori come promessa di vendita ed al suo contenuto, fosse ammissibile tempestiva e rituale la proposizione, con la memoria di cui all’art. 185 c.p.c., comma 5, (nella formulazione precedente alla riforma introdotta con la L. n. 80 del 2005) di una domanda “nuova” riguardante la richiesta di accertamento dell’avvenuto trasferimento del bene e non più di una sentenza ex art. 2932 c.c.; o, in termini più generali, se la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ai sensi dell’art. 2932 c.c. è diversa dalla domanda di accertamento del trasferimento della proprietà per petitum e causa petendi e se, quindi, la modifica della domanda dall’una all’altra costituisce mera emendatio libelli o vera e propria mutatio libelli”.
3. Con il secondo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 2932, 1376 e 2826 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il fatto decisivo e controverso per il giudizio relativo alla ritenuta determinabilità dell’oggetto del contratto per cui era stata instaurata la controversia.
Risulta indicato il fatto controverso del giudizio nello stabilire se il contratto intervenuto fra le parti ed i suoi effetti reali potevano attuarsi senza che fosse stato determinato in accordo il contenuto sostanziale del tipo di frazionamento redatto un anno dopo e se un tale frazionamento avrebbe dovuto essere approvato dai contraenti per iscritto.
4. Con il terzo motivo il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per violazione e disapplicazione dell’art. 1350 c.c., oltre che per omessa motivazione sul fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla circostanza che l’accordo contrattuale dedotto in causa imponeva la stipula di un secondo accordo, che avrebbe dovuto integrarlo e completarlo. A sostegno di tale complessiva doglianza il ricorrente ha indicato le seguenti questioni di diritto:
a) dica la S.C. se il contratto intervenuto fra le parti richiedesse di essere integrato con altro concordato fra di loro, idoneo ad identificare il bene che ne formava l’oggetto? b) dica la S. C. se tale atto avrebbe dovuto redigersi per iscritto e non fosse stata omessa dal giudice di appello una motivazione adeguata sulla mancanza dell’atto integrativo ed, altresì, se l’immobile che si attribuiva ai promissari fosse stato identificabile ed identificato con quello del loro impegno scritto ad acquistare? 3. Rileva il collegio che – in relazione alla questione processuale posta con il primo motivo (da qualificarsi ammissibile in relazione all’assolvimento del requisito prescritto dall’art. 366 bis c.p.c.) – emerge, nell’ambito della giurisprudenza di questa Corte, un contrasto di orientamenti.
E’ pacifico, nella fattispecie (anche per quanto univocamente risultante “ex actis” e per come ricostruito in fatto, in modo conforme, dalla sentenza di primo grado e da quella di appello qui impugnata), che i sigg. F.R. e Ma.Gi., con l’originario atto di citazione (nel cui corpo si poneva riferimento al disposto dell’art. 2932 c.c., anche in funzione della dichiarazione della loro disponibilità ad eseguire la prestazione relativa al pagamento del prezzo residuo concordato), avevano chiesto che, previo accertamento della validità del contratto stipulato con il sig. M.E. in data 17 maggio 1981, venisse pronunciata sentenza avente ad oggetto il trasferimento della proprietà dell’appezzamento di terreno in esso indicato, con riserva di una servitù in favore dello stesso M.. E’ altrettanto incontestato che gli attori, con la memoria autorizzata ex art. 183 c.p.c., comma 5, (nella versione “ratione temporis” applicabile), modificando l’impostazione adottata con la citazione, avessero invocato non più l’emissione di una pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c. bensì l’emanazione di una sentenza dichiarativa del trasferimento dell’immobile, da ritenersi già avvenuto per effetto del medesimo contratto, da qualificarsi come definitivo e non come preliminare di compravendita.
Il giudice di primo grado riteneva ammissibile l’intervenuta modificazione della domanda, essendo riconducibile ad una “mera emendatio libelli” ed il giudice di appello confermava tale ricostruzione (aggiungendo che tale “emendatio” sarebbe stata consentita anche in sede di gravame), precisando (v. pag. 7 della sentenza qui impugnata), ad ulteriore supporto di tale convincimento, che, nel caso di specie, trattavasi di semplice specificazione della pretesa originaria restando il “thema decidendum” circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento di proprietà e rimanendo così identico nella sostanza il bene effettivamente richiesto ed identica la “causa petendi”, costituita dal contratto del quale veniva prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica.
