L’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c. previgente e art. 155 quater c.c., o in forza della legge sul divorzio, non può essere presa in considerazione in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato de/l’immobile, allorquando l’immobile venga attribuito al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso
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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II CIVILE
SENTENZA 9 settembre 2016, n.17843
Ritenuto in fatto
Il Tribunale di Roma con sentenza depositata il 3.3.2004, disponeva lo scioglimento della comunione ordinaria esistente tra le parti, coniugi divorziati, relativa ad un appartamento ed un box siti in XXXX, in “quartiere centrale”, mediante attribuzione diretta dell’intera proprietà immobiliare all’attore M. D. R..
Poneva a suo carico un conguaglio di Euro 118.836,72.
Rilevava che l’immobile era gravato dal diritto di abitazione riconosciuto al D.R. con la sentenza di divorzio, quale genitore con il quale conviveva il figlio maggiorenne ma non autosufficiente, sicché il valore dei beni doveva essere ridotto del 25%.
La Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 3088/2010 del 12.7.2011, ha, in accoglimento parziale dell’appello principale, confermato l’attribuzione al D.R. della proprietà del compendio immobiliare, nonché i criteri di valutazione, ma ha aggiornato il conguaglio a Euro 161.618,00.
Per la cassazione della sentenza, M.A.L. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.
D.R. ha resistito con controricorso.
In corso di causa parte ricorrente ha notificato a controparte elenco dei documenti depositati, costituiti da decreto di revisione delle condizioni di divorzio con attestazione di definitività.
Parte resistente ha nominato ritualmente nuovo difensore.
In vista dell’udienza sono state depositate memorie
Ragioni della decisione
2) Il ricorso consta di tre motivi.
Con il primo la ricorrente, delusa dalla stima dell’immobile, si duole della mancata ammissione di nuova consulenza tecnica che, riconsiderando quella assunta in tribunale. datata 2001, tenesse conto dei propri rilievi circa il maggior valore del compendio immobiliare.
Il secondo motivo concerne la omessa considerazione dell’aumento dei valori immobiliari verificatosi in Roma tra il 2001 e il 2011, riduttivamente parametrato con riferimento alla banca dati dell’Agenzia del Territorio, che per ammissione della stessa non indicherebbe stime corrispondenti ai reali valori commerciali di un bene immobile.
Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 720 c.p.c. e vizi di motivazione.
La ricorrente si duole del fatto che il valore del conguaglio sia stato ridotto, e lo sia stato in misura ingente, in relazione alla circostanza che il figlio, trentatrenne al momento della sentenza (2010) risultasse convivente con il padre.
Osserva che il diritto di abitazione connesso alla convivenza con il figlio è un diritto stabilito, ex art. 155 c.c., nell’interesse esclusivo dei figli e non del genitore affidatario, e che quest’ultimo verrebbe per due volte ingiustamente gratificato se, oltre a godere dell’immobile, potesse anche acquistarlo con una riduzione del conguaglio.
2.1) In ricorso specifica che il figlio è già da qualche anno convivente con sé in altra abitazione, sebbene tale modifica non sia stata ancora sancita giudizialmente.
In memoria parte ricorrente ha aggiunto che nelle more (maggio 2012) è intervenuta modifica delle condizioni di divorzio e ha prodotto il relativo documento.
Parte resistente ha opposto, nel controricorso del gennaio 2012, che la questione posta nel terzo motivo è stata decisa dalla Corte di appello in conformità a Cass. 20319/04: che solo per ‘veder aumentato il valore della propria quota’, controparte avrebbe inopportunamente coinvolto il figlio, nato nel 1978, ‘ampiamente maggiorenne ed autosufficiente’; che il ricorso ‘per revisione delle statuizioni divorzili’ invocato dalla ricorrente non era stato notificato.
In memoria D.R. si è opposto alla produzione dell’ordinanza 13 aprile 2012 di revisione del regolamento del divorzio. Ha dato atto però del rafforzarsi, con la pubblicazione della sentenza n. 27128/2014 di questa Corte, dell’orientamento secondo cui il conguaglio a favore del genitore non affidatario non deve essere decurtato.
3) Il terzo motivo di ricorso, che pone questione giuridica di rilievo preliminare, è fondato.
I giudici di merito hanno posto a confronto due sentenze di questa Corte.
Hanno aderito alla tesi esposta da Cass.20319/04 (cui ha aderito Cass. 22.4.2016 n. 8202) secondo la quale: ‘L’assegnazione della casa familiare ad uno dei coniugi, cui l’immobile non appartenga in via esclusiva, instaura un vincolo (opponibile anche ai terzi per nove anni, e, in caso di trascrizione, senza limite di tempo) che oggettivamente comporta una decurtazione del valore della proprietà, totalitaria o parziaria, di cui è titolare l’altro coniuge, il quale da quel vincolo rimane astretto, come i suoi aventi causa, fino a quando il provvedimento non venga eventualmente modificato. Ne consegue che di tale decurtazione deve tenersi conto indipendentemente dal fatto che il bene venga attribuito in piena proprietà all’uno o all’altro coniuge, ovvero venduto a terzi in caso di sua infrazionabilità in natura’.