A conforto della decisione adottata, la Corte di secondo grado ha richiamato i precedenti giurisprudenziali di questa Corte costituiti dalle seguenti sentenze; la n. 11840 del 6 novembre 1991 (della 2 sezione); la n. 14643 del 29 dicembre 1999 (della 2 sezione) e la n. 7383 del 30 maggio 2001 (sempre della 2 sezione).
Alla stregua di tale indirizzo giurisprudenziale si è ritenuto che, “ove l’attore abbia chiesto con l’atto di citazione una sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., fondata sull’esistenza di una scrittura privata da lui erroneamente qualificata come preliminare di vendita immobiliare, costituisce mera “emendatio libelli”, consentita anche in appello, la richiesta di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile, oggetto del contratto qualificato come contratto definitivo di compravendita, trattandosi di semplice specificazione della pretesa originaria e restando in tal caso il “thema decidendum” circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento di proprietà, sicchè resta immutato nella sostanza il bene effettivamente richiesto ed identica la “causa petendi”, costituita dal contratto del quale viene prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica”.
Senonchè, nella sentenza impugnata in questa sede, è stata del tutto obliterata l’esistenza di un contrapposto (ed invero predominante) orientamento della giurisprudenza di questa Corte, ad avviso del quale, invece, “costituisce domanda nuova quella del creditore che, dopo aver invocato l’esecuzione coattiva di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, ponendo a base dell’atto introduttivo la richiesta di pronuncia costitutiva ex art. 2932 cod. civ., sostituisce nell’atto di riassunzione a seguito di interruzione o nelle conclusioni del giudizio di primo grado, ovvero nell’atto di appello, la predetta domanda con una successiva, con la quale chieda una sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo, qualificando il rapporto pattizio non più come preliminare, ma come vendita per scrittura privata. Si tratta, infatti, di domande diverse sotto il profilo del “petitum” e della causa “petendi”, atteso che nella prima ipotesi l’attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell’immobile;
nella seconda un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato”. In tal senso, anche se con riguardo al regime processuale previgente, si erano già pronunciate le Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 1731 del 5 marzo 1996, a cui hanno fatto seguito – anche in ordine alla disciplina processuale successivamente novellata – le seguenti sentenze: – la n. 15541 del 7 dicembre 2000 (della 2 sezione); – la n.1740 del 25 gennaio 2008 (della 1 sezione); – la n. 23708 del 9 novembre 2009 (della 2 sezione); – la n. 12039 del 17 maggio 2010 (della 2 sezione).
In particolare, con quest’ultima pronuncia (la cui massima – con richiami di contorno che evidenziano, in modo palese, il contrasto tra i precedenti sulla questione – è riportata, in Italgiureweb, come conforme a quella della citata Cass. n. 23708 del 2009), è stato ribadito che secondo l’orientamento di questa Corte (qualificato, addirittura, in detta sentenza, come “consolidato”) deve ritenersi che costituisce domanda nuova quella del creditore che, dopo aver invocato l’esecuzione coattiva di un contratto preliminare rimasto inadempiuto, ponendo a base dell’atto introduttivo la richiesta di pronuncia costitutiva ex art. 2932 c.c., sostituisce nelle conclusioni del giudizio di primo grado, ovvero nell’atto di appello, la predetta domanda con una successiva, con la quale chieda una sentenza che accerti l’avvenuto effetto traslativo, qualificando il rapporto pattizio non più come preliminare, ma come vendita per scrittura privata, poichè trattasi di domande diverse sotto il profilo del “petitum” e della causa petendi, atteso che – come già evidenziato – nella prima ipotesi l’attore adduce un contratto preliminare con effetti meramente obbligatori, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata dell’immobile; nella seconda un contratto con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà dell’immobile per effetto del consenso legittimamente manifestato.
Deve, inoltre, segnalarsi che la giurisprudenza – assolutamente prevalente – di questa Corte (cfr. Cass., 2 sez., 12 novembre 2002, n. 15859; Cass., 2 sez., 12 settembre 2003, n. 13420 e, da ultimo, Cass., 2 sez., 8 febbraio 2010, n. 2723) ha seguito l’indirizzo da ultimo riportato anche nell’eventualità processuale della modificazione in senso inverso delle due domande in esame, risultando stabilito che “costituisce domanda nuova – come tale vietata e, perciò, inammissibile sia in primo grado che in appello – quella conseguente al sopravvenuto mutamento della pretesa di accertamento del contratto di compravendita del diritto di proprietà in quella di esecuzione coattiva di un contratto preliminare ai sensi dell’art. 2932 c.c., essendo le due domande diverse per “petitum” e “causa petendi”: infatti, mentre la prima è diretta ad ottenere una sentenza dichiarativa, fondata su un negozio con efficacia reale, immediatamente traslativo della proprietà per effetto del consenso legittimamente manifestato, la seconda mira ad una pronuncia costitutiva, fondata su un contratto con effetti meramente obbligatori come il preliminare, avente ad oggetto l’obbligo delle parti contraenti di addivenire ad un contratto definitivo di vendita per atto pubblico o per scrittura privata autenticata”.
Recentemente, però, la 6 Sezione (sottosezione 3) – con l’ordinanza n. 20177 del 3 settembre 2013 (rv. 627632), richiamata anche dal P.G. di udienza nel corso delle sue conclusioni – ha inteso riprendere l’indirizzo minoritario (e maggiormente risalente nel tempo), riaffermando il principio di diritto secondo cui, nel caso in cui l’attore, dopo aver domandato con l’atto introduttivo del giudizio una sentenza costitutiva ai sensi dell’art. 2932 c.c. sulla base di un contratto da lui qualificato come preliminare di vendita immobiliare, formuli – rispettando le decadenze processuali previste – la richiesta di una pronuncia dichiarativa dell’avvenuto trasferimento della proprietà del medesimo immobile oggetto del contratto, qualificato come contratto definitivo di compravendita, è configurabile non una “mutatio”, ma una semplice “emendatio libelli”, poichè il “thema decidendum” resta / circoscritto all’accertamento dell’esistenza di uno strumento giuridico idoneo al trasferimento della proprietà, restando così identico nella sostanza il bene effettivamente chiesto e identica la “causa petendi” costituita dal contratto, del quale viene prospettata, rispetto alla domanda originaria, soltanto una diversa qualificazione giuridica. Quale argomentazione di contorno, con la pronuncia appena richiamata, è stato, altresì, evidenziato che al giudice incomberebbe l’obbligo di motivare specificamente – nel dichiarare una domanda inammissibile perchè nuova – quali fatti nuovi od estranei alla materia oggetto del contraddittorio fra le parti, essa richieda di esaminare, rispetto a quelli inizialmente prospettati e discussi nel corso del giudizio.
E’ appena il caso, peraltro, di segnalare che – con riferimento alla pronuncia in esame -nella relazione preventiva predisposta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., lo stesso consigliere relatore designato aveva proposto, se del caso, “la previa rimessione della questione alla Sezioni unite”, esprimendo, perciò, la consapevolezza del contrasto sulla stessa esistente.
4. In definitiva, il collegio ritiene che la questione di diritto posta con il primo motivo del ricorso (nei sensi precedentemente specificati) debba essere rimessa al Sig. Primo Presidente di questa Corte affinchè – ritenuti sussistenti i presupposti indicati dall’art. 374 c.p.c., comma 2, essendo essa già stata risolta in senso difforme dalle Sezioni semplici -voglia sottoporla all’esame ed alla conseguente decisione delle Sezioni unite.
P.Q.M.
Il collegio rimette gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione del ricorso – e, segnatamente, per la decisione del primo motivo del ricorso stesso – alle Sezioni Unite ai sensi dell’art. 374 c.p.c., comma 2.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 dicembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 30 gennaio 2014