In precedenza la Corte (Cass. 11630/01) aveva ritenuto che: ‘La assegnazione della casa familiare, di cui i coniugi siano comproprietari, al coniuge affidatario dei figli non ha più ragion d’essere e, quindi, il diritto di abitazione, che ne scaturisce, viene meno nel momento in cui il coniuge, cui la casa sia stata assegnata, ne chiede, nel corso del giudizio per lo scioglimento della comunione conseguente (nel caso di specie) a divorzio, l’assegnazione in proprietà, acquisendo così, attraverso detta assegnazione, anche la quota dell’altro coniuge. In tal caso, il diritto di abitazione (che è un atipico diritto personale di godimento e non un diritto reale) non può essere preso in considerazione, al fine di determinare il valore di mercato dell’immobile, sia perché è un diritto che l’art. 155, comma quarto, c.c. prevede nell’esclusivo interesse dei figli e non nell’interesse del coniuge affidatario degli stessi, sia perché, intervenuto lo scioglimento della comunione a seguito di separazione personale o di divorzio, non può più darsi rilievo, per la valutazione dell’immobile, ad un diritto, che, con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non ha più ragione di esistere’.
Il Collegio ritiene superfluo investire del contrasto le Sezioni Unite, poiché, rammentati i principi posti da Cass. 18-09-2013, n. 21334 in tema di assegnazione della casa coniugale, reputa corretto l’orientamento manifestatosi nel 2001 e rinvigorito dalla sentenza n. 27128/2014, sempre di questa sezione, la quale ha osservato che: ‘Il diritto di abitazione della casa familiare è un atipico diritto personale di godimento (e non un diritto reale), previsto nell’esclusivo interesse dei figli (art. 155 c.c., comma 5) e non nell’interesse del coniuge affidatario, che viene meno con l’assegnazione della casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge affidatario dei figli, non avendo più ragione di esistere’.
Ha aggiunto che ‘ove si operasse la decurtazione dal valore in considerazione del diritto di abitazione, il coniuge non assegnatario verrebbe ingiustificatamente penalizzato con la corresponsione di una somma che non sarebbe rispondente alla metà dell’effettivo valore venale del bene: il che è comprovato dalla considerazione che, qualora intendesse rivenderlo a terzi, l’assegnatario in proprietà esclusiva potrebbe ricavare l’intero prezzo di mercato, pari al valore venale del bene, senza alcuna diminuzione’.
3.1) Quest’ultima considerazione appare decisiva nel caso di specie, caratterizzato dalla circostanza che l’immobile viene attribuito proprio al coniuge che al momento della decisione risultava essere assegnatario dell’alloggio nel quale conviveva con il figlio maggiorenne, alloggio che dopo la divisione il D.R. potrebbe alienare a terzi senza alcun vicolo, conseguendo integralmente il prezzo, corrispondente al valore pieno del bene. È stato osservato in dottrina che l’immobile dovrebbe essere valutato ‘oggettivamente’, tenendo conto della opponibilità ai terzi di un provvedimento di assegnazione, ancorché reso in favore del coniuge non destinatario dell’attribuzione immobiliare.
Trattasi di una fictio iuris intrinsecamente iniqua. Implica infatti una locupletazione in favore di quel coniuge che sia a un tempo beneficiario dell’immobile presso cui il figlio risiede e condividente che ottiene l’attribuzione.
Pertanto per decidere sul terzo motivo di ricorso è sufficiente già l’affermazione del principio secondo cui l’assegnazione del godimento della casa familiare, ex art. 155 c.c. previgente e art. 155 guater c.c., o in forza della legge sul divorzio, non può essere presa in considerazione in occasione della divisione dell’immobile in comproprietà tra i coniugi, al fine di determinare il valore di mercato de/l’immobile, allorquando l’immobile venga attribuito al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso.
Ne consegue che la decurtazione del 25% è stata nella specie, nel cui perimetro il Collegio limita l’esame, indebitamente applicata.
3.2) Mette conto aggiungere, per completare l’esame e meglio comprendere la soluzione prescelta, che al medesimo risultato si perviene sulla base della contrastata produzione del provvedimento giurisdizionale definitivo che ha rivisto le condizioni di divorzio.
Esso ha fatto venir meno l’assegnazione della casa familiare al resistente ed è acquisibile in sede di legittimità, perché: a) formatosi a seguito di istanza di modifica successiva al deposito del ricorso per cassazione (SU 13916/06; 24664/07; 1883/11; 12159/11); b) concernente una statuizione che ha effetto diretto sul presupposto (ora venuto meno) della decisione di appello in punto di decurtazione del conguaglio.
4) L’accoglimento del terzo motivo di ricorso determina la cassazione con rinvio della sentenza impugnata.
Non sarebbe agevole infatti la decisione di merito, atteso che è controverso (cfr. i primi due motivi) il valore del bene da dividere, questione da risolvere con stretto riferimento, per quanto possibile, alla data di definizione della lite.
I due motivi relativi alla stima dell’immobile vanno considerati assorbiti, rimettendosi il tutto al giudice di rinvio, individuato in altra sezione della Corte di appello di Roma, la quale provvederà anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso.
Assorbiti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma, che provvederà anche sulla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
